-  Gasparre Annalisa  -  05/09/2016

Le condizioni di abbandono dellanimale devono essere provate e motivate, non basta affermarle – Cass. pen. 18688/16 – Annalisa Gasparre

Il Tribunale di Vercelli condannava gli imputati per il reato di cui all"art. 727 c.p. per avere, in concorso tra loro, nelle rispettive qualità di proprietario del cane Pitbull meticcio e di custode-affidatario di fatto del medesimo cane, per crudeltà o comunque senza necessità, sottoposto l'animale a comportamenti insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. In particolare, si accusavano gli imputati di aver detenuto il cane ristretto all'interno di un box di metri 4 x 4 circa, scarsamente illuminato, in condizioni igienico-sanitarie precarie, nonché in stato di abbandono (come evidenziato dalla presenza di feci, urine, tracce di vomito nonché dei relativi maleodoranti effluvi) per parecchie ore al giorno pari a 3-4 della giornata, quando non per intere giornate, determinandone una evidente sofferenza psichica rilevabile dal comportamento aggressivo dell'animale (evidenziato dai tentativi di morsicatura e da atteggiamenti di pseudo aggressività con caratteristiche fortemente patologiche posti in essere nei confronti degli stessi indagati-detentori, nonché dal danneggiamento di varie suppellettili presenti all'interno del box quali poltrone e bancali in legno).

Dall"istruttoria dibattimentale era emerso che l"animale versava in uno stato di abbandono penalmente rilevante e imputabile, sotto il profilo soggettivo, sia proprietario del cane sia al quale custode-affidatario; non emergevano però le peculiarità richieste dalla fattispecie di cui all"art. 544 ter c.p. (maltrattamento di animali), tanto da rendere opportuna la derubricazione nella fattispecie dell"art. 727 c.p.

Tuttavia, la Suprema Corte (cui i condannati si sono rivolti) osserva che dalla motivazione non emerge "alcuna neppure succinta, indicazione del contenuto delle fonti di prova idoneo a giustificare l"approdo cui è pervenuto il giudice merito che ha espresso il verdetto di colpevolezza". Argomentando l"annullamento della sentenza con rinvio, la Corte di cassazione richiama l"art. 546 c.p.p. che, tra i requisiti della sentenza, richiede "l'indicazione delle prove poste a base della decisione". In altri termini la norma precisa che non è "sufficiente che il giudice affermi genericamente di aver utilizzato le prove assunte nel processo o dichiari di essere pervenuto all'accertamento del fatto sulla base di una certa deposizione, in quanto è necessario che sia succintamente indicato, cioè dimostrato con le parole, anche il contenuto del singolo mezzo di prova, vale a dire la proposizione probatoria che costituisce il precipitato specifico del mezzo di prova assunto". Ciò in quanto "solo in questo modo la motivazione diventa un rimedio contro l'arbitrio giudiziale, posto che la controllabilità del discorso giustificativo del giudice scaturisce niente altro che dal rapporto tra elementi di prova assunti (ed utilizzabili) e fatti accertati nel processo".

Costituisce ius receptum che "la motivazione deve essere non solo giustificata internamente, caratterizzata, cioè, da un ragionamento che si snoda attraverso premesse improntate a criteri di congruenza, coerenza e logicità, ma anche esternamente, vale a dire caratterizzata dalla indicazione esplicita delle ragioni per le quali le premesse sono state ritenute e sono da ritenersi accettabili".

Pertanto, come evidenzia la Corte, nel caso di specie l'affermazione secondo la quale "le deposizioni testimoniali assunte hanno confermato che l'animale in questione versava in uno stato di abbandono penalmente rilevante" è "priva tanto di giustificazione interna quanto di quella esterna perchè, siccome del tutto sfornita anche di un minimo riferimento al contenuto delle fonti di prova assunte, si presta, per la sua assertività, a costituire la base di una qualsiasi motivazione canalizzata sulla sola imputazione, ossia sul fatto da provare e non su quello processualmente accertato, in ordine al quale deve convergere il discorso giustificativo del giudice".

 

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Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 17-03-2016) 05-05-2016, n. 18688 – Pres. Fiale, Rel. Di Nicola

1. V.M. ed A. ricorrono personalmente per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Vercelli, previa riqualificazione giuridica del reato originariamente contestato in quello di cui all'art. 727 c.p., li ha condannati alla pena di Euro 4.500,00 di ammenda, quanto a V. M., ed alla pena di Euro 3.000,00 di ammenda quanto ad V.A..

Ai ricorrenti era contestato di avere, in concorso tra loro, nelle rispettive qualità di proprietario (V.M.) del cane Pitbull meticcio e di custode-affidatario di fatto (V. A.) del di medesimo cane, per crudeltà o comunque senza necessità, sottoposto l'animale a comportamenti insopportabili per le sue caratteristiche etologiche, in particolare lo detenevano presso l'abitazione sita in (OMISSIS) ristretto all'interno di un box di metri 4 x 4 circa, scarsamente illuminato, in condizioni igienico - sanitarie precarie, nonchè in stato di abbandono (come evidenziato dalla presenza di feci, urine, tracce di vomito nonchè dei relativi maleodoranti effluvi) per parecchie ore al giorno pari a 3-4 della giornata, quando non per intere giornate, determinandone una evidente sofferenza psichica rilevabile dal comportamento aggressivo dell'animale (evidenziato dai tentativi di morsicatura e da atteggiamenti di pseudo aggressività con caratteristiche fortemente patologiche posti in essere nei confronti degli stessi indagati-detentori, nonchè dal danneggiamento di varie suppellettili presenti all'interno del box quali poltrone e bancali in legno). In (OMISSIS), nel mese di (OMISSIS) e con la recidiva infraquinquennale per V.M..

2. Per la cassazione dell'impugnata sentenza, i ricorrenti articolano quattro motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione di legge processuale in relazione agli artt. 125 e 546 c.p.p. per mancanza di esplicitazione dell'impianto argomentativo della sentenza impugnata, la quale risulterebbe del tutto priva di motivazione in quanto il giudice si sarebbe limitato ad indicare le fonti di prova quanto alle dichiarazioni sulle quali ha fondato la decisione, senza indicare nè l'impianto argomentativo utilizzato e, soprattutto, senza dare riscontro in ordine alla verificazione nel caso di specie degli elementi costitutivi del reato (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c)).

2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono l'erronea e la falsa applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b)) sul rilievo che dall'istruttoria espletata non poteva ritenersi configurabile nè la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 544- ter c.p., originariamente contestato, e neppure quella ritenuta in sentenza di cui all'art. 727 c.p., posto che dalla sentenza non si comprende in quale delle due ipotesi il tribunale abbia ritenuto sussumibile il fatto storico contestato agli imputati e cioè se la fattispecie incriminatrice ritenuta in sentenza fosse sussumibile nell'ipotesi di cui all'art. 727 c.p., comma 1 (atteso che non è stato evidenziato in quali circostanze fosse stato "abbandonato" l'animale) o se fosse sussumibile nell'ipotesi prevista dall'art. 727 c.p., comma 2, relativa a condotte poste in essere per la detenzione degli animali in condizioni "incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze", con la conseguenza che, in mancanza di prova dell'abbandono o del dolore cagionato all'animale, la sentenza impugnata andrebbe annullata per insussistenza del fatto di reato addebitato.

2.3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la mancata assunzione di una prova decisiva (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d)), sul rilievo che la sentenza impugnata non ha tenuto conto delle richieste istruttorie relative all'esame del medico veterinario, il quale avrebbe dovuto chiarire lo stato in cui il cane versava al momento dell'accertamento, con la conseguenza che il rigetto della richiesta istruttoria ha privato gli imputati dell'assunzione di una prova decisiva.

2.4. Con il quarto motivo deducono il vizio di motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)), quanto al calcolo della pena inflitta, con particolare riferimento alla determinazione della pena base, e quanto al diniego della concessione delle attenuanti generiche nonchè il difetto assoluto di motivazione in ordine alla mancata concessione dei richiesti benefici di legge.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato sulla base del primo e del quarto motivo, che assorbe i rimanenti.

2. Il tribunale si è limitato ad affermare che, dall'istruttoria dibattimentale, erano emersi plurimi, univoci, obiettivi, concordanti elementi tali da far ritenere provata la penale responsabile degli imputati per il fatto di reato contestato, sia pure da riqualificare e derubricare nella meno grave fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 727 c.p..

In particolare, si legge nella sentenza impugnata che le deposizioni testimoniali assunte avevano confermato che l'animale in questione versava in uno stato di abbandono penalmente rilevante ai sensi e per gli effetti dell'art. 727 c.p., certamente imputabile sotto il profilo soggettivo sia al V.M. (in qualità di proprietario del cane) sia a V.A. (quale custode- affidatario del cane stesso), pur non emergendo le peculiarità della fattispecie di maltrattamento specificamente sanzionato dall'art. 544- ter c.p..

Alla luce di quanto sopra, è stata ritenuta provata la penale responsabilità degli imputati per i fatti di reato in contestazione previa riqualificazione ex art. 727 c.p..

Ne consegue, come i ricorrenti giustamente lamentano, l'assoluta mancanza di motivazione della sentenza impugnata posto che non vi è alcuna, neppure succinta, indicazione del contenuto delle fonti di prova idoneo a giustificare l'approdo cui è pervenuto il giudice merito che ha espresso il verdetto di colpevolezza.

3. Va infatti ricordato che l'art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) richiede, tra gli altri requisiti che la sentenza deve contenere, "l'indicazione delle prove poste a base della decisione" e con ciò prescrivendo come non sia sufficiente che il giudice affermi genericamente di aver utilizzato le prove assunte nel processo o dichiari di essere pervenuto all'accertamento del fatto sulla base di una certa deposizione, in quanto è necessario che sia succintamente indicato, cioè dimostrato con le parole, anche il contenuto del singolo mezzo di prova, vale a dire la proposizione probatoria che costituisce il precipitato specifico del mezzo di prova assunto e posto a base della decisione perchè, come è stato correttamente sostenuto, solo in questo modo la motivazione diventa un rimedio contro l'arbitrio giudiziale, posto che la controllabilità del discorso giustificativo del giudice scaturisce niente altro che dal rapporto tra elementi di prova assunti (ed utilizzabili) e fatti accertati nel processo.

Costituisce infatti orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 3121 del 11/02/1997, La Rocca, Rv. 207862), e comunque mai disatteso, quello secondo il quale la motivazione deve essere non solo giustificata internamente, caratterizzata, cioè, da un ragionamento che si snoda attraverso premesse improntate a criteri di congruenza, coerenza e logicità, ma anche esternamente, vale a dire caratterizzata dalla indicazione esplicita delle ragioni per le quali le premesse sono state ritenute e sono da ritenersi accettabili.

Nel caso di specie l'affermazione, nella quale si risolve completamente la motivazione della sentenza, secondo la quale "le deposizioni testimoniali assunte hanno confermato che l'animale in questione versava in uno stato di abbandono penalmente rilevante ai sensi e per gli effetti dell'art. 727 c.p., certamente imputabile sotto il profilo soggettivo sia al V.M. (in qualità di proprietario del cane) sia a V.A. (quale custode/affidatario del cane)" è priva tanto di giustificazione interna quanto di quella esterna perchè, siccome del tutto sfornita anche di un minimo riferimento al contenuto delle fonti di prova assunte, si presta, per la sua assertività, a costituire la base di una qualsiasi motivazione canalizzata sulla sola imputazione, ossia sul fatto da provare e non su quello processualmente accertato, in ordine al quale deve convergere il discorso giustificativo del giudice.

4. In ogni caso, è fondato anche il quarto motivo di gravame, posto che la sentenza impugnata è del tutto priva di motivazione sulle ragioni per le quali non sono stati concessi, benchè espressamente richiesti, i benefici di legge (sospensione condizionale della pena e non menzione della condanna).

Incorre, infatti, nel vizio di motivazione la sentenza del giudice di primo grado che, al cospetto di una espressa richiesta di concessione dei benefici di legge in caso di condanna, non indichi le ragioni per le quali reputi non concedibili i reclamati benefici, pur in presenza di una condanna alla sola pena pecuniaria, perchè anche per queste ultime pene il giudice deve rispettivamente concedere o negare il beneficio della sospensione condizionale della pena sulla base dei criteri di politica criminale che governano l'istituto, e cioè deve concederlo ogni volta che sulla base dei parametri di cui all'art. 133 c.p. ritenga che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati e che la stessa sospensione condizionale possa costituire per il condannato una controspinta al delitto (Sez. 3, n. 4838 del 29/01/1998, Vaccarella, Rv. 210736) e deve concedere o negare il beneficio della non menzione della condanna quando il suo conseguimento tenda a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato.

5. Assorbiti gli altri motivi, consegue l'annullamento con rinvio al tribunale di Vercelli per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla con rinvio la sentenza impugnata al tribunale di Vercelli.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2016.

 

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2016




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