-  Redazione P&D  -  16/01/2007

LA RAPPRESENTAZIONE DELLA VECCHIAIA: II PARTE- Teresa BONIFACIO

In particolare seguendo le riunioni periodiche dei volontari e constatando la ragguardevole distanza tra il loro atteggiamento e quello frequentemente rilevato dalle ricerche sull’ageism, è sorto il proposito di cercare riscontro all’ipotesi che un contatto prolungato con gli anziani possa indurre le persone a modificare le proprie rappresentazioni della vecchiaia, affrancandosi dall’altrimenti condizionante azione degli stereotipi. Il progetto ha quindi preso corpo nell’elaborazione di un questionario in cui si è ritenuto producente approfondire su più aspetti la conoscenza del volontario, in modo da tracciarne un profilo quanto più possibile completo, inclusivo non solo del suo vissuto e delle sue esperienze anche strettamente personali di assistenza, ma anche del tipo di motivazione da cui è mosso. Che si scelga di accudire gli anziani spinti da spirito cristiano piuttosto che dalla volontà di apparire ammirevoli oppure da un sentimento di identificazione con l’assistito non è presupposto equivalente né soprattutto trascurabile ai fini della predisposizione di una strategia di promozione di atteggiamenti più positivi verso la vecchiaia. Secondo un assunto della teoria dell’autodeterminazione di Deci e Ryan (1985), «la motivazione andrebbe intesa non come un costrutto unitario ma come un continuum di stili motivazionali diversi che si pongono tra la motivazione intrinseca e la motivazione estrinseca» ; va però sottolineato che mentre i differenti tipi della prima si configurano come «modi diversi ma ugualmente interni di regolare il proprio comportamento» , quelli della seconda «si differenziano per il grado di “esternalità”: la motivazione da introiezione infatti prevede che i comportamenti siano guidati da dinamiche di ricerca dell’approvazione, propria o altrui e quindi si situa immediatamente vicina alla motivazione esterna vera e propria; nella motivazione da identificazione invece il locos di causalità si sposta all’interno dell’individuo e i valori vengono accettati consapevolmente. Nella motivazione da identificazione rimangono le tracce di un’influenza esterna e per questo motivo non è ancora motivazione intrinseca pura, la quale prevede solo il piacere di svolgere l’azione, di per sé» .

La valutazione dell’elemento motivazione può dunque apportare un significativo contributo alla comprensione delle aspettative che inducono all’attività di volontariato e degli atteggiamenti che di conseguenza la caratterizzano, dal momento che quanto più sarà multidimensionale la conoscenza del volontario e dei suoi stili motivazionali tanto più sarà utile ed utilizzabile la testimonianza della sua esperienza.


2.1. Associazione Goffredo de Banfield

L'Associazione Goffredo de Banfield è un’associazione privata, senza scopo di lucro, nata nel febbraio 1988; ha personalità giuridica riconosciuta, è iscritta al Registro Regionale delle Organizzazioni di Volontariato ed in quanto tale è ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale) di diritto. Dal 1995 è affiliata alla Federazione Alzheimer Italia .
Gli obiettivi sociali, riportati dallo Statuto, sono:

• fornire servizi assistenziali e sanitari ad anziani e disabili non autosufficienti esposti a rischio di ricovero;
• erogare servizi organizzati in modo tale da rispondere alle esigenze complessive dell’individuo, dalle più semplici alle più qualificate;
• promuovere la collaborazione con altre associazioni o altri organismi che operano nel medesimo settore;
• promuovere ed attuare altre attività atte a perseguire obiettivi di sensibilizzazione intorno a situazioni di sofferenza;
• promuovere e realizzare attività di formazione, aggiornamento e qualificazione di personale professionale e volontario nel settore socio-assistenziale.

In sintesi ciò che l’Associazione de Banfield si propone è di favorire la permanenza a domicilio della persona anziana, anche gravemente compressa nella sua autonomia, sviluppando intorno ad essa una rete di sostegno e di cura, garantendo i suoi diritti, rispettando le sue scelte e il suo stile di vita.
Nella convinzione che per realizzare questo obiettivo sia necessario comprendere la vecchiaia e prepararsi a viverla («un "compito" che riguarda tutti»), l’Associazione promuove costantemente iniziative di sensibilizzazione intorno alla vecchiaia e organizza corsi di formazione, convegni, iniziative culturali e sportive che aiutino a valorizzare le potenzialità di quest'età, sottolineando la necessità di una forte alleanza solidale tra le generazioni. Vengono inoltre messi a disposizione servizi totalmente gratuiti di informazione e consulenza, accompagnamento nei percorsi di assistenza, prestito ausili, assistenza domiciliare, gruppo sostegno, consulenza legale, supporto psicologico individuale, sostegno e formazione ai caregivers formali e informali coinvolti, documentazione sui servizi e sulle problematiche della non autosufficienza.
In particolare, per quanto riguarda l’assistenza domiciliare, il servizio – limitato per motivi di bilancio ai residenti nei rioni di Barriera Vecchia e Barriera Nuova – funziona 365 giorni l’anno in orario diurno, ed è garantito da un nucleo di professionisti che lavora in équipe . Tale équipe effettua la valutazione multidimensionale dell’anziano nelle riunioni settimanali, verifica i piani di assistenza predisposti per i singoli assistiti, adattandoli ai cambiamenti intervenuti, conferma o modifica i tempi di assistenza in base agli obiettivi. Le prestazioni (assistenza infermieristica, sociale, interventi riabilitativi) sono gratuite e la loro frequenza varia sensibilmente a seconda dello stato di salute del paziente, del suo grado di autosufficienza, delle risorse familiari. Un gruppo di volontari, attualmente costituito da 14 persone, affianca ed integra le prestazioni dei professionisti nell’ambito della comunicazione-socializzazione e dell’aiuto pratico.
La sperimentazione effettuata dall’Associazione del servizio di assistenza domiciliare agli anziani ha determinato, oltre ai benefici diretti per l’utenza, la messa a punto di un "modello" assistenziale che, nel 1991, venne adottato come base per una convenzione con il Comune di Trieste. I risultati del progetto congiunto de Banfield-Comune sono stati pubblicati diventando oggetto di studio da parte di Enti e operatori. Il modello costituisce un’esperienza unica sul territorio nazionale, in quanto l’integrazione si è realizzata non solo a livello di risposta ai bisogni degli anziani, ma anche a livello istituzionale ed organizzativo.
Dal 1993 al 1999 sono state condotte, in collaborazione con il Centro Sociale Oncologico di Trieste, due ricerche-intervento per sperimentare un modello di assistenza domiciliare per pazienti oncologici adulti. Questa esperienza, documentata negli atti dei Convegni organizzati dall’Associazione nel 1996 e 1999, ha consentito a molti malati di morire a casa propria, nonché la messa a punto di un modello di assistenza snello, flessibile, del quale si conoscono costi e benefici.
La capacità dell’Associazione nel saper accogliere l’anziano e la professionalità maturata nel saper individuare le riposte possibili ai problemi posti da lui e dai suoi cari, ha determinato le condizioni per la sperimentazione, gestione e messa a regime - per conto dell’Azienda per i Servizi Sanitari - del servizio "Agenzia dell’anziano". Questo servizio, espletato per un anno e mezzo, è stato consegnato all’Azienda Sanitaria a fine 1997 in piena efficienza, come primo punto di risposta integrata ai bisogni espressi dagli anziani e dai loro familiari.
Dal 2000 al 2004 sono state avviate le ricerche-intervento a favore dei malati di Alzheimer e loro familiari, realizzate con i contributi di Fondazione Assicurazioni Generali, Fondazione CRTrieste e Ministero della Salute.
L’Associazione diffonde la cultura della solidarietà, la formazione al volontariato e alla gestione di associazioni di volontariato, sia direttamente sia attraverso l'UNI.VOL. - Università del Volontariato, della quale è socio fondatore. Periodicamente la de Banfield promuove campagne di reclutamento e formazione di volontari da inserire nel servizio di assistenza. Gli aspiranti volontari vengono selezionati attraverso colloqui con psicologi; successivamente ha luogo un corso di formazione personale alla comunicazione e alla relazione. Al termine del periodo formativo generale ne segue uno specifico sulle tematiche proprie dell'Associazione: vecchiaia e invecchiamento, organizzazione dei servizi, relazione con il malato e la famiglia, ausili e mobilizzazione, cura della persona e della casa.
2.2 Metodo

Uno dei limiti delle ricerche condotte finora sugli stereotipi a proposito degli anziani sta nella tipologia dei partecipanti, quasi esclusivamente giovani studenti universitari. lo studio delle rappresentazioni sugli anziani nelle persone di età avanzata potrebbe essere estremamente utile per verificare i processi di identificazione o di stanziamento che sono stati ipotizzati più volte.

La scelta di intervistare i volontari dell’Associazione de Banfield è stata presa anche in considerazione di questo limite, permettendo così di esplorare l’atteggiamento verso la vecchiaia in persone che non solo operano a contatto con anziani ma che si stanno anche avvicinando ad esserlo in prima persona.
Il questionario semistrutturato di cui mi sono avvalsa (vedi Appendice), che è stato elaborato anche con la collaborazione delle dott.sse Squarcina e Alzetta dell’Associazione de Banfield, è composto di 52 item ed è suddiviso in tre parti. La prima è costituita da domande aperte e chiuse relative essenzialmente ai dati anagrafici dei soggetti, alla formazione ricevuta come volontari e alle loro esperienze d’assistenza, in termini sia di numero di persone seguite e tipo di patologie presentate sia di valutazione su importanza ed efficacia degli interventi; i dati raccolti in questa prima sezione, con le debite garanzie di riservatezza e di rispetto della privacy, saranno utilizzati anche per produrre una relazione sul servizio di volontariato che verrà trasmessa all’Azienda Sanitaria. La seconda parte, composta anch’essa da domande aperte e chiuse, è quella più strettamente connessa a questa tesi e volta a comprendere se vi sia stato nei volontari, a seguito del prolungato contatto con persone anziane spesso fortemente compromesse nella salute, un cambiamento nella loro rappresentazione della Vecchiaia, con esplicito riferimento anche al modo di raffigurarsi la propria. L’ultima parte è costituita da un questionario di 25 item con scala Likert a 4 punti, da “per niente vero” a “molto vero”, relativo alla motivazione per cui si è scelto di svolgere attività di volontariato. Tale strumento è una rielaborazione del Questionario per la Motivazione al Tirocinio (QMT) – a sua volta adattamento dell’Academic Motivation Scale (Vallerand et al., 1992; 1993) – utilizzato da Deponte e Kodilja in uno studio che fa riferimento alla teoria dell’autodeterminazione (Deci e Ryan, 1985; 2002) e da cui

emerge un modello che prevede 5 tipi di motivazione: l’assenza di motivazione, la motivazione esterna (ricerca di soddisfazione materiale), la motivazione da introiezione (ricerca del successo), la motivazione da identificazione (il conseguimento della competenza), la motivazione interna (la ricerca di soddisfazione personale).

Trattandosi di volontari, si è ritenuto che includere fra le scale l’assenza di motivazione rappresentasse un palese controsenso, e non è stato perciò inserito nel questionario alcun item che vi facesse riferimento.
Il questionario è stato somministrato durante il periodo luglio-settembre 2006 a 14 soggetti (in tutte le analisi riportate N = 14), che al momento della definizione della procedura di intervista rappresentavano il totale dei volontari impegnati nel servizio di assistenza dell’Associazione de Banfield. Poiché per conto di quest’ultima intervengono presso gli assistiti anche numerosi operatori professionisti sarebbe stato possibile allargare notevolmente il numero dei soggetti includendoli nell’indagine, ma anche qui, preferendo non farlo, è stata operata una scelta precisa. Si è infatti considerato che un interesse verso l’anziano determinato da motivi di ordine professionale avrebbe potuto essere non rilevante, se non addirittura fuorviante, in una ricerca che fondamentalmente si prefigge di cercare di individuare le ragioni per cui, a differenza di molti altri che per quanto possibile ne rifuggono, alcune persone decidono spontaneamente di avvicinarsi alla vecchiaia. Salvo due casi in cui i soggetti hanno preferito essere raggiunti presso il proprio domicilio, le interviste sono state effettuate presso la sede dell’Associazione de Banfield, con durata media di circa 30 minuti.


2.3. Analisi e discussione dei dati

2.3.1. I dati anagrafici

I soggetti intervistati sono stati 14, di cui 11 donne e 3 uomini (rispettivamente il 78,6% e il 21,4%), di età tra i 49 e gli 86 anni, con media 62,8 e deviazione standard 8,7.
L’evidenza che i volontari sono per lo più donne appare concorde con il quadro emergente da numerosi studi , secondo i quali esse dimostrerebbero maggior attenzione degli uomini ai fenomeni sociali ed emotivi e una maggior propensione ad assumersi responsabilità verso gli altri ed a scegliere occupazioni orientate alla persona.
L’età media, risultata piuttosto elevata , è del tutto congruente con i dati relativi alla condizione occupazionale (fig. 1), da cui si evince che solo il 14,3% dei volontari è ancora impegnato in attività lavorative, mentre il restante 85,7% si suddivide fra le categorie di casalinghe (28,6%), pensionate/i (ben il 50%) ed altro (7,1%).



Meno coerente a riguardo sembrerebbe l’esito dell’item “Quali sono le caratteristiche più importanti per essere un buon volontario?”, in cui la voce “avere disponibilità di tempo” si colloca come terz’ultima nelle preferenze – espresse tramite scala Likert a 5 punti – fra le 7 proposte. Quest’apparente contraddizione potrebbe essere ricomposta operando una distinzione fra disponibilità di tempo a) intesa come fattore motivante e b) percepita come requisito per l’idoneità al compito. L’alta percentuale di pensionate/i, nonché il fatto che 10 volontari su 14 dichiarano di aver iniziato l’attività di volontariato mediamente da tre o quattro anni, cioè ad un età comunque prossima alla conclusione delle attività professionali, sembrerebbe indicare che la coincidenza con tale disimpegno ha avuto una parte tutt’altro che irrilevante nella scelta di avvicinarsi al volontariato. Contestualmente, lo scarso peso attribuito al fattore tempo di per sé dimostrerebbe un’acquisita consapevolezza, segnalata anche dalla generale soddisfazione testimoniata a riguardo, dell’importanza del proprio ruolo di volontario, che meriterebbe dunque di venir esercitato anche indipendentemente dalla quantità di ore libere a disposizione.

I dati relativi alla scolarità indicano una certa trasversalità dell’interesse per il volontariato, che coinvolge persone ad ogni livello d’istruzione. Estremamente più significativo, invece, il dato riguardante la presenza o meno di precedenti esperienze dirette di assistenza a familiari: 11 volontari su 14 (il 78,6%) hanno seguito da vicino la malattia di un parente o amico, sperimentando in prima persona situazioni in cui sono drammaticamente emerse le carenze dei servizi sanitari e la necessità di integrarli con interventi non istituzionali di assistenza e solidarietà umana.

Come dichiara uno dei volontari: «Attraverso le esperienze familiari abbiamo visto che dare una mano a qualcuno non costa tanto.. è come allungare una mano per dare un bicchier d’acqua». Tre volontari, alla domanda “Individui la motivazione principale che l’ha portata a scegliere l’esperienza di volontariato”, si richiamano del resto espressamente al loro vissuto accanto a un familiare malato, e ai sentimenti e alle consapevolezze sviluppate nell’assisterlo; altri due riconducono indirettamente la scelta alla stessa esperienza: in un caso la decisione è maturata frequentando un corso di auto-aiuto successivamente alla morte di un genitore, nell’altro è stata determinata dalla volontà di riparare in qualche modo alla propria assenza durante la malattia della madre.
Il seguente passo di Claude Olievenstein si presta a suggerire un’ulteriore riflessione.
Avere ancora i genitori rappresenta l’ultima protezione contro la morte. Questa barriera esiste, è estremamente rassicurante. Rifiutare l’invecchiamento dei genitori significa rifiutare il proprio. Al di là dell’affetto sincero, in questo tacito accordo tra genitori e figli adulti c’è la negazione della realtà. non siamo vecchi finché esistono i nostri genitori.
Dopo la loro, «la nostra scomparsa è annunciata. Siamo i prossimi nell’ordine logico delle generazioni. Ormai i vecchi siamo noi» . Caduta la barriera di cui parla Olievenstein, è forse possibile che si guardi alla vecchiaia ed alla morte senza cedere alla tentazione di rimuoverne la consapevolezza attraverso questa immagine, ed anzi affrontandola di petto: “Sono qua per capire come affrontare la morte” è il pensiero in cui un volontario dichiara di essersi riconosciuto agli esordi della sua attività.
L’esposizione e la familiarizzazione con le necessità dell’anziano sembrerebbero quindi avere senz’altro rilievo nella successiva scelta di occuparsi attivamente di vecchiaia. Una recente ricerca di Fessler e Navarrete ha infatti rilevato una correlazione negativa fra età e ripugnanza verso morte, il cui attenuarsi «può riflettere abituazione come risultato di un’esposizione continuativa e prolungata a stimoli connessi alla morte» .
Ciò concorderebbe del resto anche con la supposta predisposizione umana ad una “simpatia” funzionale alla cooperazione e al superamento delle sfide ambientali.

Attraverso la meta-analisi delle centinaia di studi sull’effetto di mera esposizione, ossia l’associazione positiva riscontrata tra la ripetuta esposizione a uno stimolo nuovo e la simpatia per quello stimolo, è stato dimostrato che avere maggiore familiarità con qualcosa induce una maggior simpatia nei suoi confronti (Bornstein, 1989).

Secondo uno studio volto ad indagare il possibile ruolo dell’attaccamento (Bowlby, 1969; 1973; 1980) nelle dinamiche insite nel prendersi cura di anziani e grandi anziani, inoltre, assisterli comporterebbe un «incontrarsi e offrirsi reciproca accoglienza» delle «rappresentazioni cognitive ed emotive di sé e di sé con l’altro» , determinando beneficio e crescita personale e relazionale.

“Migrare” fra una generazione e l’altra del proprio percorso potrebbe risultare un’opportunità permettendo di accedere ad aspetti costituenti la nostra identità, discernendo dalla nostra storia evolutiva personale, generazionale e collettiva.

La percezione dell’identità come di «un processo in continuo divenire, una narrazione di sé continuamente rivista e modificata allo scopo di organizzare le nuove esperienze e dare senso alle emozioni» , appare d’altronde concordare pienamente con la prospettiva life-span (Baltes & Reese, 1986), nonché con la più filosofica ma non meno significativa visione di Hillman, secondo il quale «gli ultimi anni della vita confermano e portano a compimento il carattere» . L’esplorazione del senso dell’esistenza non avrebbe dunque nessun motivo di interrompersi nell’età senile, ma anzi proprio in essa dovrebbe trovare la sua più piena e proficua attuazione.
Stando ad alcune testimonianze, espresse sia in forma di speranza («dare aiuto agli altri forse poi vorrà dire avere qualcosa di ritorno») sia di sfiducia («sono sicuro che nessuno aiuterà me: è un’esperienza a perdere»), i volontari sembrerebbero poter essere mossi anche dal tentativo di acquisire in qualche modo, attraverso la loro opera, una sorta di diritto a ricevere in futuro a loro volta assistenza; questo aspetto potrebbe essere spiegato in termini di teoria dello scambio sociale (Homans, 1961; Kelley, 1979; Thibaut e Kelley, 1959), «secondo la quale le persone si aspettano che il proprio comportamento porti a una qualche sorta di ritorno commensurato» .




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