-  Luca Leidi  -  22/10/2016

L'albero e il pescatore: l'evoluzione dell'art.2051 c.c. - Luca Leidi

PREMESSE: L"IMPORTANZA DI TALE SENTENZA AI GIORNI NOSTRI

Sono passati oramai 25 anni dalla pronunzia delle Sezioni Unite oggetto del caso di studio nel presente articolo. Questa sentenza ben può definirsi di "indirizzo", nel senso che ha comportato il ragionamento da seguire nell"istruzione della causa per risarcimento dei danni causato da cose in custodia ex art.2051 c.c..

Nell"esposizione di questo articolo, si noterà, lo scrivente ha deciso di porre appositamente riferimenti a Cassazioni successive a quella del 1991, al fine sottolineare l"importanza "storica" di tale decisione ed operare una comparazione temporale con essa e le pronunzie recenti.

I principi espressi dalle Sezioni Unite in codesta pronuncia delineano gran parte degli elementi della struttura portante della responsabilità ex art.2051 c.c., che vengono scritti su manuali ed usati giornalmente come principi base dalla giurisprudenza di ogni grado.

Si badi bene, l'evoluzione dell'articolo mantiene la struttura delle asseverazioni delle Sezioni Unite.

L"ALBERO, IL PESCATORE E L"ART.2051 C.C.

Correva l"anno 1968, apice del movimento socio-culturale e di protesta, l"anno degli hippie, della approvazione della legge che istituisce la scuola materna pubblica in Italia, dei primi – di una lunga serie – scontri violenti tra studenti e polizia, dell"assassinio di Martin Luther King, della fondazione dell"Associazione Italiana Calciatori, dell"alluvione di Biella e della nomina di Nixon a presidente degli Stati Uniti.

C"era una volta un giovane ragazzo di nome Mattia (nome inventato, a tutela del d.lgs.196/2003), originario della provincia di Bolzano, che amava pescare, sport che praticava con passione e che lo porta a tesserarsi presso l"Associazione Dilettante di zona.

Nel mese di marzo, la predetta Associazione organizzò una manifestazione sportiva di pesca su un terreno concessole in gestione per lo svolgimento delle proprie attività dal Comune di Caldaro, il quale ne era proprietario.

Il giovine, in quella giornata particolarmente sfortunata, posizionata la propria canna da pesca, si sedette sotto un salice piangente per attendere che un bel pesce abbocchi alla propria esca. Tuttavia, proprio mentre era comodamente sdraiato in attesa di gloria, un ramo si staccò dall"albero e lo colpì in pieno, causandogli importanti ferite ed un trascorso in ospedale.

Curatosi dalle lesioni, con atto di citazione in data 27/1/1971, il ragazzo convenì in giudizio l"Associazione Dilettante Pesca, in persona del suo presidente, nonchè in proprio il Presidente dell"Associazione stessa, per sentirli condannare in solido al risarcimento del danno, oltre interessi di legge.

Si costituivano i convenuti: l'Associazione per dedurre che essa, quale affittuaria del terreno di proprietà del Comune di Caldaro – terreno sul quale era ubicato il salice, non poteva ritenersi custode della cosa, mentre obbligato al risarcimento era semmai il Comune proprietario; ed il Presidente per eccepire che, quale rappresentante di un'associazione non riconosciuta, egli difettava di legittimazione passiva nei confronti del pescatore.

Il Giudice di primo grado prosciolse il Presidente in proprio, e condannò l"Associazione a risarcire al giovane pescatore i danni da quest'ultimo subiti, oltre interessi e spese.

Il problema, come spesso accade ancora oggi, fu che l"Associazione non aveva capitale per risarcire lo sfortunato giovane. Così, undici anni dopo, Mattia convenì in giudizio – per gli stessi fatti – il Comune, del quale chiedeva la condanna al risarcimento dei danni, deducendo che, in qualità di proprietario del terreno luogo del fatto, era responsabile del danno.

Ovviamente, il Comune si costituì in giudizio eccependo che "il terreno sul quale sorgeva il salice in questione era detenuto in esclusiva dall'Associazione Dilettante Pesca fin dal 1962" (ovvero 6 anni prima del fatto n.d.r.), per cui esso ne aveva perduta la disponibilità e la vigilanza, e che, comunque, il taglio di un ramo di una pianta costituiva opera di piccola manutenzione, di competenza della conduttrice.

La difesa del Comune ebbe l"effetto desiderato: il Giudice, infatti, rigettò la domanda di parte attorea.

Il giovine, sconfortato, presentò pronto ricorso in Appello.

Con tale mezzo di gravame, il legale del pescatore insisteva nella richiesta del risarcimento del danno poiché il Comune, proprietario del terreno, aveva, comunque, l'obbligo di vigilare e di prevenire il pericolo, abbattendo il salice pericolante, anche nel caso in cui lo stesso è stato affidato in gestione ad un altro soggetto.

Nonostante tale asserzioni, la Corte d"Appello, con la sentenza 22/10-28/12/1985:

- Rilevò che, "a seguito della convenzione intercorsa tra il Comune e l'Associazione Pesca, quest'ultima aveva conseguito la piena disponibilità del terreno con il conseguente obbligo di vigilanza, sicchè nessun addebito poteva muoversi al Comune per non aver reso edotta l'Associazione del pericolo costituito dal salice, non essendovi la prova che all'atto della concessione, stipulata molti anni addietro, il pericolo fosse allora esistente.";

- Escluse che la fattispecie espressa in giudizio, ed impugnata, fosse riconducibile alla disciplina ex art.2053 c.c., inerente alla responsabilità per rovina di edificio, atteso che quest'ultima "non poteva estendersi ad elementi che non fossero stabilmente incorporati in un edificio".

La Corte rigettava così il gravame, condannando il giovane pescatore alle spese del grado.

Oggi – forse – potrebbe risultare illogico proporre con tale insistenza il risconoscimento della responsabilità a carico del proprietario quando, come nel caso oggetto di studio, quest"ultimo abbia dato in custodia (a qualsiasi titolo) la res causa del danno ad un terzo. All"epoca, però, questa situazione non era mai tanto lontana dall"essere chiara. Moltissime sentenze di merito si pronunciarono in modo contrastante, e quelle che ravvisavano la responsabilità in capo ad uno stesso soggetto, tuttavia, muovevano da motivi logico-giuridici diversi.

Gli stessi dubbi – e soluzioni distinte – si presentarono anni addietro anche al vaglio della Cassazione:

- Chi ascriveva la responsabilità da cose in custodia in capo al proprietario-locatore, sosteneva che "malgrado il contratto di locazione comporti il trasferimento al conduttore dell'uso e del godimento sia della singola unità immobiliare, sia dei servizi accessori e delle parti comuni dell'edificio, siffatta detenzione non esclude i poteri di controllo, di vigilanza e, in genere, di custodia spettanti al proprietario-locatore, il quale conserva un effettivo potere fisico sull'unità immobiliare locata con conseguente obbligo di vigilanza sullo stato di conservazione delle strutture edilizie e sull'efficienza degli impianti" (tra le tante: Cass. nn.6467/1981, 6785/1986; 5855/1987; Cass. 1868/1983);

- Coloro che, diversamente, sostenevano la responsabilità ex art.2051 c.c. in capo al conduttore, muovevano dal ragionamento per cui la responsabilità per danni da cose in custodia "postula una relazione materiale tra il soggetto responsabile e la cosa, che comporta, per chi ha il potere fisico sulla stessa, l'onere di impedire che da essa, per sua conformazione e per particolari contingenze, possa derivare pregiudizio a terzi. Essa è, pertanto, ipotizzabile a carico del conduttore e non del locatore, poichè la locazione determina il passaggio al conduttore, che ne è costituito detentore, della custodia dell'immobile locato e delle pertinenze" (In tal senso: Cass. nn.1641/1971; 1992/1976; 221/1976; 7727/1986; 4068/1986; 6340/1988);

- Altri Giudici, diversificavano la responsabilità a seconda che i lavori siano di ordinaria o straordinaria manutenzione, ai sensi dell"art.1576 c.c. [1], rilevando la sussistenza di una responsabilità diretta verso il terzo danneggiato in capo al:

  a) locatore, ancorchè si tratti di lavori di piccola manutenzione da effettuarsi dal conduttore ai sensi dell'art.1576 cit., a nulla rilevando la sua facoltà di rivalsa nei confronti del conduttore, ovvero la circostanza che questi abbia omesso di dargli avviso della necessità delle riparazioni, incidendo siffatta omissione nell'ambito dei soli rapporti interni fra le parti del contratto di locazione (così Cass. 6785/1986);

  b) conduttore, con rivalsa di costui nei confronti del locatore, allorchè il danno derivi da omissione di lavori eccedenti la piccola manutenzione (v. Cass. 4068/1986);

- In altre occasioni, si sostenne il concorso di responsabilità tra locatore e conduttore nei riguardi del terzo nelle rispettive sfere, rilevando la "perfetta compatibilità" tra il potere-dovere di vigilanza del conduttore e quello del locatore, salvo la facoltà di rivalsa del proprietario-locatore nei confronti del conduttore (Cass. 1589/1985; Cass. 3933/1977; Cass. 4384/1971; Cass. 1868/1983);

- In altre occasioni ancora, si giunse a valutare:

  a) una diversità di titolo di responsabilità a carico del locatore, ai sensi dell'art. 2043 c.c., che si aggiunge alla responsabilità del conduttore ex art. 2051 c.c. (Cass. 7727/1986 [2]);

  b) ovvero responsabilità del proprietario-locatore che si aggiunge a quella del conduttore (sempre quest'ultima ex art. 2051 C.C.), ma a titolo diverso, in forza dell'art. 2053 c.c., interpretato estensivamente (Cass. 4155/1989; Cass. 4155/1985; Cass. 4384/1979) [3].

Dati gli enormi contrasti in materia, quando il giovane pescatore propose ricorso in Cassazione, non si esitò a chiamare in causa le Sezioni Unite per dirimere una volta per tutte, si sperava, i problemi di individuazione in merito al responsabile dei danni per le cose in custodia.

LA SENTENZA N.12019 DELL" 11 NOVEMBRE 1991

E" il 1991 quando le Sezioni Unite prendono in mano il caso concreto. I tempi sono cambiati: gli studenti "combattenti" hanno ceduto il posto alla Banda della Una Bianca ed alla Mafia, Londra viene devastata da due bombe esplose alle stazioni di Victoria e Paddington, Sofia Loren vince il premio Oscar alla carriera, viene fatta la prima chiamata con un cellulare.

L"arduo compito della S.C. è quello di risolvere il caso dettando un principio, un metodo di interpretazione, che possa condurre a risolvere i casi futuri in maniera quantomeno uniforme.

La prima questione da esaminare era determinare chi dovesse rispondere della responsabilità ex art.2051 c.c..

Il ricorrente, infatti, deduce come primo motivo di legittimità, la violazione della disposizione della norma citata per non avere la Corte d"Appello condannato il Comune quale corresponsabile, insieme alla Associazione, della suddetta responsabilità. Secondo il legale del pescatore, "l'obbligo di custodia e la relativa responsabilità verso i terzi danneggiati, ai sensi dell'art. 2051 Cod. Civ., non vengono meno per il proprietario di immobile concesso in locazione (nella specie il Comune), perchè la temporanea sottrazione della cosa, per effetto della locazione, alla disponibilità del proprietario è pienamente compatibile con l'obbligo del medesimo di effettuarvi visite periodiche e di eseguire gli opportuni interventi, atti ad evitare che la cosa stessa e le sue pertinenze possano subire modificazioni tali da comprometterne le condizioni di stabilità, resistenza e sicurezza.". Il rafforzamento di codesta tesi – aggiunge il legale – è desumibile anche dall"art.2053 c.c., il quale richiama comunque la responsabilità del proprietario malgrado il trasferimento al conduttore dell'uso e del godimento.

Le Sezioni Unite, per la ricerca di un criterio unitario di responsabilità per danno cagionato a terzi da cose in custodia, partirono dall"analisi dei poteri-doveri all'uopo conferiti al locatore ed al conduttore.

IL TERMINE "CUSTODIA"

I Germellini partirono dalla base. Oggetto della responsabilità è la res in custodia. Rilevano come la formulazione dell"art.2051 c.c. derivi da quella dell"art.1382 del Code Napoleon, il quale dettava inizialmente una responsabilità per "negligente custodia". Tale concezione trae origine dalla concezione romana, per cui la "custodia" non è che un tipo particolare di "diligentia", quella "custodiendae rei" (e che viene altresì qualificata come "exacta", "exactissima"), la quale rimane un criterio soggettivo di determinazione della responsabilità.

Successivamente, il concetto di custodia è stato individuato nella responsabilità oggettiva.

La custodia si concretizza, cioè, in criterio oggettivo di responsabilità, intendendo per tale quello che addossa a colui che ha la custodia della cosa la responsabilità per determinati eventi, indipendentemente dalla ricerca di un nesso causale fra il comportamento del custode e l'evento.

Ciò che rileva è il mero rapporto di custodia e solo su questo si fonda la responsabilità dell"art.2051 (da ultimo, Cass. N.3793/2014 [4]).

Perché possa configurarsi in concreto codesta responsabilità, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, con il solo limite del caso fortuito (Cass. nn. 27287/2013 [5], 20427/08; 15383/06; 2062/04). Si può così affermare la materia oggettiva della responsabilità per danno da cose in custodia. Al riguardo, la dottrina parla correttamente di "rischio" da custodia, più che di "colpa" nella custodia [6].

In merito a quella tesi che confrontava la norma dell"art.2051 e quella dell"art.2043, occorre distinguere tra "fatto della cosa" e "fatto dell'uomo". Invero, secondo la giurisprudenza, il danno si considera cagionato dalla cosa (art.2051) quando è prodotto da essa per effetto del suo "intrinseco dinamismo", al di fuori di un'azione diretta dell'uomo (art.2043).

Responsabile del danno cagionato dalla cosa è cioè colui che essenzialmente la "ha in custodia". Ma il termine non presuppone, nè implica uno specifico obbligo di custodire la cosa, analogo a quello previsto, ad esempio, in tema di contratto di deposito. Viceversa, la norma fa soltanto riferimento ad uno stato di fatto ("cose che ha in custodia"). La funzione della norma, di imputare la responsabilità a chi si trovi nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, porterebbe ad escludere che custode sia necessariamente il proprietario in quanto tale, potendo essere qualificato custode il soggetto che di fatto controlli le modalità di uso e conservazione della cosa ed abbia, pertanto, come si usa dire, il "governo della cosa" [7] .

Tale criterio è, quindi, un elemento qualificante la "custodia", elemento che si concretizza nella "disponibilità immediata sulla cosa" (intesa come governo della cosa). Indubbiamente tale disponibilità di fatto non può essere disgiunta dalla "disponibilità giuridica" delle condizioni di uso e di conservazione della cosa (ribadito da ultimo dalla Cass. n.15096/2013). Anzi, l"effettivo potere sulla cosa è di fatto risultante dalla disponibilità giuridica e materiale sulla cosa stessa (Cass. n.1026/2013; si è parlato anche di "potere fisico", v. Cass. n.858/2008, che implica il governo, l"uso della cosa e il potere di escludere i terzi dal contatto con la cosa stessa).

Ne deriva che mentre non potrebbe essere qualificato custode responsabile il dipendente, deve invece essere qualificato tale il conduttore, il quale è un detentore qualificato e può, ex art. 1168 C.C., proporre azione di reintegrazione addirittura contro il locatore (specificatamente, la Cass. n.11016/2011, osserva che la funzione della norma è quella di imputare la responsabilità da custodia a chi si trova nella condizione di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d"uso e di conservazione…).

Quindi, elemento classificatore della responsabilità da custodia è senza dubbio quello della "disponibilità immediata" (inteso come governo della cosa), che deve anche essere disponibilità "giuridica", oltre che "materiale".

Le Sezioni Unite, rilevato il concetto di "disponibilità immediata" della res – utilizzabile nella universalità di casi pratici –, giungono a vagliare le seguenti conclusioni astratte, presumibilmente, con lo scopo di "indirizzare" Giudici ed Avvocati all"interno della ampia fattispecie dell"art.2051. E così:

- proprietario resta custode, innanzi tutto, di tutte le cose che non passano nella custodia del conduttore, vale a dire le strutture murarie e gli impianti in esse conglobati, sui quali il conduttore non ha la possibilità di intervenire per prevenire o riparare un danno [8];

- viceversa, il conduttore sarà responsabile per tutte le altre cose che fossero nella sua disponibilità e sulle quali egli può intervenire onde prevenire il danno e - se intervenuto - sollecitamente eliminarlo, onde non recare pregiudizio ai terzi [9];

- non vi è più posto per la responsabilità solidale tra proprietario e locatore [10].

CASO FORTUITO

La seconda parte dell"art.2051 c.c. pone una prova liberatoria per il soggetto "oggettivamente" responsabile: la dimostrazione del caso fortuito, ossia l"esistenza di un fattore esterno che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale (definizione mutuata dalla recente Cass. n.27287/2013).

Il fatto fortuito, si badi bene, deve attenere non al comportamento del soggetto-responsabile, bensì al profilo causale dell"evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno (Cass. nn.26051/2008 e 20317/2005), recante i caratteri della imprevedibilità [11], della assoluta eccezionalità e della inevitabilità, a nulla rilevando che il danno risulti causato da vizi o anomalie insorti nella res prima dell"inizio del rapporto di custodia [12].

L"onere probatorio della parti può così riassumersi: al danneggiato compete provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo [13]; il convenuto-custode per liberarsi, dovrà provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.

La valutazione sulla rilevanza causale del fatto estraneo va operata con riferimento alle condizioni della cosa in concreto, che risulteranno per lo più dal modo con il quale si è esplicato il "governo della cosa" da parte del custode.

SUL CASO DEL PESCATORE

Il nuovo concetto di "immediata disponibilità" ha sostanzialmente condannato le sorti del nostro personaggio. Sul punto le Sezioni affermano che è dato rilevare che la responsabilità per la caduta del ramo dell'albero, posto nel giardino, regolarmente locato dal Comune di Caldaro all"Associazione Pesca, caduta che ha provocato lesioni personali al Mattia, socio di detta associazione, non può essere ascritta al Comune che ben sei anni prima dell'evento aveva concesso in locazione il terreno. La Corte richiama anche un precedente analogo, sempre inerente alla caduta di un albero, sito in un giardino annesso ad un edificio, la quale non ha comportato responsabilità alcuna del proprietario, non ricorrendo la fattispecie giuridica della rovina dell'edificio ex art. 2053 Cod. Civ., ma quella del conduttore quale custode della cosa ex art. 2051 stesso codice. Se è vero infatti che il concetto di rovina totale o parziale dell'edificio non si restringe alla disintegrazione e alla caduta di elementi od opere murarie che ne costituiscono la struttura essenziale, ma comprende anche il distacco e la caduta di semplici manufatti anche accessori, non può tuttavia estendersi alla caduta di cose che non siano materialmente e stabilmente incorporate con l'edificio medesimo [14]. Sussiste viceversa la previsione normativa dell'art. 2051 cod. civ. a carico della Associazione-conduttore.

La locazione, invero, determina il passaggio al conduttore, che è costituito detentore, della custodia dell'immobile locato e delle pertinenze. Come si è detto, la responsabilità ex art. 2051 postula, infatti, una relazione materiale di disponibilità di fatto oltrechè giuridica, tra il custode e la cosa, relazione che determina a carico di chi ha il potere fisico sulla stessa, l'onere di impedire che da essa possa derivare pregiudizio a terzi.

L'albero di salice non era nella disponibilità fisica del proprietario da più di sei anni. Competeva al conduttore (l"Associazione) custodirla in maniera che non provocasse danni a terzi.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

 

[email protected]


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[1] Ai sensi del primo comma dell"articolo citato, "Il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore". La nozione di "piccola manutenzione" ci viene data dalla Cassazione, secondo cui piccole riparazioni sarebbe quelle che debbono reputarsi come conseguenzas del modo come il conduttore ha usato della cosa locata ed il cui criterio discretivo deve essere tratto da un concetto di insieme di "tenuità del valore economico, di destinazione, di uso, di necessario affidamento e di custodia della cosa stessa" (Cass. N.2359/1973).

[2] Il caso concreto rivolto alla Corte, riguardava la "solita" infiltrazione di acqua derivanti dalla rottura di un tubo all'interno di una parete. In tal senso, i Germellini rilevarono che "La locazione comporta il passaggio al conduttore della custodia dell'immobile locato, con la conseguenza che la responsabilita per i danni derivati da tale immobile, a norma dell'art. 2051, c. c. e di regola ipotizzabile a carico del solo conduttore. Tuttavia anche il locatore puo diventare responsabile degli stessi danni, in concorso con il conduttore in base alla diversa disposizione dell'art. 2043 c. c. (con il conseguente onere probatorio a carico del danneggiato), qualora, avvertito dal conduttore o comunque consapevole della necessita di riparazioni eccedenti la piccola manutenzione, abbia trascurato di provvedervi" . Per una pronuncia conforme, v. Cass.4068/1986.

[3] E' da notare che quest'ultima sentenza ha esteso la responsabilità ex art. 2053 C.C. nei confronti del proprietario-locatore anche per danni derivati da rottura dell'impianto idrico incassato nella muratura di un'abitazione.

[4] In tale pronuncia, i Germellini riconoscono il carattere oggettivo di tale responsabilità per la configurazione della quale "in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la res in custodia ed il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l"osservanza o meno di un obbligo di vigilanza".

[5] In particolare, si riporta la massima: "La responsabilità per danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell"attore del verificarsi dell"evento dannoso e del rapporto di causalità con il bene in custodia; una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità ha l"onere di provare il caso fortuito (…)".

[6] Tra gli altri, ALPA, COMPORTI e GALGANO.

[7] Più di recente, si è parlato del potere di "gestione della cosa", il quale giustifica – in un"ottica di sollecitazione al corretto adempimento dei relativi obblighi – la previsione di un regime di imputazione della responsabilità più gravoso (come quella dell"art.2051), che si sostanzia in una presunzione di responsabilità, superabile solo con la prova del caso fortuito (Cass. N.8147/2014).

[8] I Germellini ne fornirono anche una semplice – ed incompleta – esemplificazione: le murature, i cornicioni, i tetti e tutti quegli impianti idrici, sanitari ecc. per raggiungere i quali occorre intervenire sulle opere murarie le quali non possono essere manomesse dal conduttore, il quale è tenuto a restituire a fine locazione al proprietario locatore lo stabile così come lo ha ricevuto (art. 1590 c.c.), con la precisazione che deve trattarsi di danni a terzi e non già nell'ambito del contratto tra locatore e conduttore. Con la conseguenza che se dalla struttura muraria si stacca una parte di essa, ovvero si rompe un impianto in essa conglobato, e reca danno a terzi, la responsabilità è quella del proprietario-locatore, non avendo il conduttore la disponibilità di fatto e giuridica della struttura, a parte eventuali responsabilità del conduttore, interne al rapporto di locazione, per l'omissione del mancato avvertimento al locatore del periodo, responsabilità che non interessano il terzo danneggiato.

[9] E" il caso, ad esempio, degli allagamenti o intasamenti conseguenti al cattivo uso o rottura dei servizi dell'appartamento sui quali egli può intervenire avendone la immediata disponibilità. Deve anche qui tenersi presente che la responsabilità consegue ipso facto per aver il conduttore la custodia della cosa.

[10] Il menzionato decreto della effettiva "disponibilità della cosa" porta ad escludere in tesi il principio della solidarietà. Il proprietario che non abbia la disponibilità della cosa non deve generalmente rispondere dei danni da essa arrecati, a meno che colui cui l'ha affidata non ne abbia avuto un possesso momentaneo. Viceversa, il conduttore - detentore qualificato - risponde nei limiti della sua disponibilità, in quanto in tal caso a lui incombe l'obbligo di custodia.

[11] La caratteristica della "imprevedibilità" deve essere rilevante sul profilo oggettivo (e non già ad escludere la colpa) al fine di accertare l"eccezionalità del fattore esterno, sicché anche una utilizzazione estranea alla naturale destinazione della cosa diviene prevedibile dal custode laddove largamente diffusa in un determinato ambiente sociale (v. Cass. nn.15383/2006 e 20359/2005).

[12] Di recente, in giurisprudenza si è iniziato a suddividere il caso fortuito in due tipologie: il c.d. "fortuito autonomo", in presenza di un fattore esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per se' prodotto l'evento; ed il c.d. "fortuito incindentale", ovvero nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell'evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale e per cio' stesso imprevedibile, ancorchè dipendente dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima (Cass. n.3953/2015; cfr. Cass. nn.22807/2009, 2563/2007 e 20317/2005).

[13] L"attore-danneggiato, infatti, dovrà dimostrare che l"evento si è prodotto come "conseguenza normale" della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, ma non anche che esso sia l"effetto della assenza di presidi antinfortunistici (Cass. n.7125/2013).

[14] La fattispecie disciplinata dall"art.2053 c.c., infatti, si risolve in una applicazione specifica della norma dei danni da cose in custodia ex art.2051 c.c., con la conseguenza che, in base al principio di specialità, il suo configurarsi impedisce l"applicazione dell"art.2051 cit. (Cass. n.19975/2005).




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