Interessi protetti  -  Federico Basso  -  04/10/2022

Le deroghe regolamentari alla disciplina legale del condominio.

Come noto, si ha condominio negli edifici allorquando coesistano nel medesimo fabbricato una pluralità di unità immobiliari di proprietà esclusiva e una o più parti comuni volte a rendere possibile e maggiormente agevole l’uso o il godimento delle singole proprietà individuali.

Come sottolineato dalla dottrina (Santise), proprio in virtù di tale peculiare natura, caratteristica fondamentale e intrinseca del condominio è la continua tensione fra il principio di libertà e il principio di autorità, giacché tutta la disciplina di cui agli artt.  1117 e segg. c.c. è volta a contemperare le esigenze e i poteri esercitabili dal singolo con le necessità e gli interessi della collettività dei condomini.

Allo scopo di attuare il predetto contemperamento, la legge detta alcune regole volte a disciplinare numerosi aspetti relativi alle parti comuni dell’edificio, quali: l’uso, il godimento, le spese per la manutenzione, ecc.

Tuttavia, lo stesso Codice, all’art. 1138, dà la possibilità (qualora i condomini siano inferiori a otto) ovvero prescrive (qualora siano superiori a dieci) di adottare un regolamento, il quale contenga le norme circa l’uso delle cose comuni, l’amministrazione, la ripartizione delle spese e, più in generale, tutti gli aspetti elencati al comma primo del medesimo articolo; pertanto, in tale situazione le fonti regolatrici dei diritti e obblighi dei condomini saranno due, e cioè la legge e il regolamento condominiale.

Ciò premesso, occorre chiedersi se ed entro quali limiti i condomini, nell’esercizio della loro potestà regolamentare, possano derogare a singole disposizioni di legge.

A tal fine pare opportuno illustrare brevemente le varie tipologie di regolamento condominiale delineate dalla dottrina tradizionale (Torrente-Schlesinger), secondo la quale sarebbe possibile distinguere fra:

  • regolamento assembleare, ossia quello previsto dall’art. 1138 c.c. e per l’adozione del quale sarebbe sufficiente l’approvazione ad opera dell’assemblea con la maggioranza di cui all’art. 1136 comma 2 c.c. Tale tipologia di regolamento, invero, in quanto approvato a maggioranza (seppur qualificata) potrebbe disciplinare solamente aspetti relativi alle parti comuni, senza, però, poter attribuire maggiori diritti o gravare di obblighi ulteriori i singoli condomini al di fuori di quelli espressamente previsti dalla legge;
  • regolamento c.d. contrattuale, ovverosia quello approvato dall’unanimità dei condomini e avente natura negoziale, da qualificarsi, più precisamente, quale contratto plurilaterale. Di conseguenza, la necessaria e indefettibile unanimità dei consensi consentirebbe a tale regolamento di normare i diritti dei singoli o di generare obblighi aggiuntivi rispetto a quelli stabiliti dalla legge, senza poter, tuttavia, derogare alle disposizioni di cui all’art 1138 comma 4 c.c. riguardanti gli aspetti nevralgici dell’organizzazione comune;
  • regolamento predisposto dall’originario unico proprietario dell’edificio e fatto accettare ad ogni singolo acquirente al momento dell’atto di acquisto. A tale regolamento la dottrina più risalente attribuisce natura contrattuale;
  • regolamento c.d. giudiziale, ovverosia quello adottato con sentenza dell’autorità giudiziaria su ricorso di un condomino, allorquando l’assemblea non approvi alcun regolamento nei casi in cui la sua adozione sia obbligatoria ex art. 1138, comma 1 c.c.

Orbene, la classificazione così proposta dalla dottrina tradizionale è stata, tuttavia, criticata dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recente, le quali, ai fini dell’individuazione delle possibili deroghe regolamentari o convenzionali alla disciplina legale, paiono maggiormente orientate a considerare rilevante la singola clausola regolamentare contemplante la specifica deroga, a prescindere dal fatto che essa sia inserita in un regolamento assembleare, contrattuale o predisposto dall’originario unico proprietario.

In altri termini, per le clausole contenenti semplici regolamentazioni circa l’uso, la ripartizione delle spese, il decoro architettonico, ecc. delle parti comuni sarà sufficiente l’approvazione assembleare con le maggioranze di cui all’art. 1136 comma 2 c.c.; invece, per le clausole contenenti una menomazione dei diritti dei singoli condomini nelle parti comuni ovvero l’imposizione di ulteriori pesi od obblighi sulle singole proprietà individuali sarà necessaria l’accettazione di tutti: ciò, tuttavia, si badi, a prescindere dal fatto che la specifica clausola sia contenuta nelle diverse tipologie di regolamento individuate dalla dottrina classica. Di conseguenza, secondo la giurisprudenza più recente, sarà ben possibile che una clausola disciplinante unicamente profili attinenti all’uso, al godimento, al decoro delle parti comuni senza derogare in alcun modo alla disciplina legale dei diritti e degli obblighi spettanti a ciascun condomino, seppur inizialmente approvata all’unanimità, possa essere successivamente modificata con la maggioranza di cui all’art. 1136 comma 2 c.c., in quanto, appunto, occorrerà analizzare la singola clausola e non il più generale contesto regolamentare nel quale essa è stata inserita.

Orbene, ciò premesso in via generale, il quadro delle deroghe convenzionali e regolamentari alla disciplina legale del condominio può così riassumersi:

  • con la maggioranza di cui all’art. 1136 comma 2 c.c. potranno essere approvate clausole che disciplinino solamente aspetti relativi all’uso, al godimento, all’amministrazione, al decoro architettonico delle parti comuni, senza poter derogare in alcun modo ai diritti spettanti e agli obblighi gravanti su ciascun condomino quali risultano dalla legge (o dagli atti di acquisto o dalle convenzioni);
  • con il consenso di tutti partecipanti al condominio sarà possibile, invece, inserire clausole che contemplino, ad esempio:
  1. l’imposizione di pesi sulle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva, da qualificarsi, secondo la dottrina maggioritaria, quali servitù a carico delle singole unità immobiliari e a favore di tutte le altre;
  2. l’attribuzione di maggiori o minori diritti sulle parti comuni, in deroga al criterio proporzionale di cui all’art. 1118 comma 1 c.c.;
  3. una diversa ripartizione delle spese per la conservazione e il godimento delle parti comuni in deroga ai criteri di cui agli artt. 1123-1124 c.c.;
  4. l’imposizione di ulteriori obblighi o limitazioni nelle parti comuni a carico di uno o più condomini;
  5. la modifica dei valori contenuti nelle tabelle millesimali anche in assenza di un errore ovvero di un mutamento dello stato di fatto.

Come illustrato, le deroghe sono, dunque, numerose e di varia natura; ciononostante, non saranno comunque ammissibili - neppure con un’approvazione all’unanimità - deroghe alle norme disciplinanti aspetti nevralgici e imprescindibili nella gestione e nell’organizzazione funzionale della cosa comune, elencate, specificamente, dall’art. 1138 comma 4 c.c., il quale dispone che “in nessun caso” le norme del regolamento possono derogare agli artt. 1118 comma 2, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 c.c.

La ratio della disposizione è evidente e coerente con il sistema: se, infatti, all’autonomia privata è dato incidere in qualsiasi modo sui diritti e sugli obblighi spettanti ai singoli, altrettanto non può dirsi in relazione ai profili riguardanti l’organizzazione del gruppo, in quanto emanazione di un interesse superiore e ultraindividuale, insuscettibile di essere modulato dalla volontà -seppure unanime- dei condomini.

Maggiori problemi sono sorti, invece, in relazione alle disposizioni di cui al quinto comma dell’art. 1138 c.c., posto che una parte della dottrina, sulla scorta del dato letterale, ha ritenuto di attribuire alla medesima lo stesso carattere di inderogabilità di quelle di cui all’art. 1138 comma 4 c.c.; altra parte della dottrina, invece, valorizzando la collocazione sistematica della norma, non menzionata tra quelle ritenute assolutamente indefettibili dall’art. 1138 comma 4 c.c., ha preferito qualificare la medesima come derogabile, seppur solo in presenza di un consenso unanime dei condomini.

Ebbene, le questioni sollevate dall’esegesi di tale norma costituiscono un valido esempio delle difficoltà che assai spesso gli interpreti incontrano nell’individuazione delle disposizioni suscettibili di essere derogate a livello convenzionale o regolamentare dall’autonomia privata dei condomini.

Invero, come precedentemente illustrato, seppur in astratto il codice abbia individuato all’art. 1138 i criteri e i limiti ai fini della perimetrazione delle norme passibili di deroga, purtuttavia, permangono notevoli difficoltà, specialmente in relazione a numerose norme caratterizzate da una formulazione poco chiara o, comunque, assai poco coerente con il dato sistematico del codice: si pensi, a titolo di esempio, ai dibattiti giurisprudenziali insorti a seguito delle modifiche dell’art. 67 disp.att. c.c. in merito alla validità delle clausole regolamentari che escludono il singolo condomino dalla partecipazione alle assemblee del c.d. “supercondominio”.

Ebbene, a fronte di tali persistenti incertezze sarà compito della futura elaborazione dottrinale e giurisprudenziale tracciare i confini dei poteri riconosciuti all’autonomia privata condominiale in relazione alla derogabilità delle norme più problematiche della disciplina del condominio negli edifici.




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