-  Sarri Alessandra  -  05/05/2016

Le autorità che non garantiscono il principio di bigenitorialità violano lart 8 della CEDU. – ALESSANDRA SARRI-

L"assenza di collaborazione tra i genitori in conflitto e il dimostrato comportamento ostile di un genitore nei confronti dell"altro, diretto a impedire al minore di frequentarlo, comporta grave violazione del diritto del figlio al rispetto della vita familiare tutelata dall"art. 8 e non dispensa le autorità nazionali dall"obbligo di garantire il diritto del minore a frequentare entrambi i genitori.

La Suprema Corte di Cassazione con la decisione n. 6919 del 2016 formula un preciso principio di diritto: "In tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell"altro genitore, affidatario o collacatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l"altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bi genitorialità e alla crescita equilibrata e serena".

La Corte di Cassazione nel formulare il summenzionato principio richiama una recente sentenza della CEDU del 9.1.2013, n. 25704, L. c/Italia, in cui le autorità giudiziarie a fronte degli ostacoli opposti dalla madre affidataria e dalla stessa figlia minore a che il padre esercitasse effettivamente e con continuità il suo diritto di visita, non si sono attivate a mettere in atto tutte le misure necessarie a preservare il legame familiare tra padre e figlia nell"ambito di un procedimento di separazione personale, e per questo lo Stato italiano è stato condannato.

Più volte la Corte Edu ha rammentato che l"articolo 8 della Convenzione ha essenzialmente per oggetto la tutela dell"individuo dalle ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici. A tale obbligo negativo possono aggiungersi quelli positivi attinenti a un effettivo rispetto della vita privata o familiare, quali l"adozione di misure finalizzate al rispetto della vita familiare, incluse le relazioni reciproche fra individui e la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati.

Anche riguardo alla sindrome di alienazione parentale, ossia al fenomeno in base al quale un genitore con manovre pressorie e manipolatorie sul figlio minore lo allontana progressivamente dall"altro genitore, al fine di estrometterlo dalla vita di quest"ultimo grazie al rifiuto che il figlio manifesta verso l"altro genitore, la giurisprudenza Cedu ha evidenziato il dovere delle autorità nazionali di evitare tale situazione, ritenendola di per sé violativa del diritto alla vita familiare protetto dall"art. 8.

Pertanto secondo la Corte anche nella separazione più conflittuale deve esser preservato il diritto di visita del genitore non convivente con il minore e lo Stato ha l"obbligo di predisporre tutte quelle misure volte a impedire la violazione di questo diritto sancito dalla Convenzione.

Conseguentemente viola solo l"art. 8 quel genitore che impedisce e/o ostacola il diritto di visita dell"altro genitore con dinamiche alienanti, ma anche le autorità che non impediscono con misure adeguate tale comportamento, ad esempio anche attraverso l"assunzione di misure terapeutiche o di sostegno nei confronti del minore al fine di consentirgli di superare il rifiuto del genitore non convivente ( si veda Bordeianu c. Moldavia, sentenza 11.1.2011).

Il principio di bi genitorialità è ampiamente riconosciuto non solo dalla giurisprudenza comunitaria ma anche da quella nazionale. La Corte di cassazione in una recente sentenza aveva già avuto modo di osservare che, in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice deve operare circa la capacità dei genitoriale nella fase della disgregazione dell"unione, va formulato tenendo ben presente il principio della bi genitorialità, da intendersi " quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione" (cfr. Cass. civ. n. 18817 del 2015 citata in sentenza ).

Pertanto, secondo la Corte, l"idoneità genitoriale, ai fini dell"affidamento o del collocamento di un figlio minore presso uno dei genitori, deve esser valutata anche riguardo alla capacità del genitore di riconoscere le esigenze affettive del minore attraverso la capacità di preservargli la continuità delle relazioni parentali, superando atteggiamenti egoistici e di rivalsa verso l"altro genitore in quanto "hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza educazione e istruzione " .

Occorre anche precisare che la giurisprudenza Cedu, coerentemente con l"art. 9 della Convenzione di New York e dall"art. 24 della Carta di Nizza, dando prevalenza al diritto del minore alla bi genitorialità e alla sua tutela in tempi rapidi, nel caso Rytchenko c. Russia, sentenza del 20.1.2011 non ha rilevato la violazione dell"art. 8 ritenendo, in questo caso, legittima l"interruzione dei rapporti del figlio con il genitore al quale era stata accertata una scarsa percezione del ruolo genitoriale.

Venendo alla fattispecie de qua, nella quale, invece, non sono emerse specifiche inadeguatezze a carico della figura paterna e quelle denunciate dalla madre non sono state provate nel corso del procedimento, la Corte ha cassato la sentenza con rinvio alla Corte D"appello di Milano ritenendo che i giudici di merito non avessero motivato sulle ragioni del rifiuto del padre da parte della figlia, oltre a esser venuti meno all"obbligo di verificare in concreto l"esistenza di gravi comportamenti della madre diretti ad allontanare fisicamente e moralmente la figlia minore all"altro genitore, enunciando il principio di diritto di cui sopra.

Fatto.

Il Tribunale per i minorenni di Milano, adito dal padre per ottenere la regolamentazione delle modalità di affidamento della figlia minore dopo l"interruzione della convivenza con l"altro genitore, ha disposto l"affidamento condiviso ad entrambi i genitori, il collocamento della figlia presso la madre, con incarico ai servizi di monitorare la situazione attesa la forte conflittualità genitoriale. Con successivo decreto, registrato l"atteggiamento di rifiuto della figlia a intrattenere rapporti con il padre, ha imposto l"interruzione delle frequentazioni padre – figlia prescrivendo a quest"ultima un percorso terapeutico finalizzato al recupero del rapporto con il padre. Con altro e successivo decreto ha negato l"esistenza di una "sindrome di alienazione parentale" rigettando tutte le istanze di nuovi accertamenti peritali proposte dal padre, pur tenendo conto del disagio manifestato dalla ragazza nei confronti del padre, confermando sostanzialmente il precedente decreto.

La Corte d"Appello di Milano sezione Minorenni investita del reclamo, senza disporre nuovi accertamenti peritali come richiesto dal padre, ha confermato l"affido condiviso della ragazza a entrambi i genitori stabilendone la residenza presso la madre, confermando sostanzialmente il decreto del Tribunale per i Minorenni di Milano.

Il padre ha impugnato il provvedimento avanti alla Corte di Cassazione deducendo come primo motivo la violazione del principio di bigenitorialità, ossia il diritto del bambino di avere un rapporto equilibrato e armonioso con entrambi i genitori e, quindi, anche con il padre, ai fini dell"esercizio condiviso della responsabilità genitoriale, lamentando che i giudici di merito non avevano preso in considerazione i comportamenti ostativi dell"altro genitore, che gli incontri con la figlia erano molto rari e erano avvenuti alla sola presenza degli assistenti sociali o di una baby sitter, e che l"attuale convivenza della figlia con la madre costituiva il principale impedimento a un ravvicinamento padre – figlia, determinando un lesione del diritto alla vita familiare tutelato dalla CEDU all"art. 8.

La Corte accoglie il primo motivo ritenendo assorbiti gli altri, rilevando che i giudici di merito non avevano indagato sulle cause del rifiuto manifestato dalla figlia, né si erano premurati di attuare misure a ristabilire i rapporti di quest"ultima con il padre, nonostante sia emerso che il rifiuto del padre avrebbe potuto precludere alla ragazza relazioni mature e soddisfacenti e che il rapporto con la madre è contraddistinto da ambivalenza e aggressività.

Le conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici di merito si pongono in contrasto anche con quanto emerso nel corso dei relativi procedimenti. In particolare, infatti, il Tribunale per i Minorenni pur non riconoscendo una sindrome da alienazione parentale aveva dato atto che: "la madre sta arrecando gravi e irreparabili danni alla minore, indicendole paure e sospetti nei confronti della figura paterna" e le aveva prescritto " di non ostacolare i rapporti tra la minore e il padre, dovendosi in caso contrario valutare un diverso collocamento della minore".

Anche il C.t.u nominato in primo grado aveva rilevato che la madre aveva di fatto limitato la relazione padre – figlia, nonostante ciò si era dichiarato contrario alla possibilità di incontri con il padre, aveva escluso la configurabilità della sindrome di alienazione parentale e, in modo palesemente contraddittorio, aveva evidenziato la necessità di far intraprendere una psicoterapia alla minore e ai genitori.

La Corte di Appello seguendo l"indicazione del C.t.u. aveva interrotto le frequentazioni del padre con la figlia in ragione della sola indisponibilità di questa, senza procedere a una approfondita indagine sulle reali cause del suo atteggiamento e senza tener conto delle specifiche censure avanzate dalla difesa del padre, aderendo in modo acritico alle conclusioni finali del C.t.u. con motivazioni ritenute dal giudice di legittimità insufficienti e, quindi, censurabili anche alla luce del nuovo testo dell"art. 360, n. 5 c.p.c..

La Cassazione in questa decisione senza entrare nel merito della validità scientifica della PAS, come fatto in precedenza con la sentenza n. 7041/2013 - che incentra proprio sulla mancanza di certezze riguardo alla sindrome la sua censura al giudice di merito - ha confermato l"orientamento di altra pronuncia (cass. civ. n. 5847/13), nella quale l'esistenza della Pas era stata considerata presupposto per confermare l'inadeguatezza paterna, evidenziando come il fenomeno sia ostativo al preminente diritto del minore alla bi genitorialità.

Conformemente alla prassi giurisprudenziale della Corte Edu il giudice di legittimità in questa decisione si è incentrato sull"incidenza del fenomeno Pas sul minore e non sul suo eventuale fondamento scientifico, sancendo il dovere delle autorità nazionali di prevenire tali situazioni di per se violative del diritto del minore alla vita familiare protetto dall"art. 8, nel preminente interesse del minore a veder rispettato il suo diritto alla bigenitorialità anche nella crisi più conflittuale, precisando che lo Stato ha l"obbligo di prevenire ed impedire le possibili violazioni dell"art. 8.

Infine riguardo all"aspetto più propriamente processuale la Corte, richiamando una decisione conforme al recente orientamento che si è formato sulla validità delle consulenze c.d. esplorative, precisa che il Giudicante non può decidere facendo proprie acriticamente le conclusioni del C.t.u. all"esito di un elaborato peritale, al punto da costituire prova ex se, poiché egli deve decidere sulla base di quanto allegato e provato secondo le regole istruttorie proprie del processo civile che quando ha per oggetto questioni riguardanti i minori arriva a comprendere un amplissimo potere istruttorio d"ufficio.

 




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