-  Redazione P&D  -  26/01/2015

LA REMISSIONE: DALLE NORME AL SISTEMA – Luigi TRISOLINO

 

-La remissione del debito: la natura, la struttura, la funzione

-Gli artt. 1236-1240 del codice civile e il sistema positivo organico

-Le conseguenze logiche dell"inquadramento strutturale: la reviviscenza del debito

 

Le trattazioni istituzionali, frutto di un lavoro di sintesi delle riflessioni – di classificazione e di sistemazione all"interno dell"ordinamento – svolto dalla dottrina, individuano una serie di situazioni sotto l"egida scientifica della categoria dei modi di estinzione dell"obbligazione giuridica. Essendo tradizionalmente le obbligazioni un mezzo astratto per indicare il vincolo, caratterizzato dal dover essere, orientato al soddisfacimento (principalmente) di esigenze della parte attiva del rapporto, i programmi intersoggettivi a tutela dei quali si innescano i meccanismi vincolistici presidianti beni della vita meritevoli di tutela secondo l"ordinamento giuridico, invero, possono essere studiati, sotto il loro profilo funzionale, inquadrandoli nel distinguo tra modi estintivi dell"obbligazione satisfattivi e non satisfattivi.

Tra i modi satisfattivi si suole individuare l"adempimento, e la "datio in solutum", o prestazione in luogo dell"adempimento, ma anche la compensazione – volontaria, legale, giudiziale – e la confusione. Tra i modi non satisfattivi, invece, si individuano la impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore, la novazione oggettiva e, per quel che riguarda in particolar modo la presente analisi, la remissione del debito.

Generalmente si è soliti inquadrare ontologicamente la remissione  quale atto unilaterale, necessariamente recettizio, in quanto condizionato nei propri esiti effettuali al non rifiuto da parte del destinatario dell"atto medesimo, ossia da parte del debitore. Tale ultimo carattere della dichiarazione di remissione, la rifiutabilità,  risulta sicuramente indice di una "ratio", e quindi di una non casuale struttura del nostro ordinamento, improntata a fare economia sulle restrizioni alle libertà (negative). Malgrado l"atto mediante il quale si manifesta l"intento di realizzare gli effetti estintivi di una specifica obbligazione, attraverso modalità realizzative specifiche, dal punto di vista oggettivo, risulti foriero di un accrescimento indiretto della situazione patrimoniale della parte passiva del rapporto obbligatorio nel cui entroterra giuridico la remissione medesima va ad innescarsi, e quindi, malgrado sia un atto ordinariamente "in favor debitoris", l"ordinamento tutela la volontà del soggetto passivo di restare ancorato ad un trattamento obbligatorio. Una siffatta potenziale presa di posizione del debitore , a cui l"ordinamento appresta una garanzia di tutela nella di lui mira di conservazione e perpetuazione consolidativa della posizione medesima, invero, potrebbe trovare fondamento sostanziale in eventuali ragioni personali, aventi magari pure un margine significativo di risonanza sociale, se non proprio in eventuali tutele di volitività vocàte alla fierezza adempitiva, inerente alla manifestazione della propria robusta solvibilità di fronte alla comunità economica dei consociati.

Ritornando alla natura della remissione, si noti come secondo una tesi dottrinale, prevalente, l"atto "de quo" sia inquadrabile come unilaterale recettizio, espresso o tacito, e come anzidetto, rifiutabile (anche tacitamente o "per facta concludentia").

Secondo altra parte – minoritaria – della dottrina, invece, si tratterebbe di un atto negoziale bilaterale, e quindi contrattuale: essendo sottoposto al rifiuto, l"atto dichiarativo in questione, presuppone il dato strutturale della dialettica volitiva, determinata dall"incontro (e dallo scontro, fino alla concorde sintesi) dei fattori subiettivi delle parti del rapporto obbligatorio.

Gli altri modi non satisfattivi di estinzione dell"obbligazione, poi, risultano diversamente configurabili dal punto di vista qualitativo, inerente alla loro natura. La impossibilità sopravvenuta di adempimento per causa non imputabile al debitore si configura come una condizione straordinaria con valore risolutivo che, se da un lato soddisfa l"interesse debitorio alla estinzione del rapporto obbligatorio con la conseguente liberazione dal "vinculum iuris", dall"altro lato non soddisfa le esigenze creditorie che erano sottese nel contenuto del programma negoziale tutelato dal meccanismo vincolistico tra le parti, tipico delle obbligazioni (ma, persino gli antichi ci tramandano che dinanzi al "casus fortuitus" o dinanzi ad una "vis major", "resisti non potest"). Ovviamente in caso di impossibilità sopravvenuta di adempimento per causa "in toto" o concorsualmente, e quindi parzialmente, determinata dal debitore, gli equilibri obbligatori assumono nuovi assetti a seconda dei singoli casi e delle specifiche dosimetrie imputative degli illeciti negoziali.

La novazione oggettiva, invece, si presenta quale atto negoziale bilaterale, contrattuale con la funzione complessa di estinzione dell"originario rapporto obbligatorio e contemporanea – o immediatamente conseguente – costituzione di un nuovo rapporto obbligatorio caratterizzato dall""animus novandi", e da un "quid novi".

I modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall"adempimento in seno al sistema positivo-codicistico trovano dimora organico-concettuale nel Capo IV del Titolo I ("Delle obbligazioni in generale") del Libro IV, e precisamente agli artt. 1230 ss.

La sezione specificamente dedicata al modo estintivo non satisfattivo delle obbligazioni, qual è – tra gli altri – la remissione, è la Sezione II, composta dagli artt. 1236-1240.

L"art. 1236 dispone che la dichiarazione del creditore di rimettere il debito estingue l"obbligazione quando è comunicata al debitore, salvo che quest"ultimo dichiari in un congruo termine di non volerne profittare.

L""incipit" della disposizione normativa appena citata rende in maniera immediata all"operatore giuridico l"idea qualificatrice della remissione quale dichiarazione, vocàta alla realizzazione dell"effetto remissivo e quindi estintivo di uno specifico debito. Tale piano effettuale non si realizza, in verità, se non attraverso una modalità esplicativa della volontà che sia mirata alla recettizietà; presupposto di questa è la comunicabilità, secondo il principio di conoscibilità, che si presume (trattasi di presunzione semplice) quando la dichiarazione perviene nella abituale sfera giuridico-ambientale e personale del destinatario dell"atto medesimo. A tutto quanto appena detto, però, si aggiunga la presenza, nella struttura dell"art. 1236 c.c., di una clausola di salvezza, la quale prende in considerazione il caso di rifiuto da parte del debitore, destinatario della dichiarazione creditoria, di acconsentire agli effetti remissivi, i quali si realizzerebbero in seguito al mero silenzio-assenso del debitore medesimo, successivamente allo spirare del congruo termine posto a presidio della libertà privatistica negativa (dalla ingerenza della altrui volontà nella propria sfera patrimoniale): si può, così, sostenere la presenza di una condizione sospensiva – il mancato rifiuto – che durante il corso cronologico del congruo termine frena la realizzazione dell"effetto negoziale dell"atto teso alla estinzione dell"obbligazione e alla conseguente liberazione dall"obbligo insito nel debito.

La remissione ordinariamente viene associata all"idea della rinuncia alla propria legittima soddisfazione e a un proprio potenziale arricchimento potenzialmente insito nella posizione del soggetto titolare del diritto di credito, e quindi viene ordinariamente associata, in astratto, ad un atto unilaterale recettizio caratterizzato dalla gratuità (secondo autorevoli voci, necessariamente).

In virtù del principio di autonomia negoziale, in virtù, quindi, del combinato disposto degli artt. 1322 (sia primo che secondo comma) e 1324 c.c., il creditore può rinunciare al soddisfacimento del proprio credito dietro pagamento, e non per solo spirito di solidarietà liberale, o in particolare, con "animus donandi". Occorre, tuttavia, affinare gli strumenti logici ai fini di un adeguato, soppesato discernimento tra la figura estintiva di remissione, qui in questione, e la diversa figura estintiva – non satisfattiva, proprio come la prima – della novazione oggettiva, quest"ultima pacificamente qualificata come contratto: l"opera di "labor limae" logico-discernitivo, però, si compie anzitutto sul campo della "práxis", a seconda delle tipologie degli elementi rintracciabili e indicizzabili nei multiformi casi di specie presenti e prospettabili nel mondo della vita, valvola poietica sempre "in fieri" del "de jure condendo".

A rigor del vero, nel panorama dottrinale si discute circa la qualificabilità della remissione come atto necessariamente a titolo gratuito o meno: sembrano prevalere gli orientamenti che, attestandosi sulla complessità delle relazioni giuridicamente rilevanti tra i consociati, discorrono di remissione del debito quale atto a causa variabile, una sorta di mina vagante concettuale all"interno dell"ordinamento avente fattezza sistemica.

Analizzando i pesi e i contrappesi strutturali della fattispecie astratta condensata nell"alveo concettuale del nucleo dogmatico dei modi estintivi dell"obbligazione non satisfattivi, risulta utile ai fini sistemici un inquadramento comparato della figura legale della remissione.

Se si considera la struttura dell"art. 1333, sul contratto con obbligazioni del solo proponente, si può notare che ciò che "expressis verbis" è qualificato come proposta, e non solo quale mera dichiarazione (come nell"art. 1236 per la remissione), è un atto che non ha un immediato impatto effettuale realizzativo della volitività del soggetto attivo della vicenda negoziale (il proponente), poiché la proposta è "ex se" un atto unilaterale che per dispiegare i propri effetti finali (quelli intermedi invece attengono alla irrevocabilità della proposta) necessita della conferma, anche implicita, tacita o per fatti concludenti, del destinatario della stessa. Quest"ultimo, invero, come dispone il cpv. dell"art. 1333 può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell"affare o dagli usi (normativi, ai sensi dell"art. 8 disp. prel.); soltanto in mancanza di tale rifiuto il contratto con obbligazioni del solo proponente è concluso. Mentre nella affine struttura dell"art. 1236 sulla dichiarazione di remissione del debito il legislatore ha utilizzato un concetto indeterminato (il congruo termine), aperto alla soppesata determinazione ad opera delle parti e eventualmente della "prudentia judicis", l"art. 1333 pone degli indici utili ai fini della determinabilità – caso per caso,  a seconda delle circostanze concrete – del termine utile entro il quale il soggetto destinatario dell"atto dichiarativo può esplicare la propria facoltà di rifiuto, inibendo le aspettative sull"avveramento della condizione sospensiva della mancanza del rifiuto, e, di contro, ponendo in essere l"avveramento della condizione risolutiva delle aspettative di fatto della parte autrice della dichiarazione "de qua". Nello spazio temporale indeterminato ma determinabile attraverso gli indici presenti nel cpv. dell"art. 1333, i quali riempiono la lacuna insita nella indeterminatezza della clausola normativa del congruo termine, invero, si è in presenza di un regime giuridico interinale, in verità caratterizzato da una transitoria acquiescenza.

Un"ottica di "favor tertii" è pure rilevabile nella struttura dell"art. 1411, cpv., ove nel contratto a favore di terzo, il terzo, salvo patto contrario, acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione. La stipulazione, però, può essere revocata o modificata dallo stipulante finché il terzo non abbia dichiarato, anche nei confronti del promittente, di volerne profittare. È il terzo a decidere se l"operazione negoziale sia effettivamente in favore della propria sfera giuridico-patrimoniale, così come è il terzo a stabilire in libertà – e secondo libertà – se accettare di ricevere il bene della vita, insito nella (e a fronte della) prestazione oggetto dell"obbligazione propria della vicenda contrattuale posta in essere dal promittente con lo stipulante.

Ulteriori specifiche manifestazioni del principio di libertà negoziale si possono riscontrare negli artt. 649, 1301 c.c.: con il richiamo alla libertà negoziale non si vuole corroborare necessariamente la teoretica degli orientamenti dottrinali volti a qualificare la remissione come contrattuale, dato che la sussistenza della facoltà di rifiuto è un corollario normativo specifico del principio di libertà stessa e, se si vuol vedere il sistema da altre prospettive, del principio del "neminem laedere: in pejus et… in melius", e non un portato logico necessario della natura contrattuale della vicenda remissiva.

Il primo comma dell"art. 649, sul legato, dispone che questo si acquista senza bisogno di accettazione, salva la facoltà di rinunzia: si è in presenza del medesimo impianto strutturale insito nella meccanica della disposizione normativa dell"art. 1236, con le dovute differenze, dato che il legato è un atto "mortis causa", e l"art. 649, quindi, fa menzione della morte del testatore.

Un"ottica necessariamente divergente nutre nella propria "ratio legis", però, l"art. 2113 c.c., sulle rinunzie dei diritti del prestatore di lavoro, vietate, data la peculiare sensibilità della materia in questione, ai sensi dell"art. 36 Cost. che limita la autonomia negoziale attraverso l"obbligo assoluto della garanzia di una esistenza libera e dignitosa per il lavoratore (al di là del sesso: art. 37 Cost.) e per la sua famiglia, anche attraverso le adeguate e giuste proporzioni nella determinazione della retribuzione, ovviamente commisurabile in base alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.  Tutto ciò assume un rilievo fortissimo, se si pensi che la Repubblica, ai sensi dell"art. 114, comma 1, Cost., costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato, tutti coinvolti in questa missione giuslavoristica, tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (art. 35, comma 1, Cost.); e prima ancora, se si pensi al fondamento essenziale, personologicamente orientato, della nostra Repubblica, ai sensi del primo articolo della Carta fondamentale italiana medesima, fondata sul lavoro.

L"art. 1301, poi, sancisce la regolamentazione della remissione in una situazione complessa, di pluralità soggettiva caratterizzata dalla solidarietà: l"articolo in questione, infatti, dispone, al primo comma, che la remissione a favore di uno dei debitori in solido libera gli altri condebitori, salvo che il creditore abbia riservato il suo diritto nei confronti degli altri, nel qual caso il creditore non può esigere il proprio credito da questi, se non nella mia misura risultante dalla detrazione della parte del debitore a favore del quale ha consentito la remissione. Il secondo comma della disposizione codicistica appena citata statuisce che se la remissione è fatta da uno dei creditori in solido, essa libera il debitore verso gli altri creditori limitatamente alla parte spettante al primo.

In seguito a questa breve disamina sistematica, dopo aver dimostrato lo spirito del meccanismo strutturale delle norme, in virtù dei limiti posti dai principi di libertà negativa, quindi di libertà dalle ingerenze delle altrui disposizioni, e dell"altrui disponibilità a rimettere i debiti rinunciando ai propri crediti, nel caso dell"art. 1236 c.c., ciclicamente ritornando alle attestazioni dottrinali tese ad inquadrare la remissione quale atto avente natura negoziale, al di là della specifica qualità – di unilaterale o bilaterale e contrattuale – che a tale modo di estinzione dell"obbligazione si voglia riconoscere, si ponga l"attenzione alle conseguenze della qualificazione di negozialità dell"atto operata all"unanimità.

Sul piano strettamente effettuale si noti come l"estinzione dell"obbligazione per remissione, invero, implica il venir meno delle garanzie personali e reali, mentre la rinunzia alle garanzie non conduce "ex se" (e quindi non fa presumere) la remissione del debito. L"art. 1238 c.c., infatti, dispone che la rinunzia alle garanzie dell"obbligazione non fa presumere la liberazione, salva prova contraria, la rilevazione della quale ultima invero gioverebbe alla parte debitoria.

Il primo comma dell"art. 1239, poi, dispone che la remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori. E nel cpv. del medesimo articolo si precisa che in caso di remissione in favore di uno dei fideiussori gli altri fideiussori non sono liberati che per la parte del soggetto liberato; e che in caso di consenso alla liberazione da parte degli altri fideiussori, questi ultimi restano obbligati per l"intero, particolare normativo applicabile estensivamente anche in caso di remissione in situazioni di solidarietà passiva (art. 1301, comma 1, c.c.), salvo patto contrario, sicuramente riconoscibile in virtù del principio di autonomia negoziale.

Disposto codicistico di chiusura della Sezione II, Capo IV, Titolo I del Libro IV, infine, è il disposto dell"art. 1240, in cui il legislatore ha sancito che il creditore che ha rinunziato, verso corrispettivo, alla garanzia prestata da un terzo, deve imputare al debito principale quanto la ricevuto, a beneficio del debitore e di coloro che hanno prestato garanzia per l"adempimento dell"obbligazione.

In virtù del criterio di ragionevolezza, rigorosamente fondato nella sua ontologia sui principi della logica classica (identità, non-contraddizione e terzo escluso), ed eleggendo la logica quale "caput" di ogni metafisica e fisica assiologia, nonché quale collante dendritico tra i neuroni del sistema tavolare dei principi costituenti l""humus" della nostra cultura giuridica, i portati consequenziali partecipano nella loro essenza dei caratteri qualificanti dell"oggetto delle loro premesse. E così, se la remissione è atto negoziale, essa è soggetta alle patologie tipiche di siffatta tipologia di atto: la annullabilità, la rescindibilità, ma anche la più radicale nullità, oltre alla inesistenza (figura quest"ultima, invero, frutto di autorevoli elaborazioni dottrinali; figura radicalissima, da qualcuno ritenuto più inerente ai casi di scuola; ma il mondo della vita, si sa, riserva sorprese multiformi ed anche informi).

Se il negozio remissivo viene meno, a fronte di un vizio dell"atto, la rimessione viene meno e viene meno, con essa, la causa estintiva del vincolo obbligatorio tra le parti originarie, debitore e creditore, e con la causa estintiva, quindi, viene meno anche il fondamento della liberazione del debitore. In breve, si ha la c.d. reviviscenza dell"obbligazione che era alla base del debito; risorge il debito, con delle limitazioni, poiché le garanzie che assistevano quali elementi accidentali il debito, momentaneamente estinto, ma in realtà e, a rigore, mai realmente estinto per via del vizio (più o meno radicale), non risorgono con la obbligazione, secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza. Oppure risorgono, a seconda della disciplina specifica, ad esempio in tema di ipoteca in dipendenza delle formalità costitutive e ricostitutive (si pensi alla iscrizione), ma soltanto se le garanzie erano prestate dal debitore principale, e per alcuni, se questi vi consente nuovamente; non invece in caso di garanzie prestate dai terzi, le quali ultime si intendono assolutamente estinte una volta per tutte.

La giurisprudenza di legittimità pare consolidarsi nell"assunto secondo cui non esiste un principio generale di reviviscenza delle garanzie reali o personali, allorché esse siano prestate da terzi, in tutte le ipotesi in cui per la "sopravvenuta inesistenza" (sembra un ossimoro, ma l"espressione è utilizzata dalla Cassazione) di una causa estintiva dell"obbligazione rivive tra le parti l"originario rapporto obbligatorio. In tali casi, mentre in via di principio, in virtù della regola dell"accessorietà della garanzia, deve ritenersi che con l"originaria obbligazione rivivono anche le garanzie che l"assistevano, se prestate dallo stesso debitore, per le quali, così, opera la c.d. reviviscenza, deve affermarsi la regola opposta per ciò che concerne le garanzie prestate da terzi, delle quali il creditore non può più avvalersi e per le quali, così, non opera la reviviscenza.

Deve da ultimo notarsi come la esclusione della reviviscenza della garanzia prestata dal terzo, invero, risponde al principio generale di certezza dei (e nei) rapporti giuridici, che in tema di fideiussione trova riscontro nel disposto dell"art. 1957 c.c.; in questa organizzazione del percorso logico ricostruttivo della "mens legis", si condensa l"intento di evitare appunto il perpetuarsi di uno stato di incertezza. Nel caso della fideiussione, infatti, l"accoglimento della opposta soluzione esporrebbe il fideiussore, ed i suoi creditori, ad una inaccettabile e iniqua incertezza, giacché la posizione del garante risulterebbe aleatoriamente dipendente dalle vicende di un adempimento (quello dell"obbligato principale), che il fideiussore normalmente non è in grado di controllare e che le parti originarie, comunque, avevano accettato a proprio rischio.

Quanto da ultimo detto è stato ampiamente affrontato dalla giurisprudenza di legittimità; si ricordi, tra le varie pronunce, la sentenza, della Sezione terza della Suprema Corte n. 21585/2004.

Da un atto apparentemente semplicistico, come la dichiarazione di voler rimettere un debito a qualcuno, così ripetuta, anche inconsapevolmente, da milioni di credenti, e non solo, nella millenaria recitazione di una nota e profonda preghiera (il "Pater noster"), dal punto di vista giuridico, e a rigore di logica sistemicamente orientata nelle sue indagini gnoseologiche nell"oceano dell"apparato normativo, anche soltanto italico-codicistico, una serie di problemi pulsanti si fanno strada sul versante della composizione delle "vexatae quaestiones" inerenti una scienza che ha la ambiziosissima vocazione – o anelazione – a garantire la pace nei rapporti civili del nostro vivere "in societas".

 




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