Sommario
1. Cronistoria degli interventi della Corte Costituzionale e constatazione dell’attuale normativa costituzionale e ordinaria* 3
2. La sentenza 135/2024 e la rilettura dei principi fondamentali della Costituzione 5
2.1 Il diritto alla vita e i bilanciamenti possibili: il consenso informato, la prescrizione del medico e il diritto di rifiutare trattamenti sanitari come “libertà negativa” - La ragionevolezza e i limiti all’autodeterminazione terapeutica - La dignità del paziente 5
2.2 L’inesistenza del diritto all’aiuto al suicidio, la sanzione penale e l’eccezione : la ‘condizione di non punibilità limitata’ 7
2.3 Il diritto-dovere di cura - L’accesso alle cure palliative – Considerazioni personali 10
2.4 I trattamenti di sostegno vitale - trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza 13
NOTE 16
1. Cronistoria degli interventi della Corte Costituzionale e constatazione dell’attuale normativa costituzionale e ordinaria*
A seguito di eccezioni di legittimità costituzionale dell’art. 580 CP (“istigazione o aiuto al suicidio”) sollevate con ordinanza 14/2/2018 dalla Corte d’Assise di Milano**, la Corte Costituzionale pronunciava ordinanza 207/2018 con cui rinviava la decisione di un anno, auspicando un intervento del Parlamento prima della nuova udienza, già fissata per il 24/9/2019.
Non essendo nel frattempo intervenuto alcun intervento del Parlamento la Corte Costituzionale pronunciava la sentenza 242/2019 (decisione del 25/9/2019), con cui ha dichiarato
“l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 CP, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22/12/2019…., agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico competente”.
La Corte ha così creato, all’interno del reato di cui all’art. 580 CP ( istigazione o aiuto al suicidio ), una condizione di non punibilità limitata a chi ( senza aver rafforzato l’altrui proposito suicida , comportamento piu’ grave - cd. concorso morale - espressamente escluso dalla non punibilità ) agevola materialmente la sua esecuzione quando concorrano i seguenti presupposti-limiti-condizioni sostanziali:
a ) il fatto che il paziente abbia partecipato e/o partecipi ad un autentico ed informato percorso di cura e di offerta /messa a disposizione delle cure palliative piu’ adeguate alle sue condizioni (“con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22/12/2017 n. 219” - dispositivo sentenza-) . In particolare, ai sensi del comma 5 dell’art.1 e dei commi 1-2-3 dell’art. 2, nell’ambito del ‘percorso di cura’, devono essergli prospettate le “alternative possibili”, valorizzando tutti i mezzi utili “ad alleviarne le sofferenze”, con la garanzia di “un’appropriata terapia del dolore” ed il coinvolgimento in un percorso di “cure palliative” (di cui fa parte il MMG) allargato ai familiari ( art 2 l. 38/2010 ), anche “avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica”; fino al ricorso “alla sedazione profonda continua in associazione alla terapia del dolore”;
b ) la piena capacità e libertà ( sia sotto il profilo cognitivo che volitivo/decisionale ) di chi ha richiesto l’aiuto al suicidio ( che deve essere “pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”) , nonostante le condizioni di intollerabile sofferenza ;
c ) la formazione autonoma e libera del proposito suicida (“proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi”);
d ) il carattere irreversibile della patologia della persona ( “persona…affetta da patologia irreversibile”);
e ) l’intollerabilità della sofferenza provocata dalla patologia ( “ fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili”);
f ) la circostanza che la persona sia “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”
g ) Ai fini dell’applicazione della non punibilità per il reato dell’art. 580 CP tutte queste “condizioni” ed anche “le modalità di esecuzione” dell’agevolazione al suicidio ( “le quali dovranno essere evidentemente tali da evitare abusi a danno di persone vulnerabili, da garantire la dignità del paziente e da evitare al medesimo sofferenze” – motivazione paragrafo 5 penultimo capoverso) devono esser “state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico competente” ( dispositivo sentenza : si tratta dei cd. ‘requisiti o condizioni procedurali’ ) ;
La sentenza 135/2024 ( par. 9 , primo periodo ) ha sul punto sinteticamente riaffermato “la necessità del puntuale rispetto delle condizioni procedurali stabilite dalla sentenza n. 242 del 2019, che questa Corte ha giudicato essenziali per prevenire il pericolo di abusi a danno delle persone deboli e vulnerabili…”.
Rinvio a pubblicazioni precedenti, indicate in nota**** per l’analisi dei principi e della condizioni richieste dalla sentenza 242/2019 per la non punibilità dell’agevolazione del suicidio, ma è necessario sottolineare sinteticamente, anche in questo scritto, che la sentenza – cd. ‘autoapplicativa’ e pertanto immediatamente applicabile senza necessità di alcun intervento normativo- non assegna alcun compito di partecipazione attiva al servizio sanitario nazionale nel “percorso medicalizzato” necessario per la non punibilità dell’agevolazione all’esecuzione del suicidio ; mentre affida esclusivamente a “strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale…la verifica delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio e quella delle relative modalità di esecuzione” ( principio di estraneità ed imparzialità, rigorosamente ma diversamente declinato anche in relazione al parere del comitato etico territorialmente competente, indicato quale “organo collegiale terzo munito di adeguate competenze”).
Il GIP del Tribunale di Firenze con ordinanza del 17/1/2024 sollevava nuove eccezioni di legittimità costituzionale, evidenziando diversi profili ( artt.2, 3, 13, 32, 117 Cost. ) di possibile incostituzionalità dell’incriminazione della disposizione penale relativa all’agevolazione dell’esecuzione del suicidio altrui, come modificata dalla sentenza 242/2019 della Corte (art. 580 CP ), nei limiti in cui esige, per l’applicazione della condizione di non punibilità dell’agevolatore, che la persona sia “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”. ***
La Corte Costituzionale, con la sentenza 135/2024
. ha dichiarato ( dispositivo della sentenza) “non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 580 CP sollevate…”, respingendo analiticamente ogni eccezione proposta (“nessuna di tali questioni è, a giudizio di questa Corte, fondata” – par. 7.1 della motivazione in diritto della sentenza), confermando integralmente i limiti sostanziali posti dalla sentenza 242/2019 per la non punibilità dell’agevolazione materiale all’esecuzione del suicidio ;
. ha confermato così l’essenzialità, ai fini dell’applicazione della non punibilità di chi agevoli l’esecuzione del suicidio altrui ( unitamente a tutte le altre stringenti condizioni riportate nel dispositivo della sentenza 242/2019 ), del requisito che la persona sofferente fosse “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”;
. ha contestualmente riaffermato “la necessità del puntuale rispetto delle condizioni procedurali (accertamenti, verifiche, controlli su condizioni e modalità di esecuzione del suicidio ‘agevolato’) stabilite dalla sentenza 242/2019, che questa Corte ha dichiarato essenziali per prevenire il pericolo di abusi a danno delle persone deboli e vulnerabili...” (par.9 della motivazione). Proprio per garantire una maggiore ‘affidabilità’ nella valutazione, la sentenza 242/2019, infatti, ha disposto che la “verifica” delle condizioni e delle modalità di esecuzione sia “affidata” sempre e soltanto ad “una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico competente” ( dispositivo sentenza) . Sottolineo che alla struttura pubblica del servizio sanitario nazionale non è affidato dalla sentenza della Corte alcun compito di partecipazione ‘attiva’ al ‘percorso medicalizzato di agevolazione all’esecuzione del suicidio’, cui è estranea; mentre al comitato etico territorialmente competente è assegnata –“nelle more dell’intervento del legislatore”- la funzione (‘qualificata’ ma meramente consultiva), costituita dall’espressione di un “parere” di carattere etico-sanitario proprio perché si tratta di “organo collegiale terzo, munito di adeguate competenze, il quale possa garantire la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità” ( ultimo capoverso par.5 della motivazione della stessa sentenza ).
. ha aggiunto che nel procedimento per il reato di cui all’art. 580 CP nei confronti di chi abbia agevolato l’esecuzione del suicidio “resta naturalmente impregiudicata la necessità di un attento accertamento, da parte del giudice penale, di tutti i requisiti del delitto, compreso l’elemento soggettivo” ( par. 9 della motivazione, ultima frase ).
2. La sentenza 135/2024 e la rilettura dei principi fondamentali della Costituzione
La Corte ha voluto premettere ( paragrafo 5) “all’esame del merito delle questioni…una breve ricognizione della giurisprudenza di questa Corte sui principi coinvolti dalle questioni medesime : principi tutti di sommo rilievo nell’ordinamento costituzionale italiano”.
2.1 Il diritto alla vita e i bilanciamenti possibili: il consenso informato, la prescrizione del medico e il diritto di rifiutare trattamenti sanitari come “libertà negativa” - La ragionevolezza e i limiti all’autodeterminazione terapeutica - La dignità del paziente
Senza riportare tutti i passaggi sottolineati dalla sentenza 135/2024, che fa proprie le conclusioni e le motivazioni della sentenza 242/2019 ( e, per la parte non incompatibile, quelle della precedente ordinanza di rinvio 207/2018) ed ha valorizzato particolarmente la motivazione della sentenza 50/2022 della stessa Corte (che ha escluso l’ammissibilità costituzionale di referendum abrogativo del delitto di cui all’art. 579 CP-“omicidio del consenziente”, tra le cui ipotesi rientra l’eutanasia) , mi limito ad evidenziare, a proposito del diritto alla vita e del dovere costituzionale della sua tutela, che al paragrafo 5.1 della motivazione in diritto la Corte Costituzionale ha ribadito che :
. la disposizione dell’art. 580 CP “ è posta a tutela della vita umana : bene che, come questa Corte ha recentemente sottolineato, si colloca in posizione apicale nell’ambito dei diritti fondamentali della persona (sent. 50/2022, punto 5.2)”;
. il diritto alla vita va ricondotto “all’area dei diritti inviolabili della persona riconosciuti dall’art. 2 Cost, e cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione, per così dire privilegiata, in quanto appartengono … all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana….La vita, si aggiunge, è del resto presupposto per tutti gli altri diritti inviolabili…” ( sent. 135/2024, par. 5 punto 1) ;
. il diritto alla vita è oggetto di tutela espressa da parte di tutte le carte internazionali dei diritti umani, che menzionano per primo tale diritto rispetto ad ogni altro ( art. 2 CEDU, art.6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici ), ovvero immediatamente dopo la proclamazione della dignità umana ( art. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) . Da tali disposizioni scaturiscono obblighi che vincolano anche l’ordinamento nazionale, per il tramite dell’art. 117, primo comma Cost.” ( ibidem ) ;
. dal riconoscimento del diritto alla vita scaturisce…il corrispondente dovere dell’ordinamento di assicurarne la tutela attraverso la legge ( oltre che, piu’ in generale, attraverso l’azione di tutti i pubblici poteri )” ( ibidem ). Sottolineo che tale dovere costituisce compito fondamentale della Repubblica : “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo … e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà…”( art. 2 Cost); “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…” ( art. 3 sec. comma Cost.) .
Al par. 7.2 la sentenza 135/2024 ha analizzato e ‘bilanciato’, in particolare, il rapporto tra diritto alla vita e diritto all’autodeterminazione ; in relazione a quest’ultimo diritto la Corte Costituzionale, con la sentenza 242/2019, ha ritenuto “irragionevole”- per contrasto con il ‘principio di ragionevolezza’ di cui all’art. 3 Cost. -- la sanzione penale nei confronti di chi agevoli l’esecuzione del suicidio ed ha pertanto ritagliato, all’interno del reato di cui all’art. 580 CP, una ristretta area di non punibilità.
Il principio di autodeterminazione, nell’ambito medico-sanitario, viene declinato come “autodeterminazione terapeutica” o, piu’ correttamente, come “autonomia decisionale” della persona-“paziente”; quest’ultima ‘si incontra’, nella “relazione di cura e di fiducia” paziente - medico, con “la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico”, che – in base alla diagnosi- ‘indica’ o ‘prescrive’ i trattamenti sanitari “appropriati allo stato del paziente” ( art. 1, commi 5 e 6 e art. 2 legge 219/2017).
Attraverso l’applicazione del principio di ragionevolezza della sanzione penale la Corte ha ritenuto di valorizzare nei confronti dello stesso ‘terzo agevolatore’, come condizione di non punibilità, la “nozione soggettiva di dignità” personale fatta propria dal paziente nel ‘sentire come intollerabile’ la sua sofferenza.
Si tratta però, come sottolinea la Corte al punto 7.3 della sentenza 135/2004, di “una nozione che si connette alla concezione che il paziente ha della propria persona e al suo interesse a lasciare una certa immagine di sé” ; ma nello stesso paragrafo ( 7.3 ) la motivazione della sentenza precisa inequivocabilmente, ad evitare qualsiasi fraintendimento , che “occorre subito sottolineare che, dal punto di vista dell’ordinamento, ogni vita è portatrice di un’inalienabile dignità, indipendentemente dalle concrete condizioni in cui essa si svolga. Sicchè ….certamente non potrebbe affermarsi che il divieto penalmente sanzionato di cui all’art. 580 CP costringa il paziente a vivere una vita, oggettivamente, non degna di essere vissuta” (costituzionalizzazione del concetto assoluto, oggettivo e primario di dignità di ogni persona umana – artt. 2 e 3 Cost-, contrastante con la concezione relativa e soggettiva della stessa dignità ).
Ribadisce la Corte che, pur non essendo “insensibile alla nozione ‘soggettiva’ di dignità del proprio vivere e del proprio morire… tuttavia non può non rilevarsi che questa considerazione di dignità finisce…per coincidere con quella di autodeterminazione della persona, la quale a sua volta evoca l’idea secondo cui ciascun individuo debba poter compiere da sé le scelte fondamentali che concernono la propria esistenza, incluse quelle che concernono la propria morte”. Ma “rispetto a tale nozione non possono non valere le considerazioni già svolte circa la necessità di un bilanciamento a fronte del contrapposto dovere di tutala della vita umana”; dovere che, nell’attuale ordinamento costituzionale e normativo, ha condotto la Corte stessa a riconoscere solo una condizione di non punibilità limitata per il reato di cui all’art. 580 CP commesso da chi ha agevolato materialmente l’esecuzione del suicidio altrui ( unicamente in presenza dei presupposti e delle condizioni ritagliate dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale).
Considerazioni analoghe valgono nel rapporto tra diritto alla vita ed altri diritti costituzionali o ‘costituzionalizzati’ , quali il diritto alla propria vita privata ( art. 8 CEDU ), tutti sostanzialmente riconducibili, del resto, alla problematica del bilanciamento tra diritto alla vita, con il conseguente dovere di protezione, e tutela dell’autodeterminazione del paziente.
La Corte Costituzionale ha bilanciato dunque i diversi principi costituzionali precisando che, di fronte al diritto alla vita, il diritto costituito dalla “autonomia decisionale del paziente” ( in particolare si vedano gli art. 1 commi 5, 6 e art. 2 legge 219/2017 sul consenso informato) può esprimersi in maniera piena (soltanto) nel diritto a rinunciare-rifiutare l’effettuazione o la prosecuzione “di qualsiasi trattamento sanitario indicato dal medico” (art. 1 comma 5 ), anche quando si tratti di “trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza” (art. 32 sec. comma Cost.) .
Come ribadisce la Corte al paragrafo 5.2 della sentenza 135/2024, sulla base dell’art. 32, sec. comma Cost. “anche quando il trattamento sia necessario ad assicurare la sopravvivenza del paziente, questi ha … il diritto di rifiutare l’attivazione di un tale trattamento, ovvero di ottenerne l’interruzione. In tal modo…l’ordinamento riconosce in sostanza al paziente la libertà di lasciarsi morire, con effetti vincolanti nei confronti dei terzi” (nei limiti e con le modalità previste dall’art. 1 commi 5 e 6 legge 2019/2017 ).
Nell’indispensabile “relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico”, su cui si basa il cd. “consenso informato”, “l’autonomia decisionale del paziente” si incontra (però-ndr) necessariamente con “la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico”, cui soltanto compete la proposta-indicazione-prescrizione del trattamento sanitario “appropriato” (anche relativamente alla “terapia del dolore”- art. 2 della legge); mentre il paziente, “informato” in maniera idonea e corretta, nella sua “autonomia decisionale” ha il diritto di rifiutarla (comma 5 art. 1), ma non di sostituirla o modificarla autonomamente o di pretenderne una diversa.
Il diritto a rifiutare il trattamento sanitario – che vale anche quando si tratta di trattamenti prescritti dal medico “necessari per la propria sopravvivenza”(“trattamenti di sostegno vitale”) - è , come testualmente chiarisce la Corte nella sent.135/2024 ( par. 7.2)- “legato alla tutela della dimensione corporea della persona da ogni inerenza esterna non previamente consentita e dunque - in definitiva – alla tutela dell’integrità fisica della persona. Esso si caratterizza, dunque, primariamente come libertà ‘negativa’ del paziente a non subire interventi indesiderati sul corpo e nel corpo, anche laddove tali interventi abbiano lo scopo di tutelare la sua salute o la sua stessa vita” ( vedasi comma 5 art. 1 legge 219/2017 sul consenso informato e art. 32, sec. comma Cost.) .
2.2 L’inesistenza del diritto all’aiuto al suicidio, la sanzione penale e l’eccezione : la ‘condizione di non punibilità limitata’
Al contrario soltanto il paziente sofferente, nei ristretti limiti dettati dalla sentenza 242/2019, può richiedere ( mai ‘pretendere’) all’agevolatore ‘aiuto’ per l’esecuzione del suicidio (che del resto non è certo qualificabile come “trattamento terapeutico”); questa richiesta contrasta necessariamente con le prescrizioni-indicazioni terapeutiche del medico, cui resta in ogni caso vietato (come a qualsiasi altra persona) ‘suggerire’ il ricorso al suicidio assistito ( art. 580 CP).
Di fronte a tale richiesta, anzi ( come testualmente chiarisce il paragrafo 6 della motivazione della sentenza 242/2019) , il medico non ha “alcun obbligo di procedere a tale aiuto… Resta affidato, pertanto alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato” (questa espressa constatazione-indicazione supera, come specifica la Corte , ogni problematica di obiezione di coscienza, ipotizzabile solo di fronte ad un obbligo-dovere giuridico).
Pertanto, a tutela del diritto alla vita - “il primo dei diritti inviolabili dell’uomo, in quanto presupposto di tutti gli altri” diritti, che da esso discendono necessariamente ( sent. Corte Cost. 50/2022, par.5.2 )-, contrariamente a quanto previsto per la rinuncia-rifiuto di trattamenti sanitari ( atto di per sé unilaterale, seppur contrastante con la “prescrizione medica” del trattamento sanitario adeguato alle condizioni del paziente), non può ritenersi costituzionalmente legittima una parallela risposta positiva dell’ordinamento di fronte all’intromissione attiva di terzi per l’attuazione-esecuzione della propria morte ( inesistenza del diritto alla morte -aiuto al suicidio- omicidio del consenziente : si veda per tutti secondo paragrafo punto 2.6 della sentenza 242/2019-).
La stessa ordinanza 207/2018 della Corte Costituzionale, ripresa sul punto dalle successive sentenze, aveva esplicitamente affermato : “ Dall’art.2 della Costituzione – non diversamente che dall’art. 2 CEDU- discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello -diametralmente opposto- di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire” ( par. 5.2 della motivazione ).
Su queste premesse tutte le successive sentenze della Corte Costituzionale ( la sent. 242/2019, che ha introdotto la condizione di non punibilità per una limitata ipotesi di aiuto materiale -agevolazione- all’esecuzione del suicidio; la sent. 50/2022, che ha dichiarato inammissibile un referendum abrogativo dell’omicidio di persona consenziente- art. 579 CP-; e, da ultimo la sentenza 135/2024 qui commentata, che ha respinto le eccezioni di costituzionalità sull’art. 580 CP come modificato dalla sentenza 242/2019 con l’introduzione della condizione di non punibilità ), hanno riaffermato l’inesistenza costituzionale di qualsiasi diritto soggettivo all’aiuto al suicidio.
Hanno anzi sottolineato ( da ultimo la sent. 135/2024 della Corte Costituzionale, al paragrafo 6.1) nel vigente ordinamento, la necessità del “mantenimento, attorno alla persona,…contro scelte autodistruttive, di una cintura di protezione…realizzato attraverso la duplice incriminazione dell’omicidio del consenziente e di ogni forma di istigazione o agevolazione materiale dell’altrui suicidio”;… (esso-ndr) “assolve allo scopo, di perdurante attualità, di tutelare le persone che attraversano difficoltà e sofferenze, anche per scongiurare il pericolo che coloro che decidono di porre in atto il gesto estremo e irreversibile del suicidio subiscano interferenze di ogni genere. L’incriminazione in parola deve dunque essere, oggi, intesa come funzionale a proteggere la vita delle persone rispetto a scelte irreparabili che pregiudicherebbero definitivamente qualsiasi ulteriore diritto o libertà, al fine di evitare che simili scelte, collegate a situazioni, magari solo momentanee, di difficoltà e sofferenza, o anche soltanto non sufficientemente meditate, possano essere indotte, sollecitate o anche solo assecondate da terze persone, per le ragioni piu’ diverse”.
“Il divieto in parola – prosegue lo stesso paragrafo della motivazione citando la sentenza 50/2022- conserva una propria evidente ragion d’essere anche, se non soprattutto, nei confronti delle persone malate, depresse, psicologicamente fragili, ovvero anziane e in solitudine, le quali potrebbero essere facilmente indotte a congedarsi prematuramente dalla vita, qualora l’ordinamento consentisse a chiunque di cooperare anche soltanto all’esecuzione di una loro scelta suicida…”.
Sul punto già l’ordinanza 207/2018 (con cui la Corte rinviava di un anno la decisione sulla parziale illegittimità costituzionale dell’art. 580 CP – agevolazione materiale all’esecuzione del suicidio - per permettere l’intervento del legislatore nazionale, mai avvenuto ) aveva chiaramente sottolineato con parole univoche la radicale differenza tra la condotta della persona suicida e quella di chi cooperi al suicidio altrui: “ La circostanza, del tutto comprensibile e rispondente ad una opzione da tempo universalmente radicata, che l’ordinamento non sanzioni chi abbia tentato di porre fine alla propria vita non rende affatto incoerente la scelta di punire chi cooperi materialmente alla dissoluzione della vita altrui, coadiuvando il suicida nell’attuazione del suo proposito. Condotta questa che – diversamente dalla prima- fuoriesce dalla sfera personale di chi la compie, innescando una relatio ad alteros di fronte alla quale viene in rilievo, nella sua pienezza, l’esigenza del rispetto del bene della vita”.
La sentenza 50/2022 ( paragrafo 5.2 ) ha affermato che il bene-vita costituisce “un valore che si colloca in posizione apicale nell’ambito dei diritti fondamentali della persona. Come questa Corte ha auto modo di chiarire in piu’ occasioni, il diritto alla vita, riconosciuto implicitamente dall’art. 2 Cost., è da iscriversi tra i diritti inviolabili, e cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione, per così dire privilegiata, in quanto appartengono – per usare l’espressione della sentenza n. 1146 del 1988- all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana ... Esso concorre a costituire la matrice prima di ogni altro diritto, costituzionalmente protetto, della persona (sent. 238 del 1966)…. Esso è il primo dei diritti inviolabili dell’uomo , in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri ….Da esso discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo : non quello -diametralmente opposto – di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire “.
La sentenza 135/2024 nel confermare le conclusioni della sentenza 242/2019 e della sentenza 50/2022 , ha sottolineato che “si impone al legislatore, così come al potere referendario…una soglia minima di tutela della vita umana…che si risolve nella insostenibilità costituzionale di una ipotetica disciplina che dovesse far dipendere dalla mera volontà dell’interessato la liceità di condotte che ne cagionino la morte, a prescindere dalle condizioni in cui il proposito è maturato, dalla qualità del soggetto attivo e dalle ragioni da cui questo è mosso, così come dalle forme di manifestazione del consenso e dai mezzi usati per provocarne la morte”.
Questo rispetto costituzionalmente necessario del bene-vita richiede che, nel contesto normativo vigente, sia prevista, sotto il profilo della perseguibilità penale ( art. 580 CP), un’unica eccezione alla generale punibilità del reato di aiuto al suicidio , strettamente delineata dalla Corte con la sentenza 242/2019 in tutti i suoi essenziali elementi costitutivi, tra i quali quello per cui la persona sofferente sia ‘in atto e di fatto’ “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale” ( e non soltanto attraverso il fisiologico contributo delle diverse ed articolate terapie mediche - che la persona può comunque sempre rifiutare ).
Così si esprime testualmente la motivazione della sentenza 135/2024 al paragrafo 6.2 : “ L’art. 580 CP è stato dichiarato pertanto costituzionalmente illegittimo - ( soltanto : ndr ) - nella parte in cui non prevedeva un’eccezione alla generale punibilità di ogni forma di aiuto al suicidio per le peculiari ipotesi in cui la persona aiutata sia una persona a) affetta da una patologia irreversibile b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che trova assolutamente intollerabili, la quale sia c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli…”.
Solo in questi limiti testuali, (che riportano il dispositivo della sent. 242/2019 ) vale quella che la sentenza 135/2024 definisce espressamente al paragrafo 6 “eccezione alla generale punibilità di ogni forma di aiuto al suicidio”; eccezione per cui la sentenza 242/2019 ha ritenuto “irragionevole mantenere ferma l’operatività del divieto di cui all’art. 580 CP anche nell’ipotesi di pazienti che abbiano già la possibilità….di porre termine alla propria esistenza attraverso il rifiuto delle cure necessarie per tenerli in vita: rifiuto che determinerebbe la prospettiva del decesso in breve lasso di tempo anche in pazienti che pure sarebbero in grado, proseguendo quei trattamenti, di sopravvivere a lungo” ( applicazione del principio di ragionevolezza riguardo alle sanzioni penali, ricavato dall’art. 3 Costituzione).
La sentenza 135/2024 sottolinea che , nonostante alcune decisioni di altre Corti Costituzionali ( tedesca, austriaca e spagnola nonché Equador) intervenute dopo la sentenza 242/2019 e decisioni precedenti di altre Corti extraeuropee ( quali quella canadese ) abbiano, seppur in modo diverso, ritenuto di riconoscere un sostanziale diritto all’aiuto al suicidio ( quando non alla stessa eutanasia ), tuttavia, nel nostro ordinamento costituzionale non può esser riconosciuto un diritto analogo: “Questa Corte tuttavia …ritiene di dover pervenire a diverso risultato”.
Infatti, ribadisce la Corte, sostanzialmente, che - nell’ attuale assetto costituzionale e normativo - va ‘bilanciato’ a favore della preminenza del bene-vita (e del diritto alla vita) il contrasto con ogni altro diritto (in particolare con il diritto all’autodeterminazione). Ciò pur lasciando “un significativo spazio alla discrezionalità del legislatore”, ma solo “nell’ambito della cornice fissata” dalla sentenza 242/2019”.
Pertanto, pur riconoscendo come “la decisione su quando e come concludere la propria esistenza possa ritenersi inclusa tra quelle piu’ significative della vita di ogni individuo”, tuttavia “ogni scelta di legalizzazione di pratiche di suicidio assistito o di eutanasia amplia gli spazi di autonomia della persona nel decidere liberamente sul proprio destino”, ma “crea - al tempo stesso – rischi che l’ordinamento ha il dovere di evitare, in adempimento del dovere di tutela della vita umana che, esso pure, discende dall’art. 2 Cost.” (par. 7.2 ).
2.3 Il diritto-dovere di cura - L’accesso alle cure palliative – Considerazioni personali
Dal diritto alla vita, dalla dignità stessa di ogni persona, dagli obblighi costituzionali di solidarietà, dal diritto alla salute ( artt. 2-3-32 Cost.) discende il carattere fondamentale e primario del dovere di cura che grava su ogni persona ed organizzazione sociale, ma -in modo specifico e peculiare- sullo Stato, sulle Regioni e su tutti gli enti a carattere pubblico ( ma anche privato ) che costituiscono il servizio sanitario e sociosanitario nazionale, in tutte le sue diverse articolazioni.
In questo quadro ben si giustificano- anzi si impongono- le estreme cautele che emergono dalla lettura delle sentenze della Corte Costituzionale a fronte di una pur limitata ed eccezionale deroga ( costituita dalla condizione di non punibilità creata dalla stessa Corte ) all’obbligo di garantire il bene-vita di fronte ad ogni intervento di terzi ( quali che ne siano intenzioni e motivazioni ) diretto alla sua soppressione, anche quando esso sia stato in qualsiasi modo richiesto o consentito.
La cura – cioè lo ‘stare assieme alla persona che soffre’ prendendone a cuore la sofferenza, condividendola ognuno nel proprio ruolo e con le proprie responsabilità ed offrendole gli strumenti ed i trattamenti sanitari, psicologici e sociali “appropriati allo stato del paziente” per “alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico” – costituisce “compito” primario della Repubblica ( artt. 2, 3 e 32 Cost. ) e non solo del medico o dell’équipe sanitaria.
Non per nulla, per esempio, è riconosciuto dall’art. 1 legge 38/2010 “il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore” e il dovere delle strutture sanitarie di ‘assicurare’ un “programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia” che abbia come principi fondamentali “la tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine” e “un adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia” (comma 3 lett. b – c ) ; o la costituzione di “reti” per “garantire la continuità assistenziale del malato dalla struttura ospedaliera al suo domicilio”( art. 2 lett.d ) ; e, ancora, dal primo comma dell’art. 2 della legge 219/2017, la ‘garanzia’ di una “appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del MMG e l’erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010 n. 38”.
La cura riguarda la sofferenza nella sua totalità esistenziale, sia nel suo aspetto ‘fisico’ che ‘psicologico’, come sottolineato dallo stesso dispositivo della sentenza 242/2019 ( “fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili”).
La cura impone di ‘non lasciar solo’ il paziente nella sua sofferenza e, a differenza dei singoli trattamenti sanitari proposti ( che fanno parte della cura, ma non la esauriscono ), non è mai rinunciabile. Non esiste pertanto la possibilità di ‘abbandono della cura’: anche a fronte della richiesta di aiuto al suicidio, la cura deve proseguire autonomamente fino alla morte della persona-paziente, pur su una linea operativa autonoma, parallela e sostanzialmente contrapposta al percorso di assistenza- agevolazione al suicidio. Con essa si prospetteranno sempre “ possibili alternative”; perfino – di fronte a “sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari - la “sedazione profonda continua in associazione con a terapia del dolore”( art. 2 comma 2 della legge 219/2017). Si promuoverà- anche con il coinvolgimento dei “familiari”- “ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica”, garantendo sempre alla persona-paziente, fino all’atto esecutivo finale ( realizzato dallo stesso paziente ) “la possibilità di modificare la propria volontà” (art. 1 comma 5 della legge 219/2017).
Nell’ambito del dovere di cura rientra il diritto alle ‘cure palliative’ di cui alla legge 38/2010 ed all’art. 2 comma 1 della legge 219/2017 , che sottolinea che “il medico, avvalendosi dei mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico” ( va sottolineato che le cure palliative rientrano nei livelli essenziali di assistenza ).
Già con la sentenza 242/2019 la Corte sottolineava che occorre tentare di rimuovere, per quanto possibile, le cause delle condizioni di intollerabile sofferenza del paziente, che causano la sua volontà suicida e, addirittura, la richiesta a terzi di un aiuto all’esecuzione del suicidio) : “l’accesso alle cure palliative, ove idonee a eliminare la sofferenza, spesso infatti si rivela idoneo a rimuovere le cause della volontà del paziente di congedarsi dalla vita”(par.5 sentenza).
Queste condizioni di sofferenza necessitano di ogni “azione di sostegno al paziente, comprensive soprattutto delle terapie del dolore”( par. 5 della motivazione); ma la stessa terapia del dolore presuppone un intenso rapporto biunivoco medico-paziente, con il “coinvolgimento” effettivo del medico nelle condizioni di sofferenza del paziente ( il che presuppone “una conoscenza accurata delle condizioni di sofferenza”) e del paziente stesso nel percorso di terapie del dolore proposto. Solo con questo concreto coinvolgimento si può conseguire lo stesso auspicato abbandono da parte della persona-paziente, della decisione suicida .
Ma certamente questo auspicio ha, e rischia ancor piu’ di avere nel prossimo futuro, oggettive difficoltà realizzative, quando si prosegue da quasi trent’anni nella ( cosciente o meno che sia ) insensata demolizione e parcellizzazione del Servizio Sanitario ( e socio-sanitario) Nazionale . Questo non vive nelle belle parole o nelle promesse di impegno futuro e neppure soltanto nei proclami normativi : ha assoluta necessità di ‘finanziamenti effettivi’ nuovi e di una ‘totale complessiva, unitaria riorganizzazione’. Non si può accettare che si sterilizzi nel subire la decadenza un servizio pubblico che , fino a pochi anni fa, con il sacrificio di tutto il personale medico e paramedico ( si ricordi quel che è avvenuto durante l’emergenza Covid ) era additato come un’eccellenza italiana e, addirittura, mondiale!
Eppure la ‘cura’ è il compito fondamentale che la Costituzione assegna alla Repubblica ( artt. 2, 3, 32 ), basata sul personalismo e sul solidarismo nella tutela della vita e della salute, della stessa assoluta ed ontologica dignità di ogni essere umano.
Ma non è possibile garantire davvero un adeguato percorso di cura quando, come sta avvenendo per il nostro SSN pubblico, viene meno da trenta anni un finanziamento adeguato, non si ristruttura unitariamente un’organizzazione diversa e divisa territorialmente, parcellizzata ed erosa nel lungo periodo dalle obsolescenze degli strumenti tecnologici, dalle inadeguatezze logistiche, dalla progressiva perdita per anzianità o dimissioni del personale medico e sanitario diversamente qualificato, ma sempre mal pagato, svalorizzato e stremato, soprattutto in alcuni servizi essenziali, da eccessi di cumulo lavorativo e di burocrazia; contesto che – unito all’aumento dell’anzianità e morbilità della popolazione - spesso limita ( quando non rende impossibile ) l’attuazione di norme pur magnifiche quali quella del comma quinto dell’art .1 legge 219/2017 ( “il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”); o degli artt. 1 e 2 della legge 38/2010 che vorrebbero assicurare, attraverso reti che garantiscano la continuità assistenziale dalla struttura ospedaliera al proprio domicilio, una assistenza domiciliare coordinata, anche relativamente alle cure palliative, dal MMG; un programma di cura individuale del malato che garantisca “ adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia”; sostegno sempre finalizzato alla “tutela della dignità e della qualità della vita” della persona sofferente.
Si può così comprendere facilmente perché la sentenza 135/2024 della Corte Costituzionale si concluda (par. 10) con “lo stringente appello, già contenuto nella sentenza 242 del 2019… affinchè, sull’intero territorio nazionale, sia garantita a tutti i pazienti, inclusi quelli ammessi alla procedura di suicidio assistito, una effettiva possibilità di accesso alle cure palliative appropriate per controllare la loro sofferenza, secondo quanto previsto dalla legge n. 38/2010…. Come sottolineato da questa Corte sin dall’ordinanza n. 207 del 2018, occorre in ogni caso assicurare, anche attraverso la previsione delle necessarie coperture dei fabbisogni finanziari, che ‘ l’opzione della somministrazione di farmaci in grado di provocare entro breve lasso di tempo la morte del paziente non comporti il rischio di alcuna prematura rinuncia, da parte delle strutture sanitarie, a offrire sempre al paziente medesimo concrete possibilità di accedere a cure palliative diverse dalla sedazione profonda continua, ove idonee a eliminare la sua sofferenza – in accordo con l’impegno assunto dallo Stato con la citata legge n. 38/2010 – sì da porlo in condizione di vivere con intensità e in modo dignitoso la parte restante della propria esistenza”.
2.4 I trattamenti di sostegno vitale - trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza
Si tratta di quelle “situazioni”, collegate proprio al requisito dell’esser la persona “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”, “inimmaginabili all’epoca in cui la norma incriminatrice fu introdotta, ma portate sotto la sua sfera applicativa dagli sviluppi della scienza medica e della tecnologia, spesso capaci di strappare alla morte pazienti in condizioni estremamente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali” (par. 2.3 della sentenza 242/2019 ).
Prosegue la sentenza 135/2024 che solo in queste situazioni limitate il cui il “mantenimento artificiale in vita non è piu’ voluto e che egli ha il diritto di rifiutare” ( art. 32 Cost.) deve ritenersi l’ irragionevolezza della sanzione penale per colui che, a richiesta della persona sofferente “ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli” agevoli materialmente l’esecuzione del suicidio di chi, in presenza delle altre condizioni previste dal dispositivo della sentenza, abbia richiesto aiuto per la sua esecuzione.
In questo contesto – e solo in questo contesto -, in cui il rifiuto dei “trattamenti di sostegno vitale” o “trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza”(secondo la terminologia del c. 5 art. 1 della legge 219/2017 ) “determinerebbe la prospettiva del decesso in breve lasso di tempo”( sent. 135/2024, par. 6.2 primo periodo) può ritenersi non punibile l’agevolazione materiale del suicidio altrui.
Ma ciò solo qualora, interrompendo il percorso di cura in essere ( artt. 1 e 2 l. 219/2017 ), concorrano anche tutti gli altri elementi soggettivi richiesti dalla sentenza 242/2019 per l’applicazione della condizione di non punibilità ( formazione autonoma del proposito suicida; patologia irreversibile ; sofferenze intollerabili ; piena capacità , libertà e consapevolezza decisionale ) ; e va sottolineato che la decisione suicida deve esser stata mantenuta nonostante la concreta prospettazione e l’effettiva promozione delle “alternative possibili”, terapeutiche, palliative ed assistenziali (promozione di “ogni azione di sostegno…anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica”). Tra le “alternative possibili” rientra - oltre alla garanza di “un’appropriata terapia del dolore”-, a fronte di “sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari”, anche il ricorso alla “sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore” ( art. 2 comma 2 l. 219/2017).
Ancora, la stessa sentenza 135/2024, al par.7 punto 4, ultimo capoverso, esclude ogni irragionevolezza, discriminazione o contrasto con il principio di eguaglianza ( art. 3 Cost. e art. 14 CEDU) per la previsione della necessità, per la non punibilità dell’assistenza all’esecuzione del suicidio, della condizione che la persona gravata da intollerabili sofferenze sia “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale” (o, come si esprime il comma 5 dell’art.1 l. 219/2017, “trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza”) : “non può … ritenersi irragionevole la limitazione della liceità dell’aiuto al suicidio ai soli pazienti che abbiano già la possibilità, in forza del diritto costituzionale, di porre fine alla loro vita rifiutando i trattamenti di sostegno vitale” .
Anzi, al paragrafo 7.1, secondo capoverso, precisa che “il requisito della dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale – che pure rappresenta un unicum nel l’orizzonte del diritto comparato…- svolge, in assenza di un intervento legislativo, un ruolo cardine nella logica…(della ) sentenza 242/2019”.
Nello stesso paragrafo 7, al punto 1, la Corte ha ribadito anzi la piena ragionevolezza di tale limite, sottolineando che la sentenza 242/ 2019 “non ha riconosciuto un diritto generale di terminare la propria vita in ogni situazione di sofferenza intollerabile, fisica o psicologica, determinata da una patologia irreversibile, ma ha soltanto ritenuto irragionevole precludere l’accesso ( attraverso la sanzione penale di chi ne abbia agevolato l’esecuzione: ndr ) al suicidio assistito di pazienti che – versando in quelle condizioni e mantenendo intatte le proprie capacità decisionali – abbiano già il diritto, loro riconosciuto dalla legge 219/2017 in conformità all’art. 32, sec. comma Cost.-, di decidere di porre fine alla propria vita rifiutando il trattamento necessario ad assicurarne la sopravvivenza. Una simile ratio, all’evidenza, non si estende a pazienti che non dipendano da trattamenti di sostegno vitale, i quali non hanno ( o non hanno ancora ) la possibilità di lasciarsi morire semplicemente rifiutando le cure. Le due situazioni sono, dunque, differenti dal punto di vista della ratio adottata…; sicchè viene meno il presupposto stesso della censura di irragionevole disparità di trattamento di situazioni analoghe, formulata con riferimento all’art. 3 Cost.”
Possono esser ritenuti “trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza” o “trattamenti di sostegno vitale” ( che sono tali solo in quanto “indicati” o “prescritti” dal medico) tutti quei dispositivi, quelle procedure, modalità, strumentazioni sanitarie indicate o prescritte dal medico, la cui applicazione è necessaria per una (tendenzialmente) prolungata assistenza tecnica medico-sanitaria del paziente ; e comunque quelle che siano in concreto indispensabili per assicurare, in un arco di tempo significativo, la sua stessa sopravvivenza (poiché giungerebbe alla morte in breve tempo ove non venissero abitualmente o continuativamente utilizzati) .
La sentenza 242/2019 li qualifica come metodologie e procedure conseguenti agli sviluppi della scienza medica e della tecnologia che assicurano il “mantenimento artificiale in vita” del malato ( par. 2.3, primo capoverso).
Normalmente si tratta a) di trattamenti “artificiali” ( la sentenza 242/2019 al paragrafo 2.3 li identifica indirettamente con gli ‘apprestamenti’ necessari per “ il mantenimento artificiale in vita” ), nel senso che vengono realizzati attraverso il collegamento necessario -comunque realizzato- del paziente con macchinari/strumenti/“dispositivi” tecnologici “esterni” o “estranei” alla ‘fisicità naturale’ dello stesso.
Ne costituiscono esempi tipici, ma certamente non unici, l’utilizzazione dei diversi strumenti per la ventilazione meccanica, per l’emodialisi periodica, per l’emotrasfusione abituale, per la rianimazione cardiopolmonare ma anche, secondo il comma 5 dell’art. 1 della l. 219/2017, la nutrizione e l’idratazione artificiale “in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di apporti nutritivi mediante dispositivi medici”.
Precisa però la Corte Costituzionale, con la sentenza 135/2024, che vi possono rientrare anche b ) quelle procedure “che sono normalmente compiute dal personale sanitario, e la cui esecuzione richiede certo particolari competenze, oggetto di specifica formazione professionale, ma che potrebbero essere apprese da familiari o ‘cargivers’ che si facciano carico dell’assistenza del paziente. Nella misura in cui tali procedure – quali …l’evacuazione manuale dell’intestino del paziente, l’inserimento di cateteri urinari o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali – si rivelino in concreto necessarie ad assicurare l’espletamento di funzioni vitali del paziente, al punto che la loro omissione o interruzione determinerebbe prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo, esse dovranno essere considerate quali trattamenti di sostegno vitale, ai fini dell’applicazione dei principi statuiti dalla sentenza 242 del 2019” (par. 8, terzo periodo).
Esprimendo un parere personale sul punto, a fronte delle numerose richieste - formulate da parti diverse - di intervento legislativo di precisazione/definizione del concetto di “persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”, dubito fortemente della sua opportunità. Infatti il raggio di estensione dell’espressione, nei limiti dell’inquadramento logico-giuridico sopra delineato, è necessariamente vario ed elastico e deve adattarsi all’evoluzione scientifica, medica e tecnologica nel tempo; ciò lo rende difficilmente suscettibile di inquadramento in caselle o casistiche rigide e predefinite (‘casuismo giuridico’) senza che il suo stesso formalismo giuridico lo inaridisca rendendolo di momento in momento superato o superabile. Ogni singolo caso , ogni situazione patologica e clinica, è necessariamente ‘unico’; ed anche la valutazione, nell’evoluzione della persona e delle sue patologie- ma anche della medicina e della tecnologia- dell’applicabilità nel caso concreto della categoria-“trattamenti di sostegno vitale” rapportata alla persona da essi “tenuta in vita”, ritengo debba essere specifica, concreta e necessariamente ‘personalizzata ed attualizzata’.
La stessa sentenza, del resto, ad evitare il pericolo di “un’incontrollata estensione dei presupposti del suicidio assistito…”, sottolinea ( al periodo successivo del par. 8 ) che “deve esser ribadito come l’accertamento della condizione della dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale… debba essere condotto, unitariamente, assieme a tutti gli altri requisiti fissati dalla sentenza n.242 del 2019”; in particolare, oltre all’esistenza di una patologia inguaribile e alla piena capacità del paziente ( “incompatibile con una sua eventuale patologia psichiatrica” ), “la presenza di sofferenze intollerabili e non controllabili attraverso appropriate terapie palliative” ( è fondamentale sul punto il comma primo dell’art. 2 della l. 219/2017, che impone al medico, anche in caso di rifiuto o revoca del consenso a trattamento sanitario indicato, il dovere di “adoperarsi per alleviarne le sofferenze” con “un’appropriata terapia del dolore”).
NOTE
*Le parole inserite tra virgolette ( “ ”) riportano espressioni testuali della Corte Costituzionale o di norme di legge, come espressamente indicato.
**Caso relativo ad imputato di agevolazione all’esecuzione del suicidio di una persona che, conservando intatte le proprie facoltà intellettive aveva maturato il proposito suicida ( che per le sue condizioni non era in grado di realizzare da solo ) ed aveva richiesto il suo aiuto per l’ esecuzione ; ne aveva così organizzato ed effettuato il trasporto in Svizzera, in struttura prescelta e predisposta per la realizzazione del suicidio, effettivamente avvenuto . Si trattava di persona che, a seguito di incidente stradale, era rimasto tetraplegico e affetto da cecità bilaterale corticale ; non era autonomo nella respirazione ( ausilio di respiratore con periodiche asportazioni di muco ), nell’alimentazione -nutrizione via parenterale- e nell’evacuazione; era affetto da ricorrenti spasmi che gli producevano acute sofferenze ; aveva affrontato inutilmente , per circa 2 anni, prolungate terapie ospedaliere e riabilitative.
***Caso relativo ad imputato di agevolazione all’esecuzione del suicidio di una persona che, conservando intatte le proprie facoltà intellettive aveva maturato il proposito suicida ( che per le sue condizioni non era in grado di realizzare da solo ) ed aveva richiesto il suo aiuto per l’esecuzione ; ne aveva così organizzato ed effettuato il trasporto in Svizzera, in struttura prescelta e predisposta per la realizzazione del suicidio, effettivamente avvenuto. Si trattava di persona affetta da sclerosi multipla, con progressive condizioni di invalidità aggravatesi negli ultimi mesi del 2021, fino all’impossibilità di muoversi dal letto e ad una quasi totale immobilizzazione degli arti superiori, salva la possibilità di parziale utilizzazione del braccio destro; con il cui uso, di fatto, aveva assunto per via orale il farmaco letale nella clinica svizzera. Delle condizioni richieste dalla sentenza della Corte Costituzionale 242/2019, esistenti secondo il giudice remittente in relazione a tutti gli altri requisiti, mancava però - per poter dichiarare la non punibilità dell’agevolazione all’esecuzione del suicidio - quello della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale ( “persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”) . Per questo il GIP del Tribunale di Firenze aveva sollevato nuova eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 580 CP ( nella riformulazione operata dalla Corte Costituzionale con l’introduzione della condizione di non punibilità) nei limiti in cui prevede che la non punibilità dell’agevolazione all’esecuzione del suicidio sia condizionata anche dalla necessità che la persona sia “ tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”.
**** ‘Principi costituzionali per l’interpretazione e l’applicazione della sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale sull’art.580 CP e sui limiti di non punibilità dell’agevolazione del suicidio’ ( S. Trentanovi -Persona e Danno 3/6/2024) ; ‘Cura, cure palliative e trattamenti sanitari: causa di non punibilità dell’aiuto al suicidio nella sentenza della Corte Cost. 242/2019 sull’art. 580 CP : interpretazioni e distorsioni applicative’( S. Trentanovi – Persona e Danno. 20/1/2024 ) ; ‘Commento alla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale sull’art. 580 CP’( Trentanovi- Gottardi - Pubblicato da Servizio studi Corte Cost. in “Aiuto al suicidio e profili giuridici del fine vita dopo sentenza Corte Cost. 242/2019”).