Danni  -  Gabriele Gentilini  -  04/11/2023

La presunzione di responsabilità contemplata dall'art. 2050 c.c. per attività pericolose può essere vinta solo con una prova particolarmente rigorosa - Corte di cassazione Sezione VI civile Ordinanza 19 maggio 2022, n. 16170

Si ricava il principio dal provvedimento giudiziario qui riportato che La presunzione di responsabilità contemplata dall'art. 2050 c.c. per attività pericolose può essere vinta solo con una prova particolarmente rigorosa, e cioè con la dimostrazione di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno: pertanto non basta la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorre quella positiva di avere impiegato ogni cura o misura volta ad impedire l'evento dannoso, di guisa che anche il fatto del danneggiato o del terzo può produrre effetti liberatori solo se per la sua incidenza e rilevanza sia tale da escludere, in modo certo, il nesso causale tra attività pericolosa e l'evento e non già quando costituisce elemento concorrente nella produzione del danno, inserendosi in una situazione di pericolo che ne abbia reso possibile l'insorgenza a causa dell'inidoneità delle misure preventive adottate.

 

 

 

  

 

***

Corte di cassazione
Sezione VI civile
Ordinanza 19 maggio 2022, n. 16170

Presidente: Amendola - Relatore: Guizzi

RITENUTO IN FATTO

- che L. società semplice ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 874/21, del 14 giugno 2021, della Corte di appello di Salerno, che - respingendone il gravame esperito avverso la sentenza n. 2155/18, del 13 giugno 2018, del Tribunale di Salerno - ha confermato l'accoglimento della domanda risarcitoria proposta da Vito N., condannandola al pagamento di euro 46.382,00, oltre accessori di legge;

- che, in punto di fatto, l'odierna ricorrente riferisce di essere stata convenuta in giudizio dal N., il quale deduceva di essere rimasto vittima di un sinistro occorsogli presso la propria vetreria, allorché due dipendenti della predetta società L., nello scaricare una cassa di vetri, senza averla preventivamente poggiata sul cavalletto di sostegno, la facevano cadere, ribaltando il cavalletto ed altri vetri ivi posizionati, così provocando il grave ferimento dell'uomo;

- che accolta dal primo giudice la domanda risarcitoria, la decisione veniva confermata dal giudice di appello, che rigettava il gravame della convenuta soccombente;

- che avverso la sentenza della Corte salernitana ricorre per cassazione il N., sulla base - come detto - di quattro motivi;

- che il primo motivo denuncia - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c. - "violazione del principio della libera valutazione di una prova soggetta a un diverso regime";

- che il secondo motivo denuncia - ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. - violazione e falsa applicazione dell'art. 2049 c.c.;

- che i motivi, sostanzialmente, lamentano come ambo i giudici di merito abbiano affermato la responsabilità della società L. sulla scorta della ricostruzione operata dai Carabinieri accorsi sul luogo del sinistro e secondo la prospettazione del teste, trascurando completamente la deposizione dell'attore, che avrebbe invece valore di confessione stragiudiziale, nonché quella degli stessi operai della società, risultanze dalle quali emergerebbe che il sinistro accad[d]e dopo che le casse erano già state scaricate, peraltro secondo indicazioni date dallo stesso danneggiato;

- che il terzo motivo denuncia - in riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. - violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1227 e 2050 c.c., lamentando che la Corte territoriale ha ritenuto non provato il caso fortuito, né il concorso di colpa del danneggiato, in particolare non tenendo conto che, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., tale ultima questione è rilevabile d'ufficio;

- che il quarto motivo denuncia - in riferimento all'art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c. - violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e dell'art. 111 Cost., censurando la sentenza impugnata per aver affermato in modo apodittico il nesso di occasionalità necessaria che consente la configurabilità dell'ipotesi di responsabilità ex art. 2049 c.c.;

- che ha resistito all'impugnazione, con controricorso, il N., chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata;

- che la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio per il 16 febbraio 2022;

- che ha presentato memoria la ricorrente, insistendo nelle proprie argomentazioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

- che il ricorso va rigettato;

- che questo collegio reputa, infatti, che i rilievi espressi dalla ricorrente, nella memoria ex art. 380-bis, comma 2, c.p.c., non siano idonei a superare le considerazioni formulate nella proposta del consigliere relatore;

- che i motivi primo e secondo - da scrutinare congiuntamente, data la loro connessione - sono in parte infondati, in parte inammissibili;

- che, in via preliminare, va ribadito che "spetta al giudice di merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge" (da ultimo, tra le innumerevoli, Cass., Sez. 6-1, ord. 13 gennaio 2020, n. 331, Rv. 656802-01; Cass., Sez. lav., sent. 15 dicembre 2008, n. 29316, Rv. 605797-01);

- che già sotto questo profilo, quindi, la pretesa della ricorrente di sollecitare questa Corte ad una rinnovata valutazione delle risultanze istruttorie si palesa inammissibile;

- che non fondata è, invece, la censura di violazione dell'art. 116 c.p.c., formulata in relazione al fatto che la Corte territoriale avrebbe disatteso il valore di "prova legale" delle (supposte) dichiarazioni confessorie rese dal N., nell'immediatezza del sinistro, ai carabinieri accorsi sul luogo dello stesso;

- che, difatti, "la confessione stragiudiziale fatta ad un terzo non ha valore di prova legale, come la confessione giudiziale o stragiudiziale fatta alla parte, e può, quindi, essere liberamente apprezzata dal giudice, a cui compete, con valutazione non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivata, stabilire la portata della dichiarazione rispetto al diritto fatto valere in giudizio" (Cass., Sez. lav., ord. 18 giugno 2020, n. 11898, Rv. 657978-01);

- che, d'altra parte, siffatta censura neppure potrebbe trovare accoglimento ipotizzando - come sostenuto dalla ricorrente, nella propria memoria - che la mancata contestazione, da parte del N., del verbale prodotto in giudizio da essa società L. avrebbe l'effetto di conferire allo stesso l'efficacia di una scrittura non disconosciuta, ex artt. 214 e 215 c.p.c.;

- che, al netto di ogni altra considerazione, deve osservarsi che tale rilievo risulta formulato dalla ricorrente, per la prima volta, nella memoria ex art. 380-bis, comma 2, c.p.c., mentre tale scritto defensionale "non può contenere nuove censure, ma solo illustrare quelle già proposte" (cfr., da ultimo, Cass., Sez. 6-3, ord. 27 agosto 2020, n. 17893, Rv. 658757-01);

- che inammissibile è, parimenti, la pretesa della ricorrente secondo cui questa Corte sarebbe abilitata - essendo stato prospettato il vizio processuale di cui all'art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. - ad esaminare direttamente, quale giudice del fatto processuale, "gli atti del giudizio di merito e quanto dedotto nell'atto di appello", e ciò "per verificare gli errori consumati dal Giudice della Corte territoriale";

- che in disparte il rilievo sull'inammissibilità di quella censura che, sotto l'apparente deduzione del vizio di mancanza assoluta di motivazione, "miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito" (da ultimo, Cass., Sez. un., sent. 27 dicembre 2019, n. 34476, Rv. 656492-03), deve ribadirsi che, al fine di poter dedurre il vizio di motivazione apparente, anche come irriducibile contraddittorietà della stessa, occorre che il vizio "emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata" (Cass., Sez. un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01), vale a dire "prescindendo dal confronto con le risultanze processuali" (così, tra le molte, Cass., Sez. 1, ord. 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata);

- che, inoltre, la censura in esame neppure potrebbe esaminarsi - come afferma, sempre in memoria, il ricorrente - sub specie di travisamento della prova;

- che a tacere, ancora una volta, della novità della doglianza, deve rilevarsi che in un caso - qual è quello presente - di c.d. "doppia conforme di merito", è destinata ad operare la preclusione di cui all'art. 348-ter, ultimo comma, c.p.c.;

- che, invero, avendo l'odierna ricorrente esperito appello contro una sentenza resa, in prime cure, in data 13 giugno 2018, il suo gravame risulta, per definizione, proposto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all'11 settembre 2012;

- che siffatta circostanza determina l'applicazione, ratione temporis, dell'art. 348-ter, ultimo comma, c.p.c. (cfr. Cass., Sez. 5, sent. 18 settembre 2014, n. 26860, Rv. 633817-01; in senso conforme, Cass., Sez. 6-lav., ord. 9 dicembre 2015, n. 24909, Rv. 638185-01, nonché Cass., Sez. 6-5, ord. 11 maggio 2018, n. 11439, Rv. 648075-01), norma che preclude, in caso di c.d. "doppia conforme di merito", la proposizione di motivi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c.;

- che la medesima preclusione opera anche in relazione alla violazione dell'art. 115 c.p.c. per la presenza di un "errore di percezione attinente alla ricognizione del contenuto oggettivo della prova";

- che, difatti, reputa il collegio che debba darsi seguito al principio - per vero, non unanimemente affermato da questa Corte (in senso contrario si veda, infatti, Cass., Sez. 6-5, ord. 5 novembre 2018, n. 28174, Rv. 651118-01) - secondo cui, "in tema di ricorso di cassazione, il travisamento della prova, che presuppone la constatazione di un errore di percezione o ricezione della prova da parte del giudice di merito, ritenuto valutabile in sede di legittimità qualora dia luogo ad un vizio logico di insufficienza della motivazione, non è più deducibile a seguito della novella apportata all'art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito dalla l. n. 134 del 2012, che ha reso inammissibile la censura per insufficienza o contraddittorietà della motivazione, sicché a fortiori se ne deve escludere la denunciabilità in caso di c.d. «doppia conforme», stante la preclusione di cui all'art. 348-ter, ultimo comma, c.p.c." (Cass., Sez. lav., 3 novembre 2020, n. 24395, Rv. 659540-01);

- che è stato affermato, difatti, in modo condivisibile - dalla pronuncia da ultimo citata - come "un residuo controllo in sede di legittimità" potesse essere "ammesso" sotto il vigore del vecchio testo dell'art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. (cioè quello anteriore alle modifiche apportate dall'art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134), "qualora il travisamento delle prove avesse messo capo ad un vizio logico di insufficienza di motivazione", atteso che anche tale evenienza era idonea ad integrare il vizio motivazionale censurabile da parte di questa Corte (Cass., Sez. lav., sent. n. 24395 del 2020, cit.);

- che, per contro, "diversa dev'essere ora la conclusione, non essendo più consentita la possibilità di censurare per cassazione l'insufficienza o contraddittorietà della motivazione se non quando il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata", e cioè proprio "a prescindere dal confronto con le risultanze processuali" (così, nuovamente, Cass., Sez. lav., sent. n. 24395 del 2020, cit.);

- che infondato è il terzo motivo di ricorso;

- che, invero, la circostanza - peraltro, asserita ma non dimostrata - che la vittima del sinistro, con condotta incauta, si fosse avvicinata alla cassa per infilare nella parte sottostante alcuni pezzetti di legno, per evitarne la caduta, non è certamente idonea ad integrare il "caso fortuito", visto che la sentenza attesta che dal "complesso delle acquisizioni istruttorie è emerso che le balle di vetro andassero immagazzinate mediante appoggio su cavalletti che ne assicurassero, per esigenze connesse alle dimensioni di esse ed al peso complessivo, l'inclinazione idonea ad evitarne il ribaltamento";

- che, sul punto, va richiamato il principio secondo cui "la presunzione di responsabilità contemplata dall'art. 2050 c.c. per attività pericolose può essere vinta solo con una prova particolarmente rigorosa, e cioè con la dimostrazione di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno: pertanto non basta la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorre quella positiva di avere impiegato ogni cura o misura volta ad impedire l'evento dannoso, di guisa che anche il fatto del danneggiato o del terzo può produrre effetti liberatori solo se per la sua incidenza e rilevanza sia tale da escludere, in modo certo, il nesso causale tra attività pericolosa e l'evento e non già quando costituisce elemento concorrente nella produzione del danno, inserendosi in una situazione di pericolo che ne abbia reso possibile l'insorgenza a causa dell'inidoneità delle misure preventive adottate" (Cass., Sez. 3, sent. 4 giugno 1998, n. 5484, Rv. 516070-01; Cass., Sez. 3, sent. 24 novembre 2011, n. 17851, Rv. 568396-01; Cass., Sez. 3, sent. 18 luglio 2011, n. 15733, Rv. 619440-01);

- che né, infine, può invocarsi l'applicazione dell'art. 1227, comma 1, c.c., posto che, se il giudice è tenuto a esaminare d'ufficio l'eventuale incidenza causale del comportamento colposo del danneggiato nella produzione dell'evento dannoso, per il sol fatto che esso sia allegato (Cass., Sez. 3, sent. 10 maggio 2018, n. 11258, Rv. 648643-02), la verifica della sua ricorrenza costituisce oggetto di un apprezzamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata e logica motivazione (Cass., Sez. 1, sent. 10 gennaio 2017, n. 272, Rv. 643156-01), come avvenuto nella specie, essendosi affermato che le balle di vetro non furono immagazzinate in modo da evitarne il ribaltamento;

- che infondato è, infine, anche il quarto motivo, che lamenta essersi affermato, in modo apodittico, il nesso di occasionalità necessaria che consente la configurabilità dell'ipotesi ex art. 2049 c.c.;

- che la Corte territoriale si è uniformata al principio secondo cui "la responsabilità dei padroni e committenti per il fatto del dipendente ex art. 2049 c.c. non richiede che tra le mansioni affidate all'autore dell'illecito e l'evento sussista un nesso di causalità, essendo sufficiente che ricorra un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che le incombenze assegnate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno al terzo" (da ultimo, Cass., Sez. 3, sent. 22 settembre 2017, n. 22058, Rv. 646017-01);

- che, in conclusione, il ricorso va rigettato;

- che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

- che, in ragione del rigetto del ricorso, va dato atto - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, dei d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228 - della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all'amministrazione giudiziaria (Cass., Sez. un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condannando la società L. a rifondere, a Vito N., le spese del presente giudizio, che liquida in euro 4.100,00, oltre euro 200,00 per esborsi, nonché 15% per spese generali più accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

 




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film


Articoli correlati