Famiglia, relazioni affettive  -  Elvira Reale  -  17/11/2022

La vittimizzazione secondaria di una madre: l’Ordinanza di Cassazione n. 26279/22

Il 6 settembre 2022, la Corte di Cassazione ha bocciato  il ricorso alla sentenza d’Appello, avanzato da una madre  di Assisi, la cui vicenda è stata alla ribalta delle cronache quando  nel maggio 2021 le  è stato tolto il figlio per essere affidato a una casa famiglia. 

Esamineremo, attraverso la sentenza in dettaglio e  la storia sottostante, come emersa dalle interviste e dalle  cronache giornalistiche, il percorso che ha portato questa madre (come altre madri i cui casi sono stati esaminati nell’ inchiesta della Commissione femminicidio al Senato e riportati nella relazione finale (1)) a essere allontanata dal figlio minore.

Dalle cronache locali si legge l’intervista alla mamma: “Forse era meglio continuare a subire le violenze da mio marito, almeno fino a quando mio figlio sarebbe diventato più grande». «E’ più dura oggi combattere con lo Stato che sopportare le violenze del papà di mio figlio. Ho ricevuto botte, tante botte, anche davanti agli occhi di mio figlio. Dovevo lavorare e non ricevere compensi, nell’azienda della famiglia di mio marito, ma questo non era il peggio. Il peggio erano le violenze fisiche. E anche quelle verbali e quelle a cui ha assistito mio figlio” Sono soltanto alcune delle frasi che una giovane mamma, pronunciate dopo essere stata raggiunta da un decreto del Tribunale dei Minori che le intima di consegnare il proprio bambino a una casa famiglia (dal Corriere dell’ Umbria del 17 maggio 2021).

Ancora le notizie di questo allontanamento del maggio 2021 sempre dal quotidiano Umbria24: “La triste vicenda racconta la storia di una ragazza, che dopo avere avuto il figlio a soli 16 anni, ne ha sposato il papà, un uomo violento, più volte denunciato per maltrattamenti. Il marito ha anche aggredito il nuovo compagno di F. Da tempo il bambino non vuole incontrare il padre, fino a farsi pipì addosso quando lo incontra o persino a svenire. Dalle relazioni dell’assistente sociale, le ragioni di questo rifiuto non risiederebbero nella violenza del padre, ma nell’alienazione della madre che l’avrebbe soggiogato”.

Il capogruppo del PD al consiglio regionale affermava il 18 maggio 2021: “Quando la Giustizia arriva ad assumere la decisione, non certo facile, di strappare un figlio delle braccia di una madre già provata da violenze, e di trasferirlo in una casa famiglia perché egli si rifiuta di vedere il padre violento - sottolinea Bori - è segno evidente che è giunto il momento che la politica e le istituzioni si facciano carico di chiarire ciò che è alla base di queste dolorose vicende giudiziarie e si stringano intorno alle vittime".

La vicenda della madre ‘di Assisi’ ricalca quelle dei 36 casi speciali, di cui si è occupata la commissione femminicidio al senato, nell’ambito  dell’inchiesta sulla vittimizzazione secondaria che ha focalizzato anche l’attenzione sulle  donne che denunciano la violenza domestica e si vedono re-vittimizzate nei tribunali civili a cui si rivolgono per le questioni dell’affidamento dei figli minori.

Di questo caso riportiamo l’ Ordinanza di Cassazione n. 26279/22 che dà i riferimenti giudiziari  della vicenda dal primo al terzo grado. L’Ordinanza, dal nostro punto di vista, ripropone le tappe di un percorso giudiziario che distorce i fatti ed invece di tutelare la donna con il figlio minore (secondo quanto imposto dall’art. 31 della Convenzione di Istanbul - legge 77/13) porta la vittima di una violenza primaria, avvenuta in ambito domestico  e perpetrata da un partner, a subire una violenza peggiore, quella cioè delle istituzioni che non le riconoscono lo status di vittima secondo quanto indicato appunto dalle Convenzioni internazionali (Convenzione di Istanbul e La Direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato).

Seguendo l’Ordinanza apprendiamo che l’incipit della vicenda è una denuncia che viene accolta e, diversamente da molti altri casi, non archiviata ma ancora in vita nel suo percorso giudiziario.  La denuncia nel penale avvia di ufficio l’iter presso il Tribunale per i minorenni, volto appunto alla tutela del figlio minore della coppia.

Dall’Ordinanza:

“3. In particolare, il Tribunale per i minorenni, come evidenziato nella ricostruzione dei fatti svolta dalla Corte d'appello nel provvedimento qui impugnato, veniva attivato a seguito di denuncia in data 7 marzo 2019 con cui A.T. accusava F.J. di maltrattamenti da lei subiti fin dal 2015 e consistiti in pugni e schiaffi”.

“4.  Con tale denuncia, accompagnata da un certificato medico del dicembre 2016 la medesima riferiva di aggressioni fisiche avvenute in presenza del figlio F. nato dalla coppia che si era definitivamente separata nel 2018 accordandosi per quanto riguardava la gestione del figlio minore, secondo tempi di visita del padre poi ratificati dal Tribunale”.

“5.  Aggiungeva la A. nella medesima denuncia che nel febbraio 2019 il F. aveva aggredito violentemente il suo nuovo compagno, G.M.”.

Il Tribunale su questa denuncia  apre un procedimento a salvaguardia del minore operando in una prima fase in una giusta direzione, salvaguardando la sicurezza della coppia madre-figlio, sollevando dalla responsabilità genitoriale il padre e attuando misure di protezione per il minore.  Dall’Ordinanza infatti si rileva: “che con provvedimento del 29 maggio 2019 F.J. era dichiarato sospeso dalla responsabilità genitoriale e che riprendeva gli incontri con il figlio F. con modalità protette.” Nonostante questo buon inizio che sembra aver preso in carico il tema della violenza e della violenza assistita sul minore, tutto si stravolge con l’intervento dei servizi e l’intervento della Corte di appello.

La Cassazione infatti, riguardo ai fatti di violenza dà conto della postura della Corte di appello che avrebbe rilevato la mancanza di riscontri ai fatti di volenza, e riassunto le motivazioni di comportamento del padre ‘assolvendolo’ di fatto. 

Dall’Ordinanza:

“6. Con riguardo ai fatti oggetto di denuncia la Corte d'appello, già in sede di delibazione dell'istanza di sospensione delle esecutività del provvedimento reclamato resa con decreto del 7 giugno 2021, aveva rilevato la mancanza di riscontri ai fatti violenti come esposti dalla signora A. evidenziando al contrario la necessità di considerare il rapporto che al tempo la A. stava costruendo con il suo nuovo compagno e nel quale quest'ultimo tendeva rispetto al piccolo F. a sovrapporsi e sostituire la figura paterna, così suscitando la reazione, non giustificata ma a ciò riconducibile di F.J.”.

Ulteriormente la Corte d’appello esclude che si possa parlare di volenza assistita  derubricando quindi la violenza a rapporto conflittuale, caratterizzato da reciproche urla ( e i calci e gli schiaffi, dove sono finiti?).

Dall’Ordinanza:

“19. La Corte d'appello sulla scorta della ricostruzione delle risultanze del procedimento penale ha escluso che sia dimostrata la c.d. violenza assistita, ritenendo al contrario provato un rapporto conflittuale della coppia caratterizzato da reciproche urla, come riferite dai vicini di casa”.

In definitiva sui fatti di violenza oggetto di un procedimento penale in atto, la Cassazione accetta che la Corte di appello abbia aderito alla  ricostruzione dei fatti svolta dai servizi o altri soggetti, derubricando a conflitto e urla reciproche ‘testimoniate da vicini’, i fatti di violenza di cui si discute parallelamente nel penale.  

La Corte di appello mette fuori campo la violenza e il maltrattamento assistito, nonostante due rinvii a giudizio nel penale, ma considerando gli stessi fatti (oggetto del penale) irrilevanti alla luce di quanto affermato da servizi e vicini di casa; la Cassazione segue senza batter ciglio questo orientamento, rigettando il reclamo della madre nel modo seguente:

“33. Né è stato omesso l'esame dei due decreti di rinvio a giudizio del F.: piuttosto, i fatti su cui gli stessi sono stati emessi sono stati dalla Corte d'appello motivatamente ritenuti irrilevanti ai fini della prospettata vittimizzazione del minore nell'ambito del ricostruito contesto familiare improntato ad aggressività verbale reciproca all'interno della coppia, come emergente dalla relazione dei Servizi sociali e dalle dichiarazioni dei vicini di casa”.

Prosegue poi l’atteggiamento giustificazionista  della Corte di appello nei confronti del padre e negazionista nei confronti della violenza, perché a seguito delle relazioni positive degli operatori sugli incontri protetti padre-figlio revoca la sospensione della responsabilità genitoriale e  modifica la tipologia di incontri  padre-figlio  in un breve lasso di tempo:

“9. La Corte d'appello con provvedimento del 16/12/2019 revocava la sospensione della responsabilità genitoriale di F.J. e gli incontri sempre in modalità protetta proseguivano presso l'abitazione del padre”.

“10. Le relazioni dell'educatore del servizio sociale davano conto di incontri in cui il minore appariva sereno e disponibile ad uno scambio ludico comunicativo con il padre anche se non mancavano di evidenziare che la madre rendeva il bambino partecipe dei problemi economici con il padre addebitandogliene la responsabilità, circostanze riportate dal minore in occasione delle conversazioni con quest'ultimo”.

La scena qui cambia, il padre diviene  figura positiva, comunica e gioca con il figlio (che altro potrebbe fare in incontri protetti?) la madre comincia ad essere messa in cattiva luce, rispetto a problemi economici rivendicati nei confronti del partner.

Un’interruzione degli incontri dovuta a cause non precisate nell’Ordinanza (ma si suppone che l’andata in ospedale del bambino sia dovuta a reazioni di rifiuto dello stesso nei confronti del  padre, accompagnate da esiti psico-emotivi)  insieme ad una relazione tecnica (esaminata successivamente)  che insiste su un profilo negativo delle competenze genitoriali della  donna (non si evincono giudizi sulla competenza genitoriale paterna) portano ad un ribaltamento presso il Tribunale per i minorenni della posizione della madre.

Dall’Ordinanza:

“12. La situazione si modificava in occasione dell'incontro del 30 maggio quando la madre sul presupposto di un improvviso malore di F., chiamava il 118 e la stessa cosa si ripeteva in occasione degli incontri del 3 e del 10 giugno 2020”.

Di seguito il provvedimento del Tribunale per i minorenni appellato dalla donna:

“1. A.T. ha proposto reclamo ex art. 739 c.p.c. avverso il decreto emesso dal Tribunale per i minorenni dell'Umbria in data 16 aprile 2021, con il quale erano state disposte: i) la sospensione della responsabilità genitoriale della stessa nei confronti del figlio minore F.F. (nato il (OMISSIS)); ii) l'affido di quest'ultimo al Servizio sociale del Comune di Assisi con collocamento dello stesso in idonea casa famiglia; iii) l'incarico per il Servizio sociale di attuare una graduale ripresa delle relazioni padre-figlio con incontri in modalità inizialmente protetta nonché di attuare la relazione madre-figlio in modalità protetta; iv) incarico al Servizio di Riabilitazione Età Evolutiva di Bastia Umbria di attuare un percorso di supporto psicologico in favore del minore e della sua relazione con il padre, F.J.; v) incarico al Dipartimento di salute mentale territorialmente competente di mettere a disposizione di A.T. un percorso di sostegno psicologico”.

Esamineremo quindi in dettaglio il provvedimento e prima  la relazione tecnica su cui si gioca il cambiamento di ruolo della donna agli occhi del Tribunale che da vittima di violenza diviene carnefice  e altamente pericolosa per il figlio, nonostante lei non abbia esercitato alcuna violenza ma si sia difesa dalla stessa. Che la relazione tecnica attribuita ad una generica équipe multidisciplinare, senza specificare chi siano i firmatari, sia il cuore del provvedimento di appello (confermato in Cassazione) è chiaro da queste due affermazioni presenti in Ordinanza:

“17. Sulla base di tali elementi  (NdR: due relazioni di cui una di aggiornamento) il Tribunale per i minorenni con il provvedimento del 16 aprile 2021 aveva sospeso A.T. dalla responsabilità genitoriale nei confronti del figlio e aveva disposto l'affido di F. ai Servizi sociali del Comune di Assisi con collocamento dello stesso in idonea casa famiglia”.

E ancora la Corte di appello decide sulla base della relazione di rigettare il reclamo della madre, e tale decisione è supportata dall’Ordinanza di Cassazione:

“18.Decidendo sul reclamo proposto dall' A. avverso il decreto del Tribunale per i minorenni e dopo avere respinto l'istanza di sospensione dell'esecutività del provvedimento reclamato, la Corte d'appello ha rilevato come i suddetti tratti della personalità della madre e tutte le circostanze accertate dal Tribunale per i minorenni giustifichino il rigetto del reclamo. “

  Ed ancora su questa relazione tecnica la Cassazione si sofferma per rigettare il ricorso della donna sull’alienazione:

“28. La Corte territoriale, sostiene la ricorrente, avrebbe stigmatizzato la sua condotta senza alcun fondamento probatorio, ignorando totalmente le violenze su di lei esercitate dall'ex compagno, le quali per definizione escluderebbero che si possa parlare di alienazione genitoriale. Tutto ciò, sulla base di una motivazione apparente, in quanto meramente riproducente le ragioni sottese al provvedimento reclamato”.

” 31. La valutazione del comportamento dell' A. è stata effettuata sulla base dell'approfondita relazione dei Servizi sociali, puntualmente richiamata nella motivazione del provvedimento impugnato”.

“32. Le censure in esame, invece, non attingono la ratio decidendi sottesa alla decisione impugnata: la Corte territoriale decidendo nel solco della giurisprudenza di legittimità che ha escluso la preminenza della valutazione del disturbo del minore da alienazione genitoriale ai fini della valutazione e decisione sulla responsabilità genitoriale, ha, tuttavia, ritenuto che la condotta manipolatoria della madre (NdR: tratta dalla relazione tecnica) rilevi non tanto ai fini dell'alienazione parentale, bensì in quanto fonte di un rapporto simbiotico con il figlio, tale da privare il minore della sua autonomia, producendo una regressione nel percorso di crescita sia a livello sociale che degli apprendimenti scolastici (come accertato attraverso l'indagine svolta con gli insegnanti) oltre che gravemente ostacolante l'esercizio del diritto alla bigenitorialità”.

Su questa relazione il cui esito è riportato in Cassazione attraverso il decreto del Tribunale dei minori, passato per l’appello, occorre soffermarsi con attenzione perché contiene evidenti distorsioni dal punto di vista sia scientifico, sia giuridico, nel suo transito tra le varie sentenze e decreti. 

Dall’Ordinanza:

“14. Nel frattempo veniva depositata la valutazione delle competenze genitoriali richiesta dal Tribunale per i minorenni che quanto alla madre, e per quanto qui rileva, aveva osservato che la stessa risultava essere affetta un disturbo narcisistico e paranoideo della personalità idoneo ad influire negativamente sulle sue capacità genitoriali. Era emerso come la A. confondesse i propri bisogni emotivi con quelli del figlio. Così facendo, la madre aveva progressivamente manipolato il figlio, non solo al fine di alienare la figura paterna dalla vita del bambino, ma più in generale per vincolarlo a sé in un rapporto simbiotico, impedendo lo sviluppo della sua identità autonoma e libera di riconoscere ed esprimere i propri bisogni emotivi, anche quando diversi da quelli della madre. Questa relazione simbiotica aveva causato una sempre più ridotta autonomia mentale del minore, con conseguenti comportamenti regressivi notati anche dagli insegnanti del bambino e riferiti nell'approfondimento disposto a seguito di incarico con cui era stata richiesta una valutazione psicologica del minore (relazione del 12/7/2020 e del 15/9/2020)”.

“16. Nella relazione integrativa sulla capacità genitoriale del 26 febbraio 2021 veniva confermato l'atteggiamento manipolativo della madre nei confronti del figlio e finalizzato non solo ad alienare completamente la figura paterna, sempre raffigurata in termini negativi, dalla vita del bambino, ma in particolare a creare un rapporto simbiotico con il minore impedendogli lo sviluppo di una sua identità autonoma e libera di riconoscere ed esprimere i bisogni emotivi anche quando diversi da quelli della madre”.

Analizzeremo le due diagnosi qui definite disturbi e altrove tratti, iniziando proprio dalla differenza tra tratti e disturbi come riportato nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, DSM-5. Si legge a pag. 749 e segg del Manuale:  “tratti di personalità  sono modi di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di se stesso,  che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali. Soltanto quando i tratti  di personalità sono rigidi, disadattivi, e causano una significativa compromissione funzionale,  o un disagio soggettivo, denotano disturbi di personalità”.

Ecco quindi che i tratti non sono disturbi in sé, e le diagnosi di ‘disturbo di personalità’ devono contenere una specifica qualificazione e specifica prova del disturbo, che cioè il comportamento, indicato come tratto di personalità disfunzionale, determini una significativa compromissione del funzionamento della persona, ovvero che i comportamenti della persona siano disadattivi in più aree  e provochino un disagio soggettivo conclamato.

Non si ha notizia che la donna in questione sia un’utente di un Servizio di salute mentale o sia una persona il cui comportamento sociale  e personale sia giunto mai alla ribalta perché inquadrabile come disadattivo con una funzionalità psicosociale compromessa. Né la Cassazione riporta, all’interno della disamina del procedimento in primo e secondo grado,  una storia anamnestica di questo tipo.

Fatta questa precisazione che allontanerebbe, per mancanza di indizi, come rispondente alla realtà dei fatti storici e anamnestici la diagnosi di un disturbo, vediamo poi però se questi tratti o disturbi avevano  una buona probabilità statistica di essere attribuiti alla donna, ancora inquadrabile nel penale come vittima di violenza. 

Dal DSM-5. Disturbo narcisistico di personalità: un pattern di grandiosità (nella fantasia e nel comportamento), necessità di ammirazione, percezione di essere una persona speciale; … è arrogante e presuntuoso, manca di empatia. Disturbo che inizia nella prima età adulta. Dal 50al 75% gli individui diagnosticati come narcisistici sono maschi.  Inoltre i tratti si attagliano più frequentemente a uomini di successo. Dalla storia di questa giovane donna vittima di violenza, difficilmente possiamo arguire che abbia queste caratteristiche di personalità, disfunzionali o meno che siano.

Dal DSM-5. Disturbo paranoideo: incide sul rapporto di realtà ( il pattern è  di diffidenza e sospettosità pervasive nei confronti degli altri e in particolare sospetta infedeltà del coniuge); la persona sospetta attacchi e reagisce con rabbia e contrattacca.   La  prevalenza clinica del disturbo la si rintraccia anche qui nella popolazione maschile.

In definitiva i due profili, tratti o disturbi che siano, mal si possono poggiare sulla donna dandole da un lato una presunzione di grandiosità e dall’altro una sospettosità patologica che la porta alla violenza e al contrattacco. Dobbiamo quindi dire che i disturbi o tratti non siano stati centrati, ma ciò non è sufficiente a censurare il comportamento dei tecnici al di là di una giudizio di incompetenza. Ciò che riteniamo sia maggiormente privo di sostanza scientifica e falsificante le procedure diagnostiche,  sono le conseguenze attribuite a questi disturbi che secondo i tecnici priverebbero la donna di competenze genitoriali positive. Le caratteristiche dei disturbi da cui i tecnici hanno fatto derivare l’incompetenza genitoriale della madre, (tant’è che l’appello poggia il rigetto del suo reclamo come abbiamo visto sull’esistenza di questi tratti/ disturbi: 18. la Corte d'appello ha rilevato come i suddetti tratti della personalità della madre e tutte le circostanze accertate dal Tribunale per i minorenni giustifichino il rigetto del reclamo) non si trovano assolutamente nel DSM-5 all’interno di quelle due diagnosi.   

Non c’è traccia di manipolazione, alienazione e simbiosi in questi disturbi, come raffigurati nel DSM-5. Quindi tutta la costruzione tecnica sull’incompetenza genitoriale a partire da questi disturbi, da cui dovrebbero discendere i comportamenti manipolatori, alienanti e simbiotici, è fasulla e la valutazione  dell’incompetenza genitoriale a partire dalle due diagnosi  è priva di validità scientifica.  

Ma non solo, ci troviamo davanti ad un artificio tecnico, che induce la Corte di appello, e a seguire la Cassazione, a dire che la valutazione della donna non parte dalla sindrome di alienazione parentale (PAS)  dismessa dalle autorità scientifiche, ma solo dal comportamento manipolatorio della madre, desunto da una relazione tecnica che parte dalla diagnosi di altri due  disturbi e non dalla diagnosi di PAS.  Ma questo comportamento (una volta cassata per ascientificità  il legame del comportamento manipolatorio con la diagnosi PAS di Gardner) dove si poggia? Quali accertamenti sono stati fatti a riguardo? Ma c’è di più, è possibile fare accertamenti giudiziari nel campo della manipolazione mentale? E qui nasce, insieme alla distorsione tecnica, la distorsione giuridica presente in questa Ordinanza. E’ possibile provare la manipolazione mentale? Evidentemente no, e ci meravigliano che i giuristi di tre gradi di questo  percorso giudiziario cadano tutti nella trappola della manipolazione mentale (che la Corte Costituzionale ha ritenuto di elidere dal panorama giuridico)  affidandosi a tecnici che  la riattualizzano, per tenere in vita la teoria dell’alienazione parentale, non più in capo al minore (e alla teoria di Gardner)  ma in capo alla madre.  

La manipolazione è infatti il cuore della teoria dell’alienazione,  e dovrebbe mostrare che il rifiuto di un bambino verso un padre violento non è il prodotto di una esperienza diretta e di un vissuto autentico del minore ma è qualcosa di indotto da una madre disturbata, oppure malevola, simbiotica.

Ma la manipolazione mentale non è sostenibile in campo giudiziario perché indimostrabile come affermato nel lontano 1981 dalla Corte Costituzionale (2), quindi  va espunta da ogni trattazione di competenza genitoriale quando su di essa si deve fondare una decisione giudiziaria.

Quando  i giudici rigettano il reclamo della madre sulla PAS, in maniera artificiosa negando i legami  di quelle affermazioni tecniche (che attribuiscono alla donna una  incompetenza genitoriale)  con la teoria ascientifica  di Gardner,  non si rendono conto (oppure sono consapevoli ma vittime di pregiudizi misogini) che la teoria di Gardner è presente comunque  nelle accuse di  manipolazione alla madre e nell’interpretazione del rifiuto del minore come rifiuto condizionato; ma non solo, non tengono inoltre  conto che la proposta dei tecnici di allontanare il bambino dalla madre non è altro che il trattamento indicato da Gardner,  per i minori affetti dalla sindrome di alienazione parentale, che va sotto il nome di “Transitional Site Program(3)” . Questo programma prevede proprio quello che i tecnici hanno evidentemente proposto e il Tribunale disposto:  l’allontanamento con un distacco improvviso dalla madre, supposta alienante, e in caso di rifiuto del minore verso il padre, il passaggio del minore in una struttura di transizione in cui sottoporlo a trattamento coattivo e minaccioso di ri-avvicinamento al padre, che viene aiutato in questo percorso, mentre la madre viene ostacolata - nei rapporti liberi con il minore - al fine di non inficiare il percorso di riavvicinamento al padre.

Sul punto di questo trattamento coercitivo, che possiamo definire inumano e degradante per madre e minore, intervenne al tempo del caso del bambino di Cittadella (2012) , il presidente della società di psichiatria, il  prof. Mencacci: che disse:” “Come è possibile, per una condizione non ascrivibile a disturbo, sindrome o malattia riconosciuta dal mondo scientifico, indicare una terapia? Come è possibile che possa essere utilizzata a supporto di interventi in ambito giudiziario?(4)” 

La misura coercitiva dell’allontanamento, quale soluzione nell’interesse del minore, è ribadita dalla Cassazione di contro il reclamo della donna. Dall’Ordinanza:

“. 45. Con il quinto motivo si lamenta l'erroneità del provvedimento impugnato per aver omesso di valutare comparativamente gli effetti sul minore del disposto collocamento in struttura etero familiare rispetto al beneficio atteso, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.”)”.

“47. La corte d'appello ha ritenuto, con motivato apprezzamento insindacabile in questa sede che  F. ha la necessità di vivere un periodo, seppure limitato, della sua esistenza di bambino al di fuori delle dinamiche del conflitto genitoriale e al di fuori di una qualsiasi strumentalizzazione in detto conflitto. In tale ambito il predetto ha diritto di riacquisire una sua tranquillità al fine di poter sviluppare sue capacità critiche nella relazione con entrambi i genitori, fuori anche dal clamore mediatico che sulla sua personale vicenda è stato creato. Dal canto suo, A.T., avendo espresso la sua disponibilità al percorso di sostegno alla genitorialità, in tale ambito potrà avere l'opportunità di ritrovare una relazione più funzionale con F.".

  Ecco che qui si aderisce al trattamento PAS, che nega in radice la violenza, parla di conflitto, e considera il minore destinatario del trattamento che si concretizza in un allontanamento, non  come  eufemisticamente indicato ‘dalle dinamiche conflittuali’, ma dalla madre e dal suo contesto abituale di vita; allontanamento  coercitivo e traumatico, perché significa recidere tutti i legami precedenti ex abrupto, per sacrificare il minore ad un equilibrio familiare  che lo vuole equidistante dai due genitori, anche se uno è violento e l’altro tutelante, garantendogli poi  un trattamento ‘costrittivo’ di riavvicinamento al padre.   

Il Tribunale nei suoi tre gradi di giudizio  fa  carta straccia del superiore interesse del minore a mantenere il suo habitat  familiare  e a  non essere trattato in modo disumano  come previsto dagli artt. 3 e 8 Cedu(5),  come invece è conseguenza di questa  misura di allontanamento coattivo che lo sradica dal suo ambiente e dal genitore con cui vuole continuare a stare, senza che questi costituisca per lui alcun pericolo o minaccia. Senza qui aggiungere nulla sulle modalità forzose e traumatiche del prelievo, anche queste raccontate della stampa che era presente e che ha documentato le reazioni del minore.

Aleggia in tutta l’Ordinanza la distorsione grave che riguarda il recepimento dell’interesse superiore del minore inteso come  un interesse recessivo rispetto al presunto diritto alla bigenitorialità o al diritto di uno dei genitori di avere rapporti forzosi  con un  figlio, quando ciò implica un diniego, un mancato consenso, un rifiuto e  un rischio per la salute e la sicurezza dello stesso. 

Nell’Ordinanza c’è un accenno alle condizioni del minore che avrebbero sostenuto le ragioni dell’allontanamento mettendo l’accento su: “comportamenti regressivi notati anche dagli insegnanti del bambino e riferiti nell'approfondimento disposto a seguito di incarico con cui era stata richiesta una valutazione psicologica del minore (relazione del 12/7/2020 e del 15/9/2020)”. Ebbene, anche se non si conosce altro di tali valutazioni,  possiamo arguire che nessuna ipotesi sul disagio del minore (denunciato dalla madre che lo ha condotto dopo visite con il padre al pronto soccorso) sia stata fatta in relazione al maltrattamento assistito, visto che esso è stato messo fuori discussione in modo perentorio dal Tribunale stesso (La Corte d'appello ha escluso che sia dimostrata la c.d. violenza assistita).  Tale condotta  di diniego e sottovalutazione del maltrattamento assistito (seconda causa di disagio nei minori nelle statistiche nazionali(6))  è stata riscontrata ampiamente nell’inchiesta della Commissione femminicidio visto che mai i tribunali esaminati hanno dato spazio e rilevanza a questo fenomeno che colpisce i minori  e ha effetti nocivi gravi e provati sulla loro salute. 

L’Ordinanza poi  non ha accolto il reclamo sul non ascolto diretto del minore, perché ciò costituirebbe uno ‘stress’ per il bambino messo al centro della conflittualità; ancora una volta si nega la violenza del padre verso la madre (ricordiamolo, oggetto di un iter parallelo nel penale)  e il maltrattamento assistito (che è insito nella violenza sulle madri) veri motori dello stress; come non si parla  di stress traumatico grave e attuale per l’allontanamento coattivo dalla madre e la messa in relazione con un padre violento.

Dall’Ordinanza:

“53. La Corte d'Appello non ha, coerentemente con l'età e con la condizione psicologica nella quale versava, ritenuto di ascoltarlo, essendo lontano dalla soglia dei 12 anni, ed avendo correttamente tenuto conto del grave stato di stress che l'essere al centro della conflittualità tra i genitori doveva determinargli”.

Infine la Cassazione avalla un comportamento, purtroppo diffuso ma censurabile,  che è quello di provvedere nei suoi decreti a regolare le questioni che riguardano la salute dei cittadini, adulti e  minori, dando per scontate  diagnosi di malattia avvenute in ambito forense, ovvero in  un ambito non libero ma costrittivo. Tale comportamento è presente nelle diposizioni del Tribunale quando si indica per il minore addirittura  un indirizzo preciso da dare al trattamento sanitario di cui il padre dovrebbe essere l’esclusivo  beneficiario (rinnegando i propositi di equidistanza e bigenitorialità prima affermati), rivelando anche  il carattere discriminatorio e offensivo di tutto il procedimento giudiziario nei confronti della madre: “ incarico al Servizio di Riabilitazione Età Evolutiva di Bastia Umbria di attuare un percorso di supporto psicologico in favore del minore e della sua relazione con il padre, F.J.”; e ancora il Tribunale dà un’altra indicazione dal valore prescrittivo  per la madre. Alla madre si prescrive (sub specie consiglio)   di effettuare un percorso di sostegno psicologico presso uno specifico servizio pubblico indicativo dell’attribuzione alla donna di una presunta patologia mentale: “ incarico al Dipartimento di salute mentale territorialmente competente di mettere a disposizione di A.T. un percorso di sostegno psicologico”. Su questi comportamenti  prescrittivi  che riguardano la salute e addirittura  le tipologie di  trattamenti sanitari, altra Cassazione si è pronunciata in modo difforme, censurandoli in quanto  pongono in primo piano  la confliggenza tra le indicazioni terapeutiche date in sede giudiziaria e l'art. 32 della Costituzione (Cassazione civile n. 13506/2015 e n. 18222/19).

Conclusioni

Questa Ordinanza, che  viene dopo la pubblicazione dell’Inchiesta sulla vittimizzazione secondaria, (condotta  dalla Commissione sul femmicidio) non riporta alcuna traccia né di questa inchiesta e né delle sue raccomandazioni. Essa naviga in un contesto distorsivo o negazionista delle evidenze, dei fatti, e anche di leggi e Convenzioni, imbarcando teorie fasulle o metodi fasulli di attribuzione della competenza genitoriale, da parte di tecnici indistintamente nominati come equipe multidisciplinare.

Rileviamo quindi la totale divergenza tra questa Ordinanza e l’Inchiesta con le sue raccomandazioni finali, che qui citiamo parzialmente, transitate anche nella riforma Cartabia(7):

  1. prevedere che in presenza di accertamento, anche in via incidentale e provvisorio, di condotte di violenza domestica vengano adottate idonee misure a tutela dei minori e del genitore che abbia subito violenza per le frequentazioni con il genitore che abbia agito violenza.
  2. Favorire l’ascolto diretto del minore, in quanto questa modalità è quella più appropriata a recepire gli orientamenti del minore nelle questioni che lo riguardano, come indicato in molte sentenze di cassazione (Cass. 11687/2013; Cass. 19202 del 2014 ;Cass.19327/2015; Cass. 12957/2018; 10784/19; 13274/19; 21425/22) nonché negli  artt. 336, 336 bis, 337 octies c.c.  del Dlg , 154/13.
  3. Negli accertamenti tecnici, escludere di teorie non riconosciute e non accettate dalla comunità scientifica, in qualsiasi forma si presentino per giustificare l’alienazione del minore. Dalla relazione citata: “Appare pertanto necessaria l’esclusione per la valutazione delle capacità genitoriali di riferimenti a costrutti ascientifici e a diagnosi non asseverate, ovvero non desunte da un valido percorso diagnostico definito e condiviso dalla comunità scientifica e comunque non direttamente incidenti sulla capacità genitoriale, con espressa esclusione di ogni riferimento e utilizzazione della cosiddetta sindrome di alienazione parentale (PAS) o alienazione parentale (AP) ovvero costrutti analoghi. Corollario di tale raccomandazione è l’esclusione di ogni forma di percorso o trattamento ispirati a tecniche di decondizionamento/condizionamento nei confronti di minori.
  4. Provvedimenti di allontanamento coattivo dei minori: espresso divieto di disporre il prelievo forzoso dei minori al di fuori delle ipotesi di rischio di attuale e grave pericolo per l’incolumità fisica del minore stesso (esempio: abbandono del minore in situazione di imminente pericolo per la vita e la salute).

In aggiunta ribadiamo, quanto anche emerso dall’inchiesta della Commissione,  la  mancanza di formazione tra gli operatori giudiziari e sanitari - che si evidenzia  in questa Ordinanza e che si estende a  tutti gli operatori giudiziari coinvolti nei tre gradi -  sulla violenza domestica e  sul maltrattamento assistito; inoltre non possiamo non leggere in questa Ordinanza il mancato rispetto  delle Convenzioni  internazionali, in primis della Convenzione di Istanbul, e delle leggi nazionali che trattando della violenza contro le donne ed i minori.



1. COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL FEMMINICIDIO, NONCHÉ SU OGNI FORMA DI VIOLENZA DI GENERE, 11 maggio 2022, “Relazione "sulla vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l'affidamento e la responsabilità genitoriale. https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/1349605.pdf

2. Corte Costituzionale, 96/81.  

3. Gardner, R. (2001) Should Courts Order Pas Children To Visit/Reside With The Alienated Parent? A Follow-Up Study, The American Journal of Forensic Psychology, 19(3):61-106

4. Mencacci, C. Presidente della Società Italiana di Psichiatria (2012) La sindrome e le false tesi supposizioni, Corriere della sera, 15 ottobre. http://web.mclink.it/ML0883/PAS%20per%20sito.pdf

5. CEDU,  CASO DI I.M. E ALTRI c. ITALIA (Domanda n. 25426/20), ha condannato l’Italia per aver costretto un minore ad incontrare un padre violento. Imputa  all’Italia la non applicazione degli artt. 3 (L'art. 3 proibisce la tortura e il trattamento o pena disumano o degradante.) e 8 ( il mancato rispetto della  vita familiare)

6. Seconda Indagine nazionale sul maltrattamento di bambini e adolescenti in Italia realizzata da Terre des Hommes e CISMAI, 2021 (rilevazione 2018)

7. Le nuove norme del codice civile in tema di affido, art. 473 bis 40/45 (riforma Cartabia ex art. 1 comma 23; L. 206/21)


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