Internet, nuove tecnologie Varie Cultura, società  -  Marco Faccioli  -  28/05/2022

Le metamolestie, o le molestie nel metaverso

Come più volte abbiamo esordito in questa rubrica descrivendo un fatto o un fenomeno di ultima generazione che degenera, anche questa volta ci tocca iniziare con un sonoro e facilmente profetico: “era solo questione di tempo”. Stiamo parlando, manco a dirlo, di meta-molestie, ovvero di comportamenti inopportuni che si possono verificare nel Metaverso.

Da anni oramai il mondo digitale sembra essersi specializzato nel replicare in Rete le principali becere abitudini del mondo reale e anche il Metaverso (naturalmente) non poteva sottrarsi a questa fondamentale regola non scritta. Il recente caso di una donna vittima di molestie sessuali (o meglio: di un avatar femminile molestato da un avatar maschile) in un ambiente di realtà virtuale apre nuovi interrogativi nel mondo del diritto. La categoria dei giuristi, fedele alla propria genetica caratteristica di sempre e comunque semplificare ogni cosa, si è posta il non trascurabile obiettivo di riuscire a capire se certi comportamenti punibili nella realtà (nello specifico le molestie sessuali) possano esserlo anche quando si verificano in contesti completamente digitali, come per l'appunto quello del Metaverso. Il caso incriminato, destinato di certo a far scuola nel mondo del meta-diritto, si è verificato sulla piattaforma “Horizon Worlds” di Meta, la società che fa capo al patron di Facebook. Come più e più volte abbiamo detto in questa rubrica, questo tipo di piattaforme ricrea un ambiente del tutto virtuale (per l'appunto il Metaverso) all'interno del quale, grazie a un proprio avatar (o alter ego di se stessi) e a una serie di dispositivi di controllo dei movimenti e a un visore, si può entrare in questo ambiente virtuale interagendo con altri personaggi, a loro volta animati da persone reali. Durante una di queste migliaia di interazioni, vi è stato un episodio che, laddove successo nel mondo reale, sarebbe stato qualificabile come “palpeggiamento di parti intime”. Cos'è successo? Un avatar gestito da un uomo si è abbandonato a comportamenti inurbani ai danni di un avatar gestito da una donna, con tanto di commenti sessisti da parte di altri utenti collegati che, a loro volta a mezzo dei loro avatar, erano presenti alla scena. La donna ha sporto denuncia (non meta-denuncia, ma denuncia vera), fatto quest'ultimo che apre il sipario su tutta una serie di considerazioni. Prima di tutto non dimentichiamo che il tutto cade sotto la competenza di una corte USA (e questo poiché la vittima e il molestatore sono americani, e la piattaforma su cui è avvenuto il fatto è gestito da una società con sede negli States), e in quel Paese una simile fattispecie, benché avvenuta in ambiente virtuale, configura il reato (vero!) di molestie sessuali e risulta, pertanto, perseguibile. In second'ordine Meta, attraverso un comunicato, si è detta dispiaciuta e si è scusata per l'accaduto, introducendo al volo una nuova funzione nel programma (chiamata Safe Zone) che impedisce, quando attivata, agli altri avatar di avvicinarsi troppo al proprio. I giuristi a stelle e strisce però hanno fatto prontamente notare che questa soluzione tecnica, per quanto apprezzabile, rischia di far ricadere sull'utente-vittima la responsabilità di non aver saputo evitare le eventuali molestie ricevute. Inutile dire che, quando si spacca il capello in 1000 su simili questioni di lana caprina, lo schierarsi calcisticamente per una parte o per l'altra diventa a dir poco inevitabile, con il solito codazzo di scontri, polemiche da talk show, battibecchi e altre amenità che tanto appassionano il pubblico. Alcuni invero auspicano che il programma di Meta impedisca del tutto il verificarsi di simili episodi senza richiedere alcuna attività difensiva da parte dell'utente il cui avatar abbia attirato meta-attenzioni non gradite. Poniamoci però un'ulteriore domanda (che sa tanto di settimana enigmistica): che cosa sarebbe accaduto se il fatto di cui sopra fosse successo qui da noi, in Italia? Come verrebbe inquadrato e deciso un simile fatto da un tribunale nostrano (una volta ovviamente trascorsi X mesi per decidere se quello competente a giudicare sia Torino, Milano, Roma, Napoli ect. etc. etc.?). Il noto portale di divulgazione di diritto studiocataldi.it si è posto la questione ...vediamo quindi come ha provato a risolverla. Partiamo dal dato di fatto: se un avatar allunga la manina su un altro manca un effettivo atto materiale (il contatto fisico vero e proprio tra vittima e aggressore), circostanza quest'ultima che impedisce di ricondurre la fattispecie nell'ambito della violenza sessuale così come prevista e punita dal nostro art. 609-bis c.p. L'ordinamento italiano inoltre non prevede, a differenza di altri, un autonomo reato di molestie sessuali. Tuttavia, un importante appiglio giuridico potrebbero offrirlo l'art. 660 c.p. e la sua interpretazione fornita, nel corso degli anni, dalla giurisprudenza. Tale norma punisce il reato di molestie alla persona, intese come il comportamento con cui, in luogo aperto al pubblico, si arrechi ad altri molestia o disturbo per motivi meritevoli di rimprovero ...fuochino! Ebbene, da questa generica definizione (e più una definizione è generica più vi si può far rientrare di tutto nella stessa), relativa a comportamenti che possono anche non avere nulla a che fare con la sfera sessuale, la giurisprudenza ha provato a elaborare la specifica figura delle molestie a sfondo sessuale, che, pur in mancanza dell'atto materiale del contatto fisico tipico del delitto, si sostanziano in espressioni volgari a sfondo sessuale o in atti di corteggiamento invasivo e insistito. Una simile ricostruzione dovrebbe essere sufficiente a ricomprendere, o almeno a fornire l'aggancio per ricondurre nell'alveo delle molestie a sfondo sessuale, e quindi punire, anche quei comportamenti realizzati per mezzo di dispositivi elettronici nel contesto di ambienti virtuali. Sul punto però sarebbe sicuramente opportuno, oltre che un auspicato progresso culturale da parte di tutti (che non vi sarà ovviamente mai), un intervento del legislatore, anche comunitario, specificamente mirato a punire, senza possibilità di equivoci, simili comportamenti e a tutelare la dignità della persona e la sfera privata, massimamente quella sessuale, di ogni individuo, anche quando la stessa possa venire offesa o violata in ambienti completamente virtuali e digitali.

E questo perchè, si faccia bene attenzione, “immateriale” non significa “inesistente”, e ciò che avviene in Rete viene senza ombra di dubbio subito dall'individuo nella sua dimensione reale di persona fisica.

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