-  Mazzon Riccardo  -  07/08/2012

LACUNE NORMATIVE NEL DIRITTO CIVILE E RESPONSABILITA' OGGETTIVA - Riccardo MAZZON

Dolo, colpa e nesso di causalità rappresentano istituti cardine della scienza del diritto penale e, come tali, sono disciplinati e definiti nel codice positivo agli artt. 43, 40 e 41.

"Manca una definizione di colpa nel codice civile, occorre rifarsi all"art. 43 3° comma del codice penale, secondo cui si ha delitto colposo, o contro l"intenzione, quando l"evento, anche se preveduto, non è voluto dall"agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline". (G. Bonilini – M. Confortini, Codice Civile Ipertestuale, 2005, art. 2043)

"Nel codice civile manca una definizione di nesso di causalità a differenza del codice penale, il quale disciplina il rapporto di causalità agli artt. 40 e 41". (G. Bonilini – M. Confortini, Codice Civile Ipertestuale, 2005, art. 2043)

Come per la colpa, manca nel codice civile una definizione di dolo; in dottrina (per tutti: CENDON, GAUDINO, in La responsabilità civile, a cura di Alpa e Bessone, I, in Giur. Sist. Bigiavi, Torino, 1987, 79) si ritiene che occorra rifarsi alla definizione dell"art. 43 c.p., secondo cui il delitto è doloso, o secondo l"intenzione, quando l"evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell"azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l"esistenza del delitto, è dall"agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione". (G. Bonilini – M. Confortini, Codice Civile Ipertestuale, 2005, art. 2043)

Il codice penale, in effetti, espressamente fornisce definizione e disciplina relativamente agli istituti del dolo, della colpa e del nesso di causalità: non altrettanto esplica il codice civile, autorizzando (e forse imponendo) all"interprete civilista di ricercare compiuti elementi, atti a risolvere le inevitabili problematiche connesse a tali concetti giuridici, nella più fornita normativa e dogmatica penale.

Si vedano, all"uopo e ad esempio, le seguenti sentenze, ove sia la Corte di Cassazione Penale, sia la Corte di Cassazione Civile affermano il medesimo principio comportante unitarietà concettuale riferita agli istituti in esame; la prima in ambito di responsabilità di dipendente della pubblica amministrazione,

"Il dipendente della P.A., sia esso impiegato od ausiliario, risponde direttamente nei confronti dei terzi per i danni derivati dal fatto illecito, oltreché in caso di dolo, solo per colpa grave. Tale limitazione è operante anche quando l'illecito costituisce al tempo stesso una fattispecie di reato non essendo ammissibile ritenere che nel nostro ordinamento la violazione colposa della legge penale implichi sempre colpa grave. Il concetto di colpa, infatti, è unitario con la conseguenza che, sia in penale sia in civile, trovano applicazione le distinzioni tra colpa lieve, lievissima e grave, fermo restando che, in mancanza di disposizioni capaci di fornire criteri discretivi, tra l'altro di difficilissima formulazione per il variegato atteggiarsi della realtà, è rimasto al prudente apprezzamento del giudice stabilire di volta in volta il grado di colpa sussistente nella fattispecie" (Cass. pen. 19 giugno 1978, GP, 1979, 113, II);

la seconda, riguardante la prevenzione degli infortuni sul lavoro:

"In materia di prevenzione degli infortuni, l'art. 1 d.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, richiamato dal capo I d.P.R. 7 gennaio 1956 n. 164, allorquando parla di lavoratori subordinati e di soggetti ad essi equiparati non intende individuare in costoro i beneficiari della normativa antinfortunistica, ma ha solo la finalità di definire l'ambito di applicazione di detta normativa, ossia di stabilire in via generale, quali siano le attività assoggettate all'osservanza di essa; ne consegue che, ove un infortunio si sia verificato per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza dovrà far carico, a titolo di colpa specifica ex art. 43 c.p., su chi (appaltatore o direttore dei lavori) detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, a nulla rilevando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore dipendente, un soggetto ad esso equiparato od una persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale tra l'infortunio e l'accertata violazione" (Cass. civ. 20 luglio 2002, N. 10641, GCM, 2002, 1300);

Quest'ultima, ulteriormente, costantemente afferma che il giudice di merito, per stabilire se sussista il nesso di causalità materiale - richiesto dall'art. 2043 c.c. in tema di responsabilità extracontrattuale - tra un'azione o un'omissione ed un evento deve applicare il principio della conditio sine qua non, temperato da quello della regolarità causale, sottesi agli art. 40 e 41 c.p. (nella pronuncia che segue, ad esempio, la Suprema Corte, sulla scorta di tale principio, ha confermato la sentenza di merito impugnata con la quale era stato ritenuto - con riguardo ad un giudizio di responsabilità extracontrattuale a carico dell'appaltatore e dell'esecutore dei lavori relativi alla posa in opera di una porta in ferro di un garage che si era sganciata dai sostegni che la reggevano per il difettoso sistema di apertura ed aveva travolto, causandone la morte, una signora - che se un soggetto costruisca o sistemi una porta in modo che si scardini e produca un danno per il semplice fatto di venire aperta, la serie causale riconducibile a tale soggetto non rimane interrotta dal comportamento della vittima che, pur consapevole del pericolo ed invitata a non aprire la porta, la apra e ne provochi con questo solo atto lo scardinamento, non presentando tale comportamento il carattere di atipicità ed eccezionalità):

"pertanto, alla stregua di ciò, se la condotta della vittima si inserisce in una serie causale avviata da altri, concorrendo alla produzione dell'evento dannoso, il suo apporto non vale ad interrompere quella serie in quanto non è possibile distinguere fra cause mediate o immediate, dirette o indirette, precedenti o successive e si deve riconoscere a tutte la medesima efficacia; l'interruzione si verifica, invece, se la condotta della vittima, pur inserendosi nella serie causale già intrapresa, ponga in essere un'altra serie causale eccezionale ed atipica rispetto alla prima, idonea da sola a produrre l'evento dannoso, che sul piano giuridico assorbe ogni diversa serie causale e la riduce al ruolo di semplice occasione" (Cass. civ. 6 aprile 2006, n. 8096, GCM, 2006, 4).

D'altro canto, anche il giudice amministrativo si è espresso, forse ancor più esplicitamente, nello stesso senso, sostenendo a chiare lettere che, ai fini della determinazione dell'elemento soggettivo, nel giudizio sulla risarcibilità del danno da parte del giudice amministrativo, deve farsi riferimento all'art. 43 c.p., che contiene un principio generale, in forza del quale la colpa non va solo individuata nella negligenza, imprudenza o imperizia, ma anche nella violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline, ovvero nell'inosservanza delle regole di ogni tipo:

"che chi è investito di funzioni pubbliche ha il dovere di conoscere nella materia in cui è tenuto ad agire e coerenti con il raggiungimento dei fini predeterminati nella particolare fattispecie, in modo da assicurare il buon andamento dell'amministrazione ed il rispetto delle situazioni garantite ai singoli dall'ordinamento" (TAR Campania, 22 febbraio 2001, n. 182, FA, 2001, 1354).

Contra, ma destando non poche perplessità (la colpa non può che esprimere valutazioni personalistiche), datata e sparuta giurisprudenza di merito, assolutamente non condivisibile:

"La colpa penale è di tipo soggettivo e concreto, comporta cioè, come l'illecito penale, una valutazione in termini personalistici, mentre la colpa civile è un comportamento contrario ad una norma di condotta cui si dovrebbe attenere qualsiasi uomo saggio ed avveduto e perciò si ispira, come l'illecito civile, ad un paradigma di tipo oggettivo ed astratto. La responsabilità per danno cagionato da animali è oggettiva e non, invece, fondata su colpa presunta" (Pret. Forli', 16 febbraio 1986, RIML, 1988, 284).

La responsabilità oggettiva, invece, al pari della condotta, dell'evento e dell'antigiuridicità obiettiva, pur non trovando esplicita definizione all"interno del codice penale (al contrario, come riferito al precedente paragrafo, di quanto accade agli istituti del dolo, della colpa e del nesso di causalità), tuttavia rappresenta un cardine insostituibile dell"intero sistema jus-penalistico, con evidenti ed ovvie ripercussioni in ordine all"esistenza di numerosissime teorie da sempre dirette a sviscerarne contenuti, funzioni e disciplina:

il principio di personalità della responsabilità è dettato in Costituzione con riferimento agli illeciti penali e non si estende sic et simpliciter alla responsabilità civile ed amministrativa od ai rapporti contrattuali con la p.a., dove ulteriori interessi in gioco possono essere legittimamente bilanciati dal legislatore per introdurre forme di responsabilità oggettiva o anticipazioni della soglia di tutela dell'ordine pubblico, come nel caso della legislazione antimafia in materia di contrattazione con la p.a. (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 07/09/2011, n. 1621 Soc. I.C. s.r.l. c. Min. dell'int. - uff. Territoriale del Governo di Palermo, Min. dell'Economia e delle fin., Soc. I. s.p.a. Red. amm. TAR 2011, 09).

In ambito civile (e l'affermazione vale anche per il diritto amministrativo), più sobriamente, il concetto di responsabilità oggettiva viene dai più richiamato ed utilizzato quale elemento d"analisi dell"elemento soggettivo, in posizione antitetica alla colpevolezza:

"in relazione ai danni verificatisi nell'uso di un bene demaniale, tanto nel caso in cui risulti in concreto configurabile una responsabilità oggettiva della p.a. ai sensi dell'art. 2051 c.c., quanto in quello in cui risulti invece configurabile una responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c., l'esistenza di un comportamento colposo dell'utente danneggiato (sussistente anche quando egli abbia usato il bene senza la normale diligenza o con un affidamento soggettivo anomalo sulle sue caratteristiche) esclude la responsabilità della p.a., qualora si tratti di un comportamento idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno ed il danno stesso, mentre in caso contrario esso integra un concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante (e, quindi, della p.a.) in proporzione all'incidenza causale del comportamento stesso" (Cass. civ. 6 luglio 2006, n. 15383, GCM, 2006, 7-8).

Ugual sorte, per la verità, spetta alla condotta e all"evento, spesso relegati a meri corollari del "fatto materiale" (si confronti, a tal proposito, la seguente pronuncia, ove, nell'affermare, a chiare lettere, in tema di colpa professionale, che il concreto e personale espletamento di attività medico-terapeutica da parte del sanitario comporta sempre l"assunzione diretta della posizione di garanzia nei confronti del paziente - sicché su di lui incombe l'obbligo della osservanza delle leges artis, che hanno per fine la prevenzione del rischio non consentito ovvero dell'aumento del rischio, si precisa altresì che

"gli eventi traumatici esterni ai profili di colpa del sanitario possono incidere sul nesso eziologico sussistente tra l'omissione e l'evento cagionatosi. Tuttavia, rispetto alla condotta oggetto di incolpazione, deve ritenersi che questi fattori abbiano agito solo come concause, da sole non sufficienti a determinare l'evento. Deve, infatti, applicarsi, in questa materia, il principio giuridico dell'equivalenza delle cause, secondo il quale il nesso causale può escludersi solo se si verifichi una causa autonoma e successiva, rispetto alla quale la precedente sia da considerare tamquam non esset; mentre tale nesso non può essere escluso allorquando la causa successiva abbia soltanto accelerato la produzione dell'evento. Nel caso di specie, non si tratta, invero, di cause sopravvenute eccezionali, tali da interrompere il nesso causale tra l'evidenziata condotta colposa e l'evento dannoso, bensì di eventi, dotati di una rilevante incidenza causale, che tuttavia si inseriscono nell'alveo di una situazione (progressivo scompenso psichico del malato) già determinatasi a cagione del comportamento dell'agente. Peraltro, come si è dimostrato, si tratta di eventi che il professionista avrebbe dovuto conoscere e sulla base dei quali avrebbe avuto l'obbligo di commisurare l'adeguatezza del suo intervento terapeutico") (Trib. Bologna, 25 novembre 2005, RIML, 2006, 3, 697).

nonché all'antigiuridicità, sovente dimensionato a mero elemento strutturale dell"atto illecito:

"Per la responsabilità del sorvegliante dell'incapace, è necessario che il fatto di quest'ultimo, escluso l'elemento psicologico, presenti tutte le caratteristiche di antigiuridicità, di modo che, se fosse assistito da dolo o colpa, integrerebbe un fatto illecito" (Cass. civ. 26 giugno 2001, n. 8740, FI, 2001, I,3098),

Raramente dunque, in verità, la responsabilità oggettiva, in ambito civile, risulta onorata di autonoma e ordinata vivisezione, come invece è d"uso effettuare nell"ambito penale!

Dato per accertato, per i motivi espressi nel presente capitolo, il parallelismo esistente tra gli elementi tutti dell"illecito civile – ma, mutando mutandis, l'affermazione è recepibile anche quanto al diritto amministrativo:

sussiste la violazione dell'art. 7, l. n. 241 del 1990, per non avere i soggetti privati interessati potuto partecipare al procedimento di irrogazione della sanzione loro inflitta, in assenza del preavviso di avvio del procedimento, con correlativa impossibilità di agire in contraddittorio con la p.a. contestante l'omessa vigilanza sull'accumulo dei rifiuti, l'ordine della cui rimozione può essere adottato esclusivamente in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, da chi sia preposto al controllo; rispetto a tale contraddittorio la comunicazione dell'avvio del procedimento si configura come un adempimento indispensabile al fine della sua effettiva instaurazione, fermo restando che, per il configurarsi di una responsabilità per dolo o colpa del proprietario o di chi abbia, anche se in via di mero fatto, la disponibilità della discussa area, occorre che il suo coinvolgimento a titolo di dolo o colpa risulti a seguito di un'adeguata istruttoria e con l'ausilio del privato stesso, da convocarsi in contraddittorio (il che, nella specie, non è avvenuto) per fornire elementi utili di valutazione per l'accertamento delle reali responsabilità, ex art. 192, d.lg. n. 152 del 2006 (già art. 14, d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22), in quanto la norma configura l'ordinanza di rimozione di rifiuti abbandonati come ingiunzione di sgombero a carattere sanzionatorio, esigente l'imputazione a carico dei soggetti obbligati per dolo o colpa nel comportamento tenuto in violazione dei divieti di legge, esclusa ogni forma di responsabilità oggettiva per violazione di un generico dovere di vigilanza T.A.R. Emilia Romagna Parma, sez. I, 12/07/2011, n. 255 T.a.v. spa c. Com. Fidenza e altro Red. amm. TAR 2011, 7-8 -

con i corrispondenti elementi dell"illecito penale, pare pertanto opportuno affermare la necessitata utilizzabilità della scienza penalistica (onde consentire un maggior approfondimento dell'istituto de quo), senza dubbio utilizzabile, dall"operatore del diritto tout court, per la concreta applicazione dell'istituto succitato, alle fattispecie d"interesse.

Così, non si vede, in verità, ragione alcuna per non attribuire, ad esempio, all"antigiuridicità civilistica la qualifica di "antigiuridicità obiettiva" – istituto, come visto, caro al diritto penale -, se è vero, com"è vero, che il danno, ex art. 2043 c.c., per essere risarcito deve essere "ingiusto", ossia in contrasto (obiettivo: la soggettività è relegata, dallo stesso articolo, nella dicitura "Qualunque fatto doloso o colposo") con un dovere giuridico (si confronti, ad esempio, l'interessante fattispecie che segue, laddove, nella specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza del giudice di pace che, decidendo secondo equità, aveva liquidato all'attore, riconosciuto invalido civile dall'amministrazione, una somma a titolo di danni morali e materiali per il ritardo dell'amministrazione nell'emettere il libretto di pensione, senza precisare la posizione soggettiva in virtù della quale aveva agito l'attore, necessariamente tutelata da norma diversa da quelle dettate in tema di inadempimento, e senza indicare quale fosse la fonte di prova dei danni morali e materiali conseguenti al ritardo):

"in tema di giudizio di equità, tra i principi informatori della materia, ai quali il giudice di pace è vincolato ai sensi dell'art. 113, comma 2, c.p.c. - nel testo risultante dalla pronuncia di parziale illegittimità costituzionale emessa dalla Corte cost. con sentenza n. 206 del 2004 - e la cui violazione è deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., rientra la necessità, nel giudizio di risarcimento del danno, di accertare che il danneggiante abbia cagionato un danno ingiusto, violando un interesse di altro soggetto tutelato dal diritto, ovvero violando la norma giuridica che attribuisce protezione a tale interesse, e che sia fornita la prova dell'esistenza del danno stesso" (Cass. civ., sez. lav., 15 novembre 2005, n. 23029, GCM, 2005, 11).

Si pensi anche, ad esempio, in tema di sinistro occorso durante una partita di calcio amatoriale, al caso in cui l'esercizio di attività sportiva, implicante il contatto fisico, operi come scriminante in relazione all'uso della violenza connaturata al gioco consensuale (esercizio del diritto, ex articolo 51 del codice penale e difetto di antigiuridicità sotto il profilo civile): confini della suddetta scriminante sono la commissione di un atto non finalizzato al gioco ma meramente alla lesione (esclusione di natura subiettiva) ovvero l'impiego di violenza trasmodane (esclusione obiettiva).

Ulteriormente e allo stesso modo non v"è ragione alcuna per negare alla colpevolezza civilistica (da tener presente, in argomento, come spesso, ai sensi dell'articolo 651 del codice di procedura penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna manifesti indubbiamente efficacia di giudicato nel processo civile di risarcimento del danno, quanto all'accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, con esclusione però proprio della colpevolezza, il cui esame è autonomamente demandato al giudice civile - detta sentenza non è, tuttavia, vincolante con riferimento alle valutazioni e qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili della pronuncia, quali sono quelle che riguardano l'individuazione delle conseguenze dannose che possono dare luogo a fattispecie di danno risarcibile -) ed a quella relativa all'illecito amministrativo la definizione di "attribuibilità del fatto al soggetto attraverso un giudizio normativo di rimproverabilità personale" – definizione tanto cara alla dottrina penalistica -, atteso che, pacificamente,

"oltre che antigiuridico, l"atto per essere qualificato illecito dev"essere colpevole, cioè frutto di un contegno riprovato dal"ordine giuridico. Sempre l"art. 2043 c.c. nelle prime parole prevede il fatto doloso e colposo. Pertanto, mentre l"antigiuridicità si riferisce oggettivamente all"atto come lesivo del diritto, la colpevolezza riguarda il soggetto che ha compiuto l"atto, cioè il suo contegno" (cfr., amplius, "Responsabilita' oggettiva e semioggettiva", Riccardo Mazzon, Utet, Torino 2012).

 

 




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