Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  08/03/2022

La violenza economica, forma di discriminazione di difficile emersione sociale, forme di tutela sul piano civilistico e penalistico - Chiara Bevilacqua

Sommario: 1. Cos’è la violenza economica? - 2. Inquadramento normativo – 3. Disposizioni del codice civile e del codice penale – 4. Esempi virtuosi e qualche interrogativo – 5. Riflessioni conclusive

1. Cos’è la violenza economica?

La violenza economica è configurabile come una delle forme più subdole di violenza domestica. Invero, le donne che generalmente subiscono questa discriminazione non si rendono conto che il controllo economico da parte dell’uomo configuri già di per sé una violenza, la quale può o meno accompagnarsi alla violenza fisica.

Si tratta di una vera e propria forma di discriminazione che può essere descritta come l’«insieme degli atti di controllo e monitoraggio del comportamento di una donna in termini di uso e distribuzione del denaro, con la costante minaccia di negare risorse economiche, ovvero attraverso un’esposizione debitoria, o ancora impedendole di avere un lavoro e un’entrata finanziaria personale e di utilizzare le proprie risorse secondo la sua volontà».

Specificamente, sono individuabili tre livelli di violenza economica:

  • l’esclusione della donna dalla gestione finanziaria;
  • la mancata concessione denaro alla donna;
  • il costringimento della donna ad erodere il suo patrimonio o a firmare inconsapevolmente documenti finanziari.

 Proprio in virtù della poca informazione e della difficile emersione del problema, al momento non vi sono statistiche ufficiali in grado di monitorare il fenomeno. Queste ultime sarebbero utili al fine di prevenire e contrastare questo tipo di violenza. 

Nondimeno, nel 2019 sono stati presentati dati rilevanti al Festival dello Sviluppo Sostenibile da parte del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro). In base a tale analisi, in Italia tre donne su dieci non hanno un conto corrente e non possono gestire in autonomia i propri guadagni. Ulteriore, utile verifica dei dati è quella effettuata dall’associazione D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza), dove è emerso che il 34% delle donne che si rivolge alla struttura denuncia episodi di violenza economica.

Secondo i dati di Bankitalia, le donne in Italia possiedono in media il 25% in meno di risorse economiche rispetto agli uomini, e questo divario sale al 50% nelle coppie. Il 40% delle donne sposate è disoccupato; inoltre, le donne che lavorano guadagnano meno e continuano a essere discriminate sul posto di lavoro. […]. I tassi di povertà tra le donne, in particolare le madri single, sono alti”.

La pandemia ha solamente peggiorato questo quadro: i dati di Eurostat del secondo trimestre del 2020 dicono che il tasso di occupazione maschile in Italia è del 66% e quello femminile del 48%, in ragione di un duplice ordine di cause: i) i comparti lavorativi che vedevano impiegate di più le donne hanno visto una maggiore contrazione (es. turismo, commercio al dettaglio di tipo non alimentare); ii) l’accresciuta esigenza di far fronte e compiti di cura in famiglia ha probabilmente favorito un abbandono femminile del mondo del lavoro.

Il denaro diventa di conseguenza strumento di ricatto e di sottomissione della donna.

2. Inquadramento normativo

La nozione di violenza economica è di conio più recente rispetto a quella fisica, sessuale e psicologica.

Il legislatore ha parlato per la prima volta di violenza economica nell’art. 3 del decreto 93/2013 convertito dalla legge 119/2013, che prevede delle misure di prevenzione per le condotte di violenza domestica. Tuttavia, una definizione più ampia è ricavabile dall’art. 3 della citata Convenzione d’Istanbul, ove la violenza economica viene inquadrata come «una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne»; inoltre l’art.12 della medesima Convenzione prevede che «le Parti adottano le misure necessarie per promuovere i cambiamenti nei comportamenti socioculturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini».

3. Disposizioni del codice civile e del codice penale

In Italia anche se la fattispecie non gode di una normativa specifica, sono previsti strumento giuridici di tutela sia da un punto di vista civilistico che penalistico. Specificamente, ai casi di violenza economica si possono applicare gli ordini di protezione contro gli abusi familiari ai sensi dell’art. 342-bis e dell’art. 342-ter del codice civile.

Nel codice penale, la condotta può essere sussumibile nelle seguenti fattispecie criminose già tipizzate:

  • maltrattamenti in famiglia (art. 572 del codice penale)
  • violenza privata (art. 610 del codice penale);
  • riduzione e mantenimento in schiavitù (art. 600 del codice penale);
  • violazione degli obblighi di assistenza familiare (art.570 c.p., nonché art. 12-sexies, legge n. 898 del 1970 e art. 3, legge n. 154 del 2006).

Peraltro, è l’art. 572 c.p. la norma cui la giurisprudenza riconduce, sovente, le condotte di violenza economica. Ciò è confermato anche dalla Corte di Cassazione, la quale con una sentenza del 2016 ha statuito che: «la privazione di disponibilità economiche costituisce una delle numerose modalità di maltrattamento poste in essere». Nella fattispecie sub-iudice, era stato acclarato che il marito avesse tolto alla moglie la procura sul conto corrente e sul bancomat, lasciando a questa solo una carta per la spesa al supermercato, con un limitato plafond, respingendo quindi le censure della difesa circa il buon livello economico della famiglia, perché processualmente dimostrato «che il marito aveva privato sostanzialmente la moglie della disponibilità del denaro depositato sul conto bancario (...)».

La Cassazione ha dunque riconosciuto l’astratta idoneità della c.d. violenza economica ad integrare il reato di maltrattamenti in famiglia precisando che la condotta di vessazione economica tenuta dall’imputato si inseriva all’interno di una cornice di abituali violenze fisiche e sessuali.

E’ comunque necessario rilevare che il fenomeno della violenza economica fatica ad emergere nelle aule dei Tribunali, in quanto sovente tale concetto è assorbito in più evidenti questioni economiche nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio. Sul punto merita segnalare la  pronuncia del Tribunale di Velletri del 26/04/2021, ove è stato sancito, «come affermato anche dal Tribunale di Roma "la violenza economica - insieme a quella psicologica e all'ingiustificato rifiuto a comunicare con l'altro genitore" è da ritenersi un chiaro indice di inidoneità genitoriale.»

4. Esempi virtuosi e qualche interrogativo

Posto che nel lungo periodo la prevenzione delle condotte delittuose in esame si attua principalmente mediante educazione, sensibilizzazione e welfare-state, per una parità realmente praticabile, può essere interessante una breve disamina delle norme in vigore oggi a sostegno di una sorta di prevenzione speciale, ovvero rivolte a far sì che la vittima di violenza domestica riesca ad uscirne e a non ricadervi, proprio per ragioni economiche.

Occorre premettere che la condanna del partner maltrattante è totalmente ininfluente. Ciò che serve è invece la presenza di strumenti per l’orientamento al lavoro, il reinserimento nel mondo  lavorativo, la autonomia abitativa ed economica, che consenta alla madre di far fronte ai bisogni anche educativi degli eventuali figli minori, fin tanto che la donna non riesca a diventare o tornare autonoma.

La misura più nota oggi, volta a favorire l’inizio di un percorso che possa rendere la vittima indipendente, è il c.d. ‘reddito di libertà’, istituito con l’art. 105-bis del d.l. n. 34 del 2020. Il reddito consiste nell’erogazione di 400 euro mensili per 12 mensilità a vittime di violenza che auto-certifichino di avere intrapreso il percorso di emancipazione ed autonomia presso un centro antiviolenza riconosciuto dalle regioni e dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Al di là dell’efficaia del sussidio nel breve periodo, non si può non segnalare come il fondo stanziato sia troppo esiguo, sia rispetto alle esigenze della singola donna e dei minori, potendo solo contribuire all’autonomia economica, sia rispetto al numero di vittime che ne potrebbero beneficiare, molto maggiore rispetto all’entità dello stanziamento.

Si segnala un’ulteriore misura significativa, sebbene la sua utilità in concreto sia ancora da verificare: ci si riferisce all’accesso automatico, ovvero a prescindere da limiti di reddito, al patrocinio a spese dello Stato per i reati di cui agli artt. 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis c.p., nonché, ove commessi in danno di minori, di quelli di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies c.p. Lo scopo di questa misura può essere certamente quello di sostenere la scelta di denuncia della donna ancor prima che sia effettuata, eliminando alla radice preoccupazioni derivanti dalla necessità di dover affrontare spese legali, che costituiscono un onere eccessivo per la persona che subisce questi reati e le sottraggano risorse,  con ripercussioni negative sulle necessità di provvedere agli eventuali figli. A tale scopo, si aggiunge quello di sostenerla mediante l’assistenza di un professionista che le permetta di partecipare con l’adeguato supporto tecnico al processo

5. Riflessioni conclusive

Nonostante siano molteplici le soluzioni giuridiche applicabili a questo tipo di violenza, il problema risiede a monte, ossia nell’emersione del fenomeno.

Se le donne faticano a denunciare casi gravi di violenza fisica e sessuale, come potrebbero avvertire la minaccia in un dominio di tipo economico da parte dell’uomo?  È la mentalità della società che deve subire un mutamento radicale, in quanto le regole non scritte del patriarcato non devono più prevalere sul principio di eguaglianza sostanziale e sulla libertà di autodeterminazione che spetta a ciascuno di noi in quanto esseri umani (e non uomo o donna).

Il diritto e la sua interpretazione riflettono l’andamento della società, per questo è necessario erigere un manifesto culturale mediante i suddetti principi di diritto, che porti le nuove e le vecchie generazioni a realizzare in concreto il progetto di eguaglianza nella giustizia sociale voluto dai padri costituenti.

Come accennato, periodo pandemico ha acuito vertiginosamente il problema della violenza di genere in ogni sua forma, portando il legislatore a rifinanziare, con 3 milioni di euro il «Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità» istituito nel 2006. Invero, nel dicembre 2020 è stato approvato un emendamento alla legge di Bilancio 2021, con il quale si è deciso di stanziare 10 milioni di euro al suddetto Fondo. Questo importante investimento ha proprio il fine di aiutare le donne che si trovano in condizione di forte vulnerabilità, attraverso percorsi volti all’indipendenza economica, all’autonomia e all’emancipazione delle donne vittime di violenza in condizione di povertà.

Lo sforzo del legislatore è apprezzato, anche se non è abbastanza e non potrà mai esserlo fino a quando non sarà la società a mutare la sua forma mentis.

In allegato l'articolo integrale con note


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