-  Santuari Alceste  -  28/04/2012

LE AZIENDE PUBBLICHE DI SERVIZI ALLA PERSONA E LAPPLICAZIONE DEL D.LGS. N. 231/01 – Alceste SANTUARI

Le Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP), "risultato" della trasformazione delle ex IPAB, così come stabilito dall"art. 10 della l. n. 328/2000 e dal successivo decreto attuativo d.lgs. n. 207/2001:
1) hanno personalità giuridica di diritto pubblico;
2) sono dotate di autonomia statutaria, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica;
3) prevedono la separazione delle funzioni di indirizzo/programmazione da quelle di gestione;
4) operano con criteri imprenditoriali;
5) non perseguono fini di lucro;
6) possono estendere la loro attività anche in ambiti diversi da quello regionale o infraregionale di appartenenza;
7) godono dei benefici fiscali previsti per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) in materia di erogazioni liberali ex art. 13 d. lgs. n. 460/97.

Alle ASP si applica il principio relativo alla distinzione dei poteri di indirizzo e programmazione dai poteri di gestione, così come introdotto dal d. lgs. n. 29/93 (art. 6, comma 2). Ne consegue che il d. lgs. n. 207/01, da un lato, ha inteso sottolineare il rispetto per le modalità indicate negli statuti per la nomina del Consiglio di amministrazione e del Presidente, individuati quali principali organi di governo (art. 7) e, dall"altro, ha affidato la gestione dell"azienda pubblica di servizi alla persona e la sua attività amministrativa ad un Direttore generale (art. 9). La scelta del modello "azienda" appare coerente con la realtà delle istituzioni trasformate, la cui attività, nella maggior parte dei casi, é oggi rappresentata dall'organizzazione e dalla gestione dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari, nei quali é certamente preminente l'esigenza di operatività, secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità. Si aggiunga che le leggi regionali provvedono all"accreditamento (atto di natura concessoria) delle ASP ovvero dei servizi da loro erogati (se questi sono assicurati a mezzo di contratti di affidamento a soggetti terzi, quali associazioni o cooperative sociali), sancendo, conseguentemente, una relazione "preferenziale" tra le ASP medesime e gli enti locali.

Sotto il profilo definitorio e classificatorio, se già per le "vecchie " IPAB non sempre è stata unanime la loro configurazione giuridica, parimenti per le attuali ASP non è dato disporre di un univoco e pacifico inquadramento tra gli enti pubblici economici, in ragione delle recenti evoluzioni sia nella nozione di "ente pubblico" sia in quella di "ente economico". Al riguardo, è difficile poter individuare con precisione che cosa s"intenda per esercizio di "attività economica organizzata". Per le ex IPAB trasformate in Aziende, è possibile sostenere che esse non svolgono un"attività economica organizzata? Attesi i servizi erogati e la complessità organizzativa che caratterizza queste realtà sembrerebbe difficile escludere la presenza di contenuti economici organizzati. Siamo, al contrario, al cospetto di organizzazioni cui l"ordinamento affida l"erogazione di servizi di pubblica utilità. Questi ultimi sono assicurati da organismi di diritto pubblico: le ASP infatti sono persone giuridiche di diritto pubblico, i cui consigli di amministrazione sono costituiti da membri designati dagli enti locali e il cui finanziamento prevalente deriva da provvidenze pubbliche.

Nell"esercizio delle loro attività, dunque, le ASP, e in specie i loro amministratori e direttori, intrattengono rapporti con la P.A.

Alla luce di queste brevi premesse, sembra dunque di poter dire che, anche a prescindere da una specifica e precisa qualificazione della loro natura giuridica quali "enti pubblici economici" o meno, le ASP presentino tutte le caratteristiche per risultare assoggettate alla previsioni del d.lgs. n. 231/2001, non foss"altro quale assoggettamento volontario.

Preme ricordare che in ossequio alla legge delega 29 settembre 2000, n. 300, il d.lg. n. 231/2001 ha introdotto una nuova figura di responsabilità nell"ordinamento giuridico, ossia quella in capo alle persone giuridiche. La finalità fondamentale della normativa consiste nell"affrontare la criminalità societaria, ed in particolare nel prevenire la commissione dei seguenti illeciti penali:
• reati contro la pubblica amministrazione (concussione, corruzione, malversazione a danno dello Stato, indebita percezione di erogazioni ecc.);
• reati societari (false comunicazioni sociali ecc.);
da parte di due categorie di soggetti, ed in particolare:
• persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell"ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso (c.d. soggetti in posizione apicale);
• persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei c.d. soggetti in posizione apicale, nell"ipotesi in cui detti reati siano commessi a vantaggio o nell"interesse dell"ente.
Il decreto dispone espressamente la non applicabilità della responsabilità in esso prevista
"allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici, nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale" (art. 1, comma 3).

Il decreto definisce la responsabilità amministrativa in parola "responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato", stabilendo che se un certo reato è commesso da persone che appartengono all"ente, la sua commissione comporta direttamente l"applicabilità di sanzioni di vario tipo a carico dell"ente.
La responsabilità degli enti è una responsabilità propria e diretta, che non è di tipo solidale con l"autore del reato. Ciò significa che l"autore del reato risponderà del proprio comportamento secondo le norme penali e, inoltre, l"ente risponderà, ai sensi del decreto, per aver omesso di adottare strumenti e procedure idonei a prevenire la commissione del reato.

Il decreto precisa anche i soggetti dai cui comportamenti può discendere la responsabilità amministrativa dell"ente (art. 5). L"ente è ritenuto responsabile sia che il reato sia commesso da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione, sia da persone che di fatto gestiscono o controllano l"ente.

Affinché l"ente possa prevenire i reati di cui sopra ovvero possa ottenere un"esenzione o una limitazione della propria responsabilità amministrativa qualora i reati vengano commessi, il decreto introduce un particolare "modello di gestione". In questo senso, l"ente dovrà provare (art. 6):
• di aver adottato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire la commissione dei reati della specie di quello verificatosi;
• di aver affidato ad un organismo di vigilanza autonomo il compito di verificare l"applicazione e l"osservanza dei modelli adottati;
• il verificarsi di un comportamento fraudolento; vale a dire che l"autore del reato deve essersi volontariamente ed occultamente sottratto all"applicazione dei modelli;
• che l"organismo incaricato abbia svolto in modo adeguato e completo l"attività di vigilanza.

E" opportuno rammentare che l"adozione dei modelli di governance rappresenta una questione molto delicata, perché di norma implica l"introduzione di nuove regole amministrative e comportamentali, che devono essere studiati ed elaborati analizzando e tenendo presenti le peculiarità organizzative e strutturali dell"ente e la reale situazione sottostante.
 
In termini generali, un modello, per essere valido, dovrà rispondere a determinate caratteristiche, tra le quali:
1. individuare le aree di attività in cui è maggiore il rischio di compimento di reati;
2. prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l"attuazione delle decisioni dell"ente in relazione ai reati da prevenire;
3. adottare modalità di gestione delle risorse economiche idonee ad impedire la commissione dei reati;
4. prevedere un appropriato sistema di trasmissione delle informazioni all"organismo investito delle funzioni di vigilanza;
5. introdurre un apposito sistema sanzionatorio per il mancato rispetto delle disposizioni dei modelli adottati.

Alla luce delle caratteristiche su esposte, per essere giudicato idoneo dal Giudice, il modello organizzativo adottato dall"ente deve essere:
dinamico: deve essere cioè potenzialmente mutevole per adeguarsi alle concrete necessità e all"attività dell"ente;
adeguato: deve potersi cioè adattare a quelle che sono le modifiche delle strutture di mercato o dell"attività stessa dell"ente, con le quali deve confrontarsi costantemente;
specifico: l"ente deve predisporre ed imporre, standard comportamentali per i propri dirigenti e i dipendenti nonché procedure di monitoraggio della loro effettiva applicazione.

L"adozione dei modelli sopra citati rimane interamente lasciata alla libera discrezione degli enti, i quali potranno decidere se adottarli ovvero decidere di svolgere la loro attività optando per l"assunzione di rischi senza mitigazione. Tuttavia, è opportuno segnalare che tutti gli enti impegnati nell"erogazione di servizi aventi rilevanza pubblica e alla persona, che implicano vieppiù relazioni stabili con la P.A., dovrebbero essere particolarmente interessati all"adozione dei modelli organizzativi in parola, poiché la loro normale operatività potrebbe comportare una seppure potenziale realizzazione di atti o fatti che potrebbero dare luogo ai reati ritenuti rilevanti dal d.lg. n. 231/2001.

Sembrano quelli sopra richiamati "indizi" sufficienti che fanno propendere per l"applicabilità, anzi per raccomandare l"adozione dei modelli idonei organizzativi anche alle ASP.




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