-  Fiorentin Fabio  -  16/05/2014

LA POLIZIA PENITENZIARIA E L'ESECUZIONE PENALE ESTERNA - Costanzo Sacco - Fabio FIORENTIN

Quando si discute dei problemi del carcere, del sovraffollamento o della rieducazione delle persone detenute, quasi mai si sente la voce di quelli che sono gli operatori di prossimità delle strutture penitenziarie, cioé delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria, corpo specializzato di Polizia cui, per legge, è demandato il compito non solo di assicurare l'ordine e la sicurezza interna agli istituti di pena, quale premessa imprescindibile per lo svolgimento del trattamento rieducativo, ma altresì, di concorre fattivamente al processo di recupero sociale dei detenuti. Intendiamo, ospitando l'interessante relazione che segue, colmare, almeno in parte, questa lacuna. (f.f.)

 

 

Una nuova politica della pena: quale progetto

per l"esecuzione penale esterna?

"La Multiprofessionalità nella continuità del Trattamento"

di Costanzo Sacco[1]

Il legislatore costituente, nel tracciare il quadro di riferimento generale del dell"ordinamento statuale, ha riformulato la concezione della pena in modo aderente ai principi statuiti nella stessa costituzione, introducendo il valore della rieducazione del condannato ancorata al rispetto dei diritti della persona.

Per uno Stato laico e pluralista, quale è il nostro, il fine rieducativo della pena non va inteso come obbligo del condannato a rieducarsi, bensì come obbligo dell"Amministrazione di offrire ai condannati gli strumenti utili a rieducarsi, qualora lo vogliano.

La legge penitenziaria, conformandosi ai principi costituzionali, nonché alle regole minime europee per il trattamento dei detenuti, enuclea le linee essenziali del momento detentivo fondato sul trattamento individualizzato e strutturato in base alle caratteristiche personali del singolo detenuto.

Il trattamento penitenziario, inteso nella più vasta accezione di complesso di norme e attività che regolano ed assistono l"esecuzione delle misure privative della libertà personale, passa attraverso il rispetto dell"impianto normativo che regola la vita quotidiana di un Istituto Penitenziario.

Il rispetto delle norme regolamentari e di correttezza, da parte di tutti coloro che accedono all"interno di un Istituto Penitenziario, consente la realizzazione "dell"ordine" nell"ambito dell"Istituto medesimo. Tale finalità costituisce il presupposto per la realizzazione della "sicurezza", la quale riflette l"esigenza di salvaguardia degli interessi individuali dei singoli detenuti, degli operatori penitenziari, nonché l"interesse sociale all"esecuzione del provvedimento giurisdizionale privativo della libertà personale.

Il detenuto si trova sotto la responsabilità dell"Amministrazione Penitenziaria, a cui è affidato il compito di assicurare che egli rimanga in carcere (evitando pericoli di evasione), di controllare il rispetto da parte sua delle regole della disciplina all"interno degli Istituti, ma anche di garantirne l'incolumità, proteggendolo da possibili aggressioni da parte di altri soggetti.

In tale prospettiva, il mantenimento dell"ordine e della sicurezza si affida, in via primaria, ad un processo di responsabilizzazione sociale del detenuto promosso da tutto il personale dell"esecuzione e, solo in via secondaria, all"adozione di misure repressive che, come vuole l"art. 36 dell"ordinamento penitenziario, devono sempre stimolare il senso di responsabilità e la capacità di autocontrollo dei singoli. Infatti il sistema sanzionatorio, quale conseguenza della violazione dei precetti, rigorosamente ispirato al principio di legalità, deve essere finalizzato al ripristino delle condizioni che favoriscano il fondamentale percorso pedagogico al quale il condannato deve essere sempre indirizzato.

La vita dei soggetti sottoposti a misure limitative della libertà personale deve svolgersi senza interferenze che possano comprometterne il fine riabilitativo. Il legislatore ha, pertanto, ritenuto di dover avanzare la soglia di tutela di tutti i beni giuridici che vengono coinvolti dalla esecuzione penitenziaria. Tale obiettivo viene perseguito attraverso l"istituzione del Corpo di Polizia Penitenziaria. Si tratta di un Corpo di Polizia dai più definito "speciale", poiché, diversamente da quanto avveniva nel passato, quando i vari corpi che si sono succeduti, sin dagli Stati pre-unitari, nella vigilanza delle carceri, ove questi si limitavano alle mere attività di "custodiali" e "repressive", la moderna Polizia Penitenziaria, oltre a svolgere le funzioni tipiche di polizia, quali la prevenzione e repressione di comportamenti illegali, deve contribuire alla risocializzazione dei soggetti destinatari di un giudicato penale. Infatti dall"analisi dell"ordinamento del corpo si evince che tutti i servizi svolti dalla Polizia Penitenziaria, in ogni ambito in cui vi sia la presenza di detenuti, implicano sempre la duplice attività di "vigilanza" e di "osservazione" degli stessi.

Pertanto, tali attività che fanno oggi capo al personale di Polizia Penitenziaria, impiegato nei luoghi caratterizzati dalla presenza di detenuti, consentono di realizzare le finalità di sicurezza sociale attraverso un duplice modo: uno diretto ed uno indiretto. Nell"un caso, attraverso la continua cognizione e contestuale intervento su ogni fatto e comportamento illegale, con il fine di prevenire e reprimere ogni eventuale situazione che possa arrecare nocumento all"ordine e alla sicurezza o all"incolumità delle persone; nell"altro, rilevare costantemente, dal comportamento del detenuto, ogni utile elemento che possa contribuire alla formulazione del programma di trattamento individualizzato di ciascun detenuto, il più rispondente possibile alle reali caratteristiche del destinatario.

Infatti, solo attraverso la realizzazione di un programma di trattamento individualizzato, che tenga conto dell"effettiva e reale personalità e della condotta espressa da ciascun detenuto, si può evitare il rischio di addivenire a scelte fondate su condotte strumentali e, come tali, solo finalizzate a frustrare la certezza della pena, con inevitabili riflessi negativi sulla sicurezza sociale.

L"elaborazione del programma di trattamento di ciascun detenuto costituisce la risultanza del contributo di tutti gli operatori impegnati nell"attività di risocializzazione dei condannati.

L"Amministrazione Penitenziaria, infatti, è caratterizzata da una presenza multiprofessionale, in virtù della quale l"obiettivo istituzionale viene perseguito attraverso il costante contributo di operatori appartenenti a diversi profili professionali.

Tutte le aree operative dell"Istituto Penitenziario interagiscono, nel rispetto dei ruoli dei singoli appartenenti a ciascuna di esse e nel rispetto della relativa autonomia tecnico-professionale, in conformità alle direttive impartite dal Dirigente della struttura di riferimento, ispirandosi a principi di unità al fine di contribuire a perseguire i fini Istituzionali che la Costituzione affida alla struttura penitenziaria.

Proprio perché l"obiettivo istituzionale si consegue attraverso il concreto contributo di tutte le aree operative, ciascun operatore deve costantemente svolgere il proprio compito in modo da facilitare l"operato altrui, nella consapevolezza di essere una parte del gruppo che è costituito da tutti gli operatori penitenziari che interagiscono tra loro.

L"interrelazione tra i vari operatori penitenziari viene in essere sin dal primo momento in cui il detenuto mette piede in Istituto, e prosegue per l"intero corso della detenzione, fino alla sua cessazione.

Senza una proficua e sincera collaborazione tra le anzidette aree potrebbe essere compromessa tutta l"ordinaria gestione del detenuto e dell"intero Istituto penitenziario. Basta pensare che, già la determinazione dell"idonea ubicazione e l"inizio della detenzione del nuovo giunto è la risultante di un lavoro di squadra ove l"operato dell"uno non può prescindere dall"operato dell"altro.

Posto che ciascun operatore riuscirà a rispettare meglio l"operato altrui quanto più conosce il lavoro e le responsabilità di tutti, è opportuno che costantemente tutti gli appartenenti alle varie aree operative improntino la propria attività al confronto, al dialogo costruttivo ed allo scambio di informazioni.

L"integrazione professionale non si consegue solo durante gli incontri interprofessionali c.d. istituzionali e formali, costituiti dalle riunioni del gruppo di osservazione e trattamento, dell"equipe o durante le riunioni o conferenze di servizio che si svolgono periodicamente in ciascun ambito professionale, bensì anche durante gli incontri che avvengono nella quotidianità tra i vari operatori, i quali, congiuntamente, affrontano le varie situazioni che si verificano nella realtà penitenziaria.

Attraverso i quotidiani confronti che avvengono direttamente nell"ambito dei vari luoghi di lavoro, si realizza quel prezioso arricchimento del bagaglio di informazioni che permette ai vari operatori appartenenti alle diverse aree operative di adempiere il proprio mandato con una più completa cognizione della realtà in cui operano.

Per gli operatori penitenziari, la cui professionalità è rivolta ad esseri umani che si trovano in condizione di limitata libertà personale, i quali, proprio in virtù del fatto che si trovano ad agire nell"ambito di un rapporto imposto dallo stato di detenzione, anche nelle ipotesi più normali basta un piccolo difetto di comunicazione per rendere problematico l"approccio con l"Istituzione.

In ordine all"attività di osservazione e trattamento dei detenuti, è costante e di fondamentale importanza l"interscambio professionale tra gli operatori dell"area della sicurezza e gli operatori dell"area socio-prsico-pedagica, proprio perché i diversi ruoli ricoperti dagli operatori di entrambe le aree presentano specifiche peculiarità, le quali favoriscono per ogni singolo detenuto un approccio diverso.

Talvolta il detenuto potrebbe assumere un comportamento interessato o strumentale con gli uni o con gli altri operatori, a seconda della scala di importanza dei propri bisogni. Pertanto, onde verificare che un comportamento formalmente corretto lo sia anche dal punto di vista sostanziale, e poter quindi esprimere un giudizio che sia il più vicino possibile alla reale personalità di ogni singolo detenuto è imprescindibile una valutazione congiunta degli elementi raccolti dagli operatori penitenziari appartenenti alle diverse aree operative. Tale giudizio è di fondamentale importanza per l"assunzione di qualsiasi provvedimento che abbia come destinatario un detenuto, a partire dalla determinazione o l"eventuale cambio della sua ubicazione, considerate le implicazioni che tali provvedimenti comportano sotto profilo gestionale del singolo e degli altri condetenuti presenti, per passare poi alla valutazione della compatibilità di un singolo detenuto con la frequenza di un corso scolastico o professionale, piuttosto che una determinata attività lavorativa, fino a giungere all"importante giudizio prognostico di compatibilità del soggetto con l"eventuale ammissione ad una misura alternativa o per fornire gli elementi utili al Direttore per poter esprimere il proprio parere in ordine alla eventuale concessione di un permesso premio.

Ogni operatore dell"esecuzione penitenziaria deve indirizzare la propria azione professionale al raggiungimento degli obiettivi prefissati attraverso un impiego razionale delle risorse, limitate e talvolta insufficienti; deve essere propositivo e risolutivo nel contempo, nella consapevolezza che l"istituto penitenziario costituisce l"ultimo anello della società cui l"ordinamento prevede che vi venga affidata quella parte dei consociati i quali, per aver dimostrato di non aver ancora compreso il valore del rispetto delle Leggi, vengono allontanati dalla società medesima, per la sua salvaguardia, per poi restituirli ad essa dopo aver offerto loro gli strumenti necessari a fargli riacquisire la scala di valori condivisi dalla pluralità.

In questo particolare momento storico, quello relativo alle politiche della giustizia e dell"esecuzione della pena, costituisce uno tra i temi più presenti all"attenzione dell"opinione pubblica, in quanto tocca corde molto sensibili, direttamente legate alla vita quotidiana dei cittadini.

E" forte la richiesta di rendere il sistema di esecuzione penale più efficiente ed efficace, in quanto diffusa è la sensazione che le sanzioni penali siano variamente modificate, tali da renderne non effettiva l"espiazione, o che la pena inflitta sia tradita.

Strettamente legate alle politiche della giustizia sono le esigenze di sicurezza, particolarmente e giustamente avvertite dalla collettività. Ovviamente la sicurezza della collettività non può non passare anche attraverso l"elaborazione di modelli trattamentali sempre più efficaci, che favoriscano di recuperare alla società chi ha sbagliato.

D"altra parte, se pure si assiste alle diverse istanze di quanti attribuiscono importanza al tema della necessità di procedere ad una profonda riformulazione del settore delle pene, attraverso l"incremento di pene non detentive, per avvicinare sempre più il nostro sistema sanzionatorio penale a quello dei paesi europei di più antica  tradizione di "probation", quali Regno Unito e Penisola Scandinava, più recentemente esteso a Francia, Belgio, Austria, Portogallo e Germania, nel contempo occorre, altresì, rendere sempre più efficiente ed efficace il sistema dell"esecuzione penale esterna onde evitare di cadere nella trappola del pregiudizio, secondo il quale : "meno carcere è uguale a meno sicurezza dei cittadini".

D"altronde, come è noto, anche nell"esecuzione penale esterna, infatti, accanto alla funzione di sostegno del reo, opera in maniera inscindibile la funzione di sicurezza e di difesa sociale; perché recuperare alla società chi ha sbagliato, significa produrre sicurezza ed inclusione sociale, con conseguente riduzione dei conflitti esistenti.

Tutto ciò richiede, a chi ha la responsabilità di dare risposte alle esigenze della collettività, una elaborazione di modelli organizzativi dell"area penale esterna che agevolino e rendano più efficaci gli interventi dei soggetti impegnati in questo delicato settore.

Nel perseguimento di tali obiettivi, innanzitutto, occorre partire dalla riflessione che, sulla base dell"attuale modello organizzativo, nel momento in cui il risocializzando si appresta a compiere il "salto di qualità" del trattamento rieducativo, attraverso la sua prosecuzione al di fuori delle mura del carcere, il costante contributo multiprofessionale, che ha consentito di approdare a tale risultato, cede il passo all"attività monoprofessionale. Infatti, rispetto a tutte le figure professionali che hanno condotto il trattamento del reo, sin dall"inizio della sua detenzione, in questo particolare e delicato momento, rimane solo l"Assistente Sociale ad imbattersi nell"opera risocializzante sottesa all"esecuzione penale esterna.

Non si può non considerare, inoltre, che con l"ammissione alle misure alternative alla detenzione, il condannato beneficiario, se da un lato si vede gradualmente proiettato al riacquisto della propria libertà personale, dall"altro si vede costretto ad interrompere dei ritmi esistenziali, acquisiti e favoriti dal carcere, ove l"obbligo di osservare le regole di condotta è più difficile da eludersi, rispetto al momento in cui si trova nella società libera.

Occorre considerare, dunque, che attraverso il riacquisto di maggiori ambiti di libertà, il condannato si trova a passare da un livello di quasi deresponsabilizzazione, conseguente all"effetto "totalizzante" del carcere, alla necessità di riacquistare ambiti di responsabilità che può essere di tipo familiare o lavorativa, ovvero derivante dall"osservanza delle prescrizioni imposte nel programma. Di conseguenza, l"esecuzione penale esterna deve indurre il condannato ad un processo di responsabilizzazione, anche in assenza del deterrente, costituito "dall"occhio" costante e continuo dell"operatore penitenziario, al quale, in genere, era abituato in carcere.

Il reo quindi, nel momento in cui viene chiamato a dare prova di se, attraverso il suo interagire nella società libera, si trova a dover rivedere tutti i propri equilibri, sicuramente non agevolati dal suo precedente stato di detenzione. Dunque, proprio in questo momento, diventa difficile, quanto imprescindibile, contemperare le esigenze di prevenzione con le esigenze di solidarietà che sono connesse alla buona riuscita del trattamento e del recupero del condannato.

Pertanto, la funzione rieducativa dell"esecuzione penale esterna si rivela, inevitabilmente, come un"impresa alquanto ardua e problematica, per gli operatori in essa impegnati.

Alla luce di tali considerazioni, sarebbe opportuno potenziare l"assetto organizzativo dell"esecuzione penale esterna, partendo proprio dall"assunto, sopra richiamato, in base al quale, se l"osservazione scientifica della personalità del reo e l"elaborazione del programma di trattamento di ciascun condannato, sono incentrati sul lavoro di un organismo collegiale, nel quale non manca, tra gli altri, il contributo della polizia penitenziaria, si ritiene che anche la prosecuzione dell"opera di rieducazione, in ambito penale esterno, potrebbe essere condotta affiancando la stessa Polizia Penitenziaria all"attività istituzionale degli Assistenti Sociali, all"insegna della multiprofessionalità, caratterizzante l"Amministrazione Penitenziaria.

Tale obiettivo può essere perseguito attraverso un coraggioso modello organizzativo che, mentre valorizza pienamente le competenze professionali già presenti nell"area penale esterna, si apra all"ulteriore apporto della polizia penitenziaria, così da consentire ai servizi resi durante questo particolare momento di esecuzione penale, di dare risposte complete e molteplici alla complessità insita nella gestione della pena.

In tal modo si tenderebbe a dare continuità all"attività delle diverse figure professionali impegnate nel reinserimento sociale dei condannati, le quali, se con successo hanno consentito l"approdo ad una misura alternativa alla detenzione, a maggior ragione questi, per il buon esito della misura, devono profondere il proprio impegno nel momento della sua esecuzione in ambito extra penitenziario.

Tale assunto, tra l"altro, è coerente con l"orientamento espresso più volte dal Ministro della Giustizia, il quale, in diverse occasioni, ha manifestato il proprio intendimento di impiegare la Polizia Penitenziaria per effettuare controlli efficaci su coloro che scontano una pena, anche diversa dalla detenzione.

Secondo il vigente modello organizzativo dell"esecuzione penale esterna, la polizia penitenziaria, durante questa fase, cede il passo alle Forze di Polizia operanti sul territorio, le quali, allo stato, si limitano ad effettuare i tradizionali controlli di polizia aventi esclusivamente natura di "controlli di regolarità", talvolta svolti in maniera asistematica , rispetto al fine cui tendono le prescrizioni.

Dunque, l"impiego della polizia penitenziaria presso l"esecuzione penale esterna, lungi dal costituire una invasione di campo o ancor peggio una sovrapposizione agli assistenti sociali, deve costituire un arricchimento alla fondamentale opera già svolta da questi ultimi, in modo che i "saperi di sicurezza", si coniughino coerentemente con i "saperi sociali".

La polizia penitenziaria, ovviamente, non deve avere lo scopo di dare una connotazione repressiva alla misura alternativa. Pertanto, questa dovrà essere cosciente che i propri compiti di controllo del rispetto degli obblighi, vanno effettuati nella consapevolezza che si tratta di attività funzionali al controllo di reinserimento sociale. Inoltre, la polizia penitenziaria, in quanto esperta di trattamento, deve essere anche consapevole che tali obblighi non sono meramente finalizzati a limitare la libertà del soggetto destinatario del medesimo obbligo, ma che rientrano in un programma di trattamento più ampio, finalizzato alla risocilizzazione del soggetto ammesso al beneficio.

Pertanto, nell"espletamento di tali attività, la polizia penitenziaria, all"insegna del binomio "umanità" e "legalità", che ne ha fatto una ragione di vita, deve anche saper cogliere l"eventuale presenza di elementi che possano ostacolare l"osservanza degli anzidetti obblighi da parte della persona ammessa alla misura alternativa, pur in assenza di sua volontà.

È in tale ottica, quindi, che la polizia penitenziaria, ponendosi sempre in sinergia con gli assistenti sociali, deve anche favorire la costante ed efficace informazione alla Magistratura di Sorveglianza, anche al fine di procedere all"elaborazione di eventuali proposte di modifica del programma di trattamento.

Infatti, se si considera che, in ambito detentivo, solo attraverso la realizzazione di un programma di trattamento individualizzato, che tenga conto dell"effettiva e reale personalità e della condotta espressa da ciascun condannato, si può anche giungere all"importante giudizio prognostico di compatibilità del soggetto con l"eventuale ammissione ad una misura alternativa, a maggior ragione il buon esito di questa, durante la sua esecuzione, non può prescindere da un programma di trattamento che sia sempre rispondente alle caratteristiche soggettive del suo destinatario ed alle condizioni oggettive in cui questi interagisce.

Per concludere, si consideri quanto sia proficuo, per le finalità su esposte, attivare una interazione dinamica, tra operatori del controllo di reinserimento sociale e operatori del controllo di regolarità, anche durante l"elaborazione del programma di trattamento, nonché durante l"individuazione delle prescrizioni da proporre, che vedano come destinatario un condannato che sia stato ammesso ad una misura alternativa alla detenzione, prescindendo da un previo periodo trascorso all"interno dell"Istituzione Penitenziaria.



[1] Vice Commissario di Polizia Penitenziaria, Comandante del Reparto di P.P. presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere.




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