Cultura, società  -  Redazione P&D  -  09/01/2022

Lavori usuranti - Marco Faccioli

La dura, durissima, insostenibile vita dei moderatori dei contenuti di Facebook.

Sottopagati, oberati di lavoro e, per quel che qui ci interessa, privi di una robusta assistenza psicologica (vedremo presto il perché). Parrebbe il bollettino sindacale relativo a uno degli innumerevoli lavori legati allo sviluppo delle nuove tecnologie, si tratta invece di un'attività ben specifica: quella di moderatore dei contenuti di Facebook. Ma come, credete mica che sulle pagine del più popolare dei social media si postino solo foto e video di vacanze, di saggi scolastici dei figli, delle effusioni del proprio gatto o dell'aperitivo con gli amici? Nulla di tutto questo: vi sono migliaia, se non milioni, di persone che sencondianamente (scusate il neologismo, ma “quotidianamente” rende poco l'idea al tempo dei social) cercano di postare il materiale più spaventoso e aberrante: decapitazioni, violenze di ogni genere e tipo, massacri, abusi su minori, e via di questo passo. Sono oramai anni che racconto su questa rubrica la metà oscura del mondo patinato della comunicazione di massa e, ricordiamolo per l'ennesima volta, che male non fa mai, il mondo non è Disneyland ...anzi! A impedire che, proprio mentre scorriamo in santa pace le notizie  su Facebook, spuntino fuori un video o una foto raccapriccianti che ci facciano sobbalzare dalla poltrona, ci pensa il lavoro di decine di migliaia di moderatori che, da dietro le quinte, operano in silenzio decidendo che cosa debba essere pubblicato e che cosa no. Naturalmente questo tipo di attività, come da spirito dei tempi, deve essere svolto in pochissimi secondi per ogni singolo contenuto, perché la mole dei post è tale che non si può stare troppo a riflettere su ognuno. Diamo ora la parola a uno dei protagonisti, ovvero a un ex-moderatore che, in forma anonima, ha concesso una video intervista su quello che era il suo mestiere. “Lavoravo per Facebook trascorrendo otto ore al giorno a guardare i contenuti più raccapriccianti postati online per impedirne la visione al resto degli utenti – spiega con il volto coperto da una maschera di gomma: per chi volesse vedere l'intervista completa il link è https://www.vice.com/it/article/k7845x/moderatore-di-facebook-verita – Dopo un po' diventa un lavoro ripetitivo che ti desensibilizza completamente. L’esposizione quotidiana a contenuti con un elevato potenziale traumatico come hate speech, terrorismo, autolesionismo e vari tipi di violenza, oltre a materiale pornografico, a un certo punto diventa ingestibile, e il tuo cervello inizia a risentirne”. Solo una volta lasciata l’azienda l'oramai ex-moderatore si è reso conto di come e di quanto questo tipo di attività abbia influito sul suo benessere mentale. Continua: “I vertici della società rifiutano la realtà di questa situazione, mentre dovrebbero accettare di discuterne, perché oggi la questione è diventata un problema ...un grosso problema.” Così, se da un lato il patron Mark Zuckerberg si sgola ogni volta proponendo l'introduzione del reddito di cittadinanza mondiale e auspicando un mondo meno diseguale, dall'altro sembra che proprio le persone al servizio della sua azienda non se la passino molto bene. “Eravamo sottopagati e sottovalutati – rivela un altro ex addetto alla moderazione del social (anch'egli ha preferito mantenere l'anonimato) – e ricevevamo un compenso pari a circa 15 dollari l'ora, con inizio della giornata lavorativa alle nove del mattino. Per darvi un'idea di come iniziava di solito la nostra giornata lavorativa, sappiate che bastava accendere il computer e subito spuntava un video di qualcuno a cui veniva tagliata la testa. Capitava ogni giorno, ogni minuto, ed è questo ciò che vedi: teste decapitate a profusione. Non c'era niente di piacevole in quel lavoro”. Ed è proprio questo il tipo di contenuti che i moderatori devono vedere e giudicare, prima di procedere alla rimozione e mantenere le nostre bacheche di Facebook un luogo per noi tranquillamente accessibile. Per avere un'idea delle proporzioni, basti pensare che il numero dei potenziali casi di vendetta sessuale, veicolati attraverso la piattaforma sottoforma di foto e video, che Facebook deve analizzare (ovvero intercettare per poi bloccare) sono quasi 600.000 al mese. “Gli psicologi dicono che il pedaggio da pagare quando si guardano immagini estreme, che si tratti di atti di violenza terroristica, abusi sui minori o social-vendette private, può essere molto pesante – scrive la giornalista della NBC Olivia Solon in un suo articolo che tratta dell'argomento – Per questo i lavoratori che sono esposti a quest'orrore devono essere ben preparati, nonché poter contare su un robusto sostegno psicologico, che quasi sempre manca”. Facebook, dal canto suo, assicura di mettere a disposizione dei suoi moderatori tutta la preparazione e l'assistenza necessarie, ma a sentire questi ultimi (almeno quelli che hanno deciso di farsi anonimamente intervistare) l'addestramento e il supporto psicologico ricevuti sono del tutto insufficienti. Rivela un'inchiesta del quotidiano The Guardian che il corso di preparazione dei moderatori dura solo poche settimane, mentre per quel che riguarda l'assistenza psicologica non ci sarebbe alcuna obbligatorietà, vengono semplicemente offerti dall'azienda dei corsi ad hoc ogni due  mesi nonchè la possibilità di affidarsi a uno psicologo su richiesta. Il social network di Menlo Park è solito inoltre affidare questo delicato compito di moderazione dei contenuti non a suoi impiegati interni, ma a compagnie esterne che forniscono addetti che quasi sempre sono composte da  immigrati che conoscono poco l'inglese e che, quando la mole di orrori diventa insostenibile, decidono di rivolgersi a uno psicologo in segreto per paura di perdere il posto di lavoro. 

E così si crea il paradosso per cui, mentre noi siamo soddisfatti per le decine di “like” alla foto del nostro Spritz delle 18.30, altri, che come noi sono parte dello stesso network, quella notte non riusciranno a dormire per gli incubi che li terranno svegli. 




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