-  Sassano Francesca  -  09/10/2015

LE VITTIME DELLA VIOLENZA DOMESTICA: EFFICACIA DEGLI ORDINI DI PROTEZIONE E TUTELA - F. SASSANO

Le vittime della violenza domestica: efficacia degli ordini di protezione e tutela

in ambito comunitario di Francesca Sassano

Sommario: Premessa metodologica . - 1. Finalità dell'ordine di protezione ex artt. 342-bis e ter c.c. 2. -La. «gemella» misura di allontanamento dalla casa familiare ex art. 282-bis c.p.p.- 3. I riferimenti all'allontanamento del familiare violento del Consiglio d'Europa e della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Il percorso evolutivo del panorama legislativo europeo.- 5..Una giustizia riparativa oltre la mediazione.- 6. La posizione della Corte di giustizia dell'Unione Europea.- Riflessioni conclusive.

Premessa metodologica

Il presente lavoro è finalizzato a porre in relazione concetti ampi come quello di "vittima", di " violenza domestica " e di "tutela" nazionale e comunitaria.

L'obiettivo è ambizioso: nessuna celebrazione del concetto di " genere" e pari dissacrazione di quello di "vittima".

La prospettiva non è di negazione del fenomeno, ma di corretta comprensione delle tematiche e quindi delle possibilità legislative.

Poichè il giuridico, ormai, è completamente sommerso della comunicazione e dalla trasposizione dei dati.

1. Finalità dell'ordine di protezione ex artt. 342-bis e ter c.c.

La l. 4 aprile 2001, n. 154, a conclusione del lento percorso normativo che concepisce la violenza domestica non come questione privata, ma come problema pubblico da affrontare con specifici strumenti di protezione delle vittime, ha inserito nel libro I (delle persone e della famiglia) del codice civile il titolo IX-bis, intitolato ordini di protezione contro gli abusi familiari, all'interno del quale si trovano gli artt. 342-bis e 342-ter c.c. che consentono al Giudice, su istanza di parte, «quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale o della libertà dell'altro coniuge o convivente, di adottare con decreto uno o più provvedimenti di cui all'art. 342-ter» 1.

Iin dottrina, "la ratio legis è apparsa subito chiara: offrire forme di intervento in tutte quelle situazioni patologiche di sopruso familiare, che non hanno trovato (per lo meno allo stato) una loro composizione in un procedimento di separazione personale o di divorzio, ma pure in una separazione di fatto (atteso che la nuova disciplina si applica anche alle convivenze)" 2.

L"articolo 342-bis del codice civile disciplina gli ordini di protezione contro gli abusi familiari,.

Nei casi in cui dalla condotta del coniuge o di altro convivente derivi un grave pregiudizio all"integrità fisica o morale o alla libertà dell"altro coniuge o convivente, il giudice può adottare su istanza di parte uno dei provvedimenti previsti dal successivo articolo 342-ter.

I presupposti degli ordini di protezione sono la sussistenza di una condotta gravemente pregiudizievole dell"integrità fisica o morale o della libertà di un altro soggetto e la circostanza che quest"ultimo sia coniuge o convivente di colui che pone in essere la condotta.

La finalità è di interrompere e anche se possibile prevenire tutte quelle situazioni in cui la convivenza è caratterizzata da fatti violenti sulla persona.

Il giudice può disporre la cessazione della condotta o l"allontanamento dalla casa familiare del soggetto pregiudizievole e prescrivergli di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla "vittima", contemperando il rispetto delle esigenze lavorative.

Il giudice può disporre anche l"intervento dei servizi sociali, di un centro di mediazione familiare o delle associazioni che si occupano del sostegno e dell"accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattamenti; nonché porre a carico del soggetto lesivo il pagamento di un assegno periodico a favore della vittima dei soprusi se in conseguenza degli stessi è rimasta priva di mezzi propri.

Il giudice perl'esecuzione dei provvedimenti emessi se non spontaneamente eseguiti, può avvalersi anche della forza pubblica e degli ufficiali sanitari.3

L"istanza è proposta dalla parte personalmente, con ricorso al tribunale del luogo di residenza o domicilio.

Il Tribunale provvede in camera di consiglio, in composizione monocratica.

Il Presidente del Tribunale designa il Giudice a cui è affidata la trattazione del ricorso. Egli, sentite le parti, procede ad istruire la causa e provvede con decreto motivato, immediatamente esecutivo.

In caso di urgenza il Giudice può assumere delle sommarie informazioni e adottare immediatamente l"ordine di protezione, fissando successivamente l'udienza di comparizione delle parti, entro un termine non superiore a quindici giorni e assegnando un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. All"udienza di comparizione, egli può confermare, modificare o revocare il suo provvedimento.

Avverso il suo decreto può proporsi reclamo al tribunale entro dieci giorni dalla comunicazione o dalla notifica del decreto.

Tale reclamo non sospende l"esecutività dell"ordine di protezione e il tribunale vi provvede in camera di consiglio in composizione collegiale, previa comparizione delle parti e con decreto motivato non impugnabile.

La durata degli ordini di protezione è stabilita dal giudice con il medesimo decreto con il quale li dispone.

Essa, in ogni caso, decorre dal giorno in cui viene eseguito l"ordine e non può eccedere un anno.

Su istanza dell"interessato e solo in presenza di gravi motivi, l"ordine di protezione può essere prorogato.

Il mancato rispetto degli ordini di protezione determina una responsabilità penale: si tratta in particolare di quella prevista dal primo comma dell"articolo 388 del codice penale in caso di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, perseguibile a querela della persona offesa.

Vi è già giurisprudenza di merito e di legittimità in materia che offre interessanti spunti di riflessione.

Il Tribunale di Monza in ordine al giudizio di bilanciamento tra i diritti del marito e quelli delle vittime degli abusi domestici esprime un principio che merita di essere condiviso in assenza di giurisprudenza di legittimità civile sul punto — in quanto «in tema di ordine di protezione contro gli abusi familiari nei casi di cui all'art. 342-bis c.c., il decreto motivato emesso dal tribunale in sede di reclamo con cui si accolga o si rigetti l'istanza di concessione della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare non è impugnabile per cassazione, né con ricorso ordinario, stante l'espressa previsione di non impugnabilità contenuta nell'art. 736-bis c.p.c., introdotto dall'art. 3 l. n. 154 del 2001, né con ricorso straordinario ai sensi dell'art. 111 Cost., giacché questo decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività» 4

Tale principio trova conferma nella sentenze della Cassazione penale sull'omologa misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare ex art. 282-bis c.p.p.

La Suprema Corte penale ha premesso che «la l. 4 aprile 2001, n. 154, art. 1 comma 2, ha inserito nell'ordinamento processuale l'art. 282-bis c.p.p., prevedendo una nuova figura di misura cautelare con contenuti inibitori, ispirata all' order of protection conosciuto nelle legislazioni di common law. Si tratta di un modello cautelare diretto a predisporre misure giudiziarie efficaci e di natura preventiva, che assicurano una tutela immediata della vittima all'interno dei rapporti familiari, realizzando uno schermo di protezione attorno al «soggetto debole» 5

L'ordine di protezione è in grado di fornire un' alternativa allo strumento simmetrico penale (la misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare ex art. 282-bis c.p.p., i cui contenuti sono sostanzialmente identici a quelli previsti dall'art. 342-ter c.c.), essendo uno strumento di tutela forte per la protezione efficace della vittima garantita dall'ordine di allontanamento, ma anche flessibile, dal momento che potrebbe permettere anche la ricostruzione delle relazioni familiari 6. Infatti, a differenza della misura ex'art. 282 bis c.p.p., l'ordine di protezione civilistico di allontanamento dalla casa familiare mira a limitare la conflittualità nell'ambito domestico e a favorire il recupero delle relazioni dei coniugi7.

La finalità degli ordini di protezione ex artt. 342-bis e 342-ter c.c., è la possibilità di ottenere una tutela immediata, tramite uno strumento civilistico, eliminando l'avversione psicologica della vittima a denunciare o querelare il partner violento.

Un ulteriore obiettivo della legge è quello di limitare i meccanismi di colpevolizzazione cui è soggetta la vittima della violenza, impedendo a chi ha subito l'aggressione la scelta penalizzante di abbandonare la casa familiare ovvero per il minore il trauma dell'allontanamento disposto dal giudice come era nella previsione degli artt. 330 e 333 c.c.8.

Gli ordini di protezione sono coerenti con i principi costituzionali della famiglia, quelli dell'eguaglianza morale e giuridica nei rapporti coniugali e con la prole:"le misure contro la violenza nelle relazioni familiari esprimono, infatti, secondo una linea ideale che unisce gli artt. 2 e 3 agli artt. 29, 30 e 31, compresi gli artt. 32, 33, 34, 36, 37, 38 Cost., la rilevanza giuridica prioritaria riconosciuta agli interessi del singolo rispetto a quelli della famiglia, tutelata in quanto formazione sociale di arricchimento e sviluppo della personalità del soggetto".9

2. La. «gemella» misura di allontanamento dalla casa familiare ex art. 282-bis c.p.p.-

L' articolo 282 bis cpp disciplina in sede penale il provvedimento di allontanamento dalla casa familiare "Con il provvedimento che dispone l'allontanamento il giudice prescrive all'imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede. L'eventuale autorizzazione puo' prescrivere determinate modalita' di visita. Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell'incolumita' della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, puo' inoltre prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalita' e puo' imporre limitazioni. Il giudice, su richiesta del pubblico ministero, puo' altresi' ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati. Il giudice determina la misura dell'assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi dell'obbligato e stabilisce le modalita' ed i termini del versamento. Puo' ordinare, se necessario, che l'assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di lavoro dell'obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante. L'ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo. I provvedimenti di cui ai commi 2 e 3 possono essere assunti anche successivamente al provvedimento di cui al comma 1, sempre che questo non sia stato revocato o non abbia comunque perduto efficacia. Essi, anche se assunti successivamente, perdono efficacia se e' revocato o perde comunque efficacia il provvedimento di cui al comma 1. Il provvedimento di cui al comma 3, se a favore del coniuge o dei figli, perde efficacia, inoltre, qualora sopravvenga l'ordinanza prevista dall'articolo 708 del codice di procedura civile ovvero altro provvedimento del giudice civile in ordine ai rapporti economico-patrimoniali tra i coniugi ovvero al mantenimento dei figli. Il provvedimento di cui al comma 3 puo' essere modificato se mutano le condizioni dell'obbligato o del beneficiario, e viene revocato se la convivenza riprende. Qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d'ufficio o comunque aggravate, 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 600-septies.1, 600-septies.2, 601, 602, 609 quinquies, 609-octies e 612, secondo comma, del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura puo' essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'articolo 280, anche con le modalita' di controllo previste all'articolo 275-bis.10"

Il presente articolo è stato aggiunto dall'art. 1, L. 04.04.2001, n. 154, con decorrenza dal 13.05.2001.

In un caso pratico, il marito, indagato per il reato di maltrattamenti in famiglia ai danni della moglie, colpito dal provvedimento che applicava l'allontanamento dalla casa familiare, chiedeva l'annullamento della misura coercitiva in quanti lo stesso abitava in un appartamento attiguo a quello della moglie (persona offesa dal reato ex art. 572 c.p.). Per l'esattezza, i due coniugi vivevano in appartamenti separati, muniti di ingressi autonomi, pur se facenti parti della medesima unità immobiliare.

I giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso in quanto "la condivisione degli spazi comuni, dove si sono verificati i fatti di cui all'imputazione, e le inevitabili possibilità di incontro tra le parti non impedirebbe comunque la reiterazione del reato, tanto più che l'art. 282-bis c.p.p., prevede espressamente non solo l'allontanamento del convivente dalla casa familiare, ma anche la prescrizione di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa" 11

Analogamente, in altra fattispecie, la persona offesa, in passato vittima di maltrattamenti del marito dal quale si era legalmente separata, aveva nuovamente denunciato il marito per atteggiamenti aggressivi e minacciosi, consumati nelle more dell'esecuzione di una sentenza del tribunale civile che gli riconosceva il diritto di rientrare in possesso di un garage, ubicato nel piano seminterrato del villino dove la persona offesa, unitamente alle figlie, aveva la propria residenza.

Il Tribunale ha statuito in merito che, quando vi è rischio per la incolumità della persona offesa e dei suoi congiunti, si può prescrivere all'imputato di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, "ed è evidente che siffatto divieto di avvicinamento, ulteriore rispetto a quello di accesso alla casa familiare, ben può essere riferito a luoghi limitrofi a quest'ultima, comprese le pertinenze, gli spazi condominiali, luoghi la frequentazione dei quali porrebbe concretamente l'agente nella condizione di attuare con efficacia i presupposti d'aggressione contro la persona offesa" .12

3. I riferimenti all'allontanamento del familiare violento del Consiglio d'Europa e della Corte

di Giustizia dell'Unione Europea. Il percorso evolutivo del panorama legislativo europeo.

Il Consiglio d'Europa è un organismo politico che è stato creato il 5 maggio 1949 da dieci Stati europei al fine di realizzare un'unione politica più stretta fra i suoi membri. Lo statuto dell'Organizzazione prevede due organi costitutivi: il Comitato dei Ministri, composto dai ministri degli Affari esteri dei quarantaquattro Stati membri e l'Assemblea parlamentare, formata dalle delegazioni dei quarantaquattro parlamenti nazionali. Il Congresso dei poteri locali e regionali d'Europa rappresenta le collettività territoriali all'interno degli Stati membri. La Corte europea dei Diritti dell'Uomo è l'organo giudiziario competente per decidere sulle richieste rivolte contro uno Stato da privati, da associazioni o da altri Stati contraenti per violazioni della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo.

L'Assemblea parlamentare ha adottato la raccomandazione 1582 (2002) sulla violenza domestica contro le donne, la quale ricorda che la violenza commessa dentro la famiglia viene ancora considerata come un fatto privato, mentre la stessa deve essere trattata come un problema politico e sociale e una violazione dei diritti umani e richiama gli Stati membri del Consiglio d'Europa ad adottare misure legali tra le quali "la legislazione nazionale deve proibire ogni forma di violenza domestica e introdurre provvedimenti legali contro chi la compie, incluso l'immediato allontanamento del partner violento dalla casa familiare e dall'ambiente frequentato dalla donna e dai suoi bambini, anche senza l'evidenza della violenza e alla prima denuncia, senza attendere la sentenza della corte".

L'obbligo dello Stato di tutelare i soggetti vittime delle violenze familiari è sancito nelll'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo 13.

La norma è stata sempre interpretata dalla Corte di Strasburgo in senso «negativo», per impedire interferenze statali non giustificate da esigenze di sicurezza nazionale, pubblica sicurezza, ordine e prevenzione dei reati14, e in senso «positivo», per favorire l'intervento dello Stato a protezione della famiglia15.

La Corte di Strasburgo ha statuito che la tutela dei soggetti deboli della cellula familiare è un obbligo che il sistema della Convenzione europea dei diritti umani considera prioritario per gli Stati membri del Consiglio d'Europa per tutelare dai comportamenti aggressivi del marito violento e maltrattante, ottenendo quanto lo meno la cessazione dell'obbligo di vivere in comune.16.

La giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani ha tracciato le responsabilità che incombono su uno Stato rispetto alla violenza domestica e alle sue eventuali conseguenze qualora i maltrattamenti e gli atti vessatori configurino un trattamento inumano e degradante e abbiano come drammatico epilogo l'omicidio del familiare vittima degli stessi.

Invece, la Corte di Strasburgo afferma che "non sembra esservi un consenso generale tra gli Stati membri circa l'obbligo di portare avanti i procedimenti penali contro gli autori di atti di violenza domestica in caso di ritiro della denuncia da parte della vittima. Ciononostante, emerge il riconoscimento del dovere da parte delle autorità di bilanciare i diritti della vittima sanciti dagli artt. 2, 3 o 8 della Convenzione per decidere come procedere".

Sul versante dell'Unione europea, la Corte di Giustizia ha espresso un principio fondamentale in materia di violenza nelle relazioni familiari: "gli stati membri hanno la facoltà di prevedere che, in base alla propria legislazione penale, una sanzione accessoria come l'allontanamento obbligatorio disposto nei confronti di coloro che commettono violenza familiari sia applicabile anche qualora le relative vittime ne contestino l'applicazione" 17.

La Corte di Giustizia è stata quindi chiamata in causa in una materia molto delicata (appunto quella della possibilità per gli Stati di prevedere una legislazione che imponga misure restrittive ai condannati per violenze familiari anche contro la volontà delle stesse) «perché coinvolge il margine di discrezionalità in materia di politica penale concessi agli Stati a seguito dell'adozione dell'atto Ue"18

I giudici di Lussemburgo hanno chiarito innanzitutto che la decisione non contiene alcuna norma volta a fissare l'entità e le forme delle pene previste dagli Stati membri negli ordinamenti interni, funzionali a reprimere determinati reati.. 19

Nessun ostacolo vi è alla possibilità per gli ordinamenti nazionali di disporre una misura di allontanamento obbligatoria anche contro la volontà delle stesse vittime. Nel prevedere il proprio quadro sanzionatorio gli Stati devono essere guidati dal perseguimento della protezione delle vittime, utilizzando il proprio margine di discrezionalità per questo risultato.

E' evidente che che la ratio che lo Stato nei confronti degli autori di violenze familiari non è solo quello di proteggere l'interesse della vittima "bensì parimenti altri interessi più generali della collettività"20

Ma quale è stato il percorso evolutivo del panorama legislativo europeo? Proviamo a riassumerlo in estrema sintesi.

Dal 2001 l'Unione 21si è concentrata sul ruolo delle vittime di reato per garantire anche nella grande disparità di trattamento della legislazione nazionale degli Stati membri, essa auspicava a garantire un nucleo di norme a tutela minima comune. Il Consiglio, adottando la decisione quadro 2001/220/GAI, ha sancito la definizione di vittima quale persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro22.

La decisione quadro era stata emanata sulla base giuridica dell'art. 31 dell'allora T.U.E. il quale prevedeva alla lett. c) che l'azione comune nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale garantisse, nella misura necessaria alla cooperazione, la compatibilità delle regole degli Stati membri. In essa si legge che "ciascuno Stato membro preveda nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo e appropriato delle vittime. In virtù degli obblighi derivanti dal diritto internazionale, ciascuno Stato membro si adopererà affinché alla vittima sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale durante il procedimento giudiziario" 23. Nel 1999 la Commissione aveva presentato alle sue controparti istituzionali (Parlamento europeo, Consiglio e Comitato economico e sociale) una comunicazione intitolata "Vittime di reati nell'Unione europea: riflessioni sul quadro normativo e sulle misure da prendere". Essa fu approvata nel giugno 2000 dal Parlamento europeo proprio nella risoluzione con cui si chiedeva " agli Stati membri di ravvicinare le proprie disposizioni legislative e regolamentari, per raggiungere l'obiettivo di offrire alle vittime di reato, indipendentemente dallo Stato membro di origine o residenza abituale, un elevato livello di protezione, e poi l'adozione della menzionata decisione quadro del Consiglio. Si precisa che la decisione quadro del 2001 è attualmente rimpiazzata dalla direttiva 2012/29/UE adottata il 25 ottobre 2012 a seguito della modifiche apportate dal Trattato di Lisbona alla struttura dell'Unione "24.

Tuttavia la Decisione quadro, non fu uno strumento sufficiente per garantire i diritti processuali delle vittime. Il Consiglio europeo quindi sollecitò nel programma di Stoccolma (2010-2014) la proposta legislativa della Commissione25. Nella 2011 la Commissione Europea ha proposto un pacchetto di misure volte per un livello minimo di diritti, a sostegno e protezione per le vittime indipendentemente dal luogo di provenienza o residenza delle stesse. 26

La finalità è di assicurare alle vittime di violenze domestiche, pur viaggiando o trasferendosi in un altro paese dell'Unione,di continuare ad avvalersi degli ordini di protezione o di restrizione emessi contro gli autori di tali violenze, integrando così l'ordine di protezione europeo adottato il 13 dicembre 2011 in materia penale 27. Nella "tabella di marcia di Budapest" il Consiglio ha dichiarato che si dovrebbero intraprendere azioni a livello di Unione per rafforzare i diritti, il sostegno e la tutela delle vittime di reato. A tal fine e in conformità con la citata risoluzione, è la direttiva 2012/29/UE finalizzata a integrare i principi enunciati nella decisione quadro 2001/220/GAI e a realizzare progressi nella di tutela delle vittime in tutta l'Unione, soprattutto in ambito penale. Infine, per completare il panorama legislativo europeo è da segnalare la direttiva 2004/80/CE relativa all'indennizzo delle vittime di reato a cui la stessa direttiva 2012/29/UE sui diritti della vittima fa riferimento 28.

Per quanto attiene il recepimento della normativa europeo nell'ordinamento nazionale si sottolinea che, come già illustrato, la direttiva dovrà essere trasposta dagli Stati membri nei rispettivi ordinamenti interni entro e non oltre il 16 novembre 2015. Qualora vi fosse un ritardo statale nell'adempimento degli obblighi derivanti dai Trattati, la Commissione potrà aprire una procedura d'infrazione contro i paesi inadempienti29. Essendo le disposizioni particolarmente precise e dettagliate, il giudice nazionale potrà sostituirsi al legislatore, dopo la scadenza del termine per la trasposizione applicando le disposizioni europee ed eventualmente disapplicando quelle nazionali in contrasto.

4. Una giustizia riparativa oltre la mediazione.

La direttiva 2012/29, andando oltre la mediazione prevista nella decisione quadro come possibile alternativa al processo penale, dispone forme di "giustizia riparativa", identificata come quel procedimento che permette alla vittima e all'autore del reato di partecipare attivamente, previo loro consenso libero ed informato, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l'aiuto di un terzo imparziale. La direttiva impone quindi agli Stati di creare, entro il termine di recepimento indicato, le condizioni tali da permettere alle vittime di beneficiare dei servizi di giustizia riparativa ‒ tra cui la mediazione ‒ evitando la vittimizzazione secondaria e ripetuta. Tali forme di giustizia riparativa dovrebbero essere utilizzante nell'interesse della vittima considerando appunto che «i servizi di giustizia riparativa [...] possono essere di grande beneficio per le vittime» (16). L'obiettivo della direttiva, in linea con le politiche dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell'Unione, è infatti la salvaguardia della vittima, cioè delle sue esigenze e interessi nonché della riparazione, laddove possibile, del danno subito e la prevenzione di ulteriori danni. Proprio per questo la direttiva stabilisce quale condizione per il ricorso ai servizi di giustizia ripartiva che l'autore del reato riconosca i "fatti essenziali" (Art. 12 direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio)

Rientra quindi nella discrezionalità statale prevedere le condizioni di accesso a tali servizi tenendo in considerazione la natura e la gravità del reato, così come il livello del trauma subìto dalla vittima e la relazione tra la vittima e l'autore del reato.

L'Unione quindi, ponendosi in una prospettiva protezionistica moderna30, mostra di considerare con cautela l'utilizzo delle pratiche alternative al processo, specialmente nei casi più problematici, a seconda delle particolari condizioni di vulnerabilità della vittima.

5. La posizione della Corte di giustizia dell'Unione Europea.

La Corte di vertice del sistema europeo aveva avuto modo nel 2011 di esprimersi. 31

Considerata la volontà delle vittime di riprendere il rapporto di convivenza, e dunque di sottrarsi alla misura di protezione del divieto di contatto, si chiedeva l'interpretazione della decisione quadro del 2001 in materia di violenza domestica e se il diritto della vittima di essere compresa dovesse essere interpretato come un obbligo positivo per le autorità nazionali competenti.

Nel valutare quindi la posizione della vittima nel procedimento penale era necessario chiarire se gli Stati dovessero riconoscere i diritti e gli interessi della vittima imponendo di tenere conto del suo parere quando le conseguenze penali del procedimento potrebbero comprometterla gravemente.

Nell'art. 8 della decisione quadro si prevedeva che gli Stati membri garantissero un livello adeguato di protezione alle vittime di reati, come era esso da interpretarsi?

La soluzione offerta era che le autorità nazionali possono non prendere in considerazione la libera volontà della vittima qualora essa si opponga all'imposizione o al mantenimento di una misura di allontanamento?

Nel senso che si consentiva l'imposizione generalizzata e tassativa di provvedimenti di allontanamento o del divieto di comunicazione a titolo di pene accessorie in tutte le fattispecie di reati intrafamiliari, in ragione della specifica tipologia di tali reati ?

Oppure si poteva consentire la mediazione anche in questo tipo di procedimenti, procedendo con ponderazione dei vari interessi?

La Corte di giustizia forniva l'interpretazione della decisione quadro del 2001, chiarendo che la tutela penale contro gli atti di violenza domestica che uno Stato membro garantisce esercitando il proprio potere repressivo è volta a proteggere non solo gli interessi della vittima come questa li percepisce, bensì parimenti altri interessi più generali della collettività. L'art. 3 della decisione quadro non osta a che il legislatore nazionale preveda pene obbligatorie di durata minima, in particolare quando debbano essere presi in considerazione altri interessi oltre a quelli propri della vittima. Inoltre, l'art. 8 della decisione quadro non implica alcun obbligo per gli Stati membri di prevedere disposizioni di diritto nazionale penale che consentano alla vittima di influire sulle pene che il giudice nazionale può infliggere all'autore del reato.32

In giugno 2013 l'Unione ha sancito con atto regolamentare, obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile negli Stati membri, il reciproco riconoscimento delle misure di protezione disposte al fine di proteggere una persona ove sussistano gravi motivi per ritenere che la sua vita, la sua integrità fisica o psichica, la sua libertà personale, la sua sicurezza o la sua integrità sessuale siano in pericolo. L'Unione ha adottato il regolamento n. 606/201333 sulla base giuridica dell'art. 81 TFUE che prevede che la cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali sia fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali.

Il regolamento non interferisce con i sistemi nazionali per disporre misure di protezione.34

Le misure di protezione rientranti nell'ambito di applicazione sono volte a assicurare protezione alla persona protetta nel suo luogo di residenza o di lavoro o in un altro luogo da essa frequentato regolarmente, quale la residenza di parenti stretti o la scuola o un altro istituto d'istruzione frequentato da un figlio, indipendentemente dal fatto che il luogo sia descritto dalla misura di protezione.

Ai sensi dell'art. 4 del regolamento la persona protetta che desideri invocare nello Stato membro richiesto una misura di protezione disposta nello Stato membro d'origine presenta all'autorità competente dello Stato membro richiesto copia autentica della misura di protezione, certificato completo di informazioni e traduzione. Conformemente all'art. 8 del regolamento l'autorità emittente dello Stato membro d'origine notifica alla persona che determina il rischio il certificato35.

Riflessioni conclusive.

La vittima da reato oggi non è più « dimenticata » , in questi termini si esprimeva pochi anni orsono l'autore. Pagliaro, nella Tutela della vittima nel sistema penale delle garanzie, in questa Rivista, 2010, 41, segnalando come alla persona offesa la riforma processuale del 1989 e la nuova competenza penale del giudice di pace avessero assegnato veri e propri diritti soggettivi, ben al di là di una tutela meramente obiettiva quale riflesso della protezione degli interessi pubblici ( ibidem, 51 s.).

Tuttavia la voce delle vittime viene spesso assorbita e distorta dalle strutture di comunicazione, che la riducono a veicolare aspirazioni di gruppi antagonisti .36

Scopi di controllo sulla collettività, di legittimazione del potere politico, o anche soltanto di giustificazione dell'esercizio della repressione da parte dell'apparato giudiziario, in funzione del conseguimento di visibilità mediatica.

Oggi sembra compiersi l'identificazione della vittima con lo Stato, mentre in passato era l'inverso e implicava l'espropriazione delle prerogative del secondo per incardinarle integralmente nella prima, attraverso la valorizzazione pubblica della posizione della vittima.37

L'attuale riconoscimento delle pretese delle vittime da un lato è espressione del principio costituzionale di solidarietà che necessita i pubblici poteri a intervenire a protezione dei soggetti deboli, che non sono in grado di salvaguardare da sé i beni meritevoli di tutela .38

Ma questa scelta sembra rispondere anche ad una logica larvatamente paternalistica, sul presupposto della vulnerabilità delle vittime e del conseguente bisogno di particolare protezione che le caratterizza.

Eppure non è così dissacrante ipotizzare un diritto penale senza vittime!.

Il principio della pubblicità dell'intervento penale è legato intimamente e storicamente, a quello della necessaria estromissione della vittima, perché altrimenti si sancirebbe, seppure indirettamente, la legittimità dell'aspirazione vendicativa della vittima.

Inoltre, si ridurrebbero le garanzie per il reo mettendone a rischio i diritti e minacciando il giusto e imparziale processo39.

Non trascurabile è poi la difficile compatibilità tra prerogative della persona offesa e principio di proporzionalità della risposta penale (art. 27 Cost.): infatti la relazione tra crimine e pena può essere minata dall'aspirazione "ristorativa" della persona offesa.40

L'apparato di pubblica coercizione dovrebbe assurgere a diaframma tra autore del reato e persone offese (vittime) 41

Essa è una funzione strettamente connessa con la ingiustificabilità della vendetta, che spiega, anche storicamente, l'esclusione di un ruolo di parte ufficiale della vittima nel procedimento, nella condanna e nell'esecuzione della pena.

" La risposta penale va insomma "de-emozionalizzata" e razionalizzata, scissa dalle aspettative di vendetta della vittima, che possono invece incidere in senso "brutalizzante" nei riguardi della comunità che decidesse di assumerle a fondamento delle proprie scelte e decisioni "42.

 

1 L'art. 342-ter c.c., recita: «1. Con il decreto di cui all'art. 342-bis il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l'allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante, ed in particolare il luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro. 2. Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l'intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l'accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati; il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti di cui al primo comma, rimangano prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all'avente diritto dal datore di lavoro dell'obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante. 3. Con il medesimo decreto il giudice, nei casi di cui ai precedenti commi, stabilisce la durata degli ordini di protezione, che decorre dal giorno dell'avvenuta esecuzione dello stesso. Questa non può essere superiore a un anno e può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario. 4. Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove insorgano difficoltà o contestazioni in ordine all'esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l'attuazione, ivi compreso l'ausilio della forza pubblica e dell'ufficiale sanitario».

2 Figone, Violenza in famiglia e intervento del giudice, in Fam. dir., 2002, 506. Allo stesso modo, per Carrera, Violenza domestica e ordini di protezione contro gli abusi familiari, ivi, 2004, 390, «Si tratta, infatti, di misure che, se da un lato, non presuppongono la definitiva rottura o l'attenuazione del rapporto familiare, come, invece, l'adozione, il divorzio e la separazione anche di fatto, dall'altro, permettono di evitare i lunghi tempi e costi processuali, inevitabilmente legati all'addebito della separazione, al risarcimento del danno per la violazione dei doveri coniugali o genitoriali o alla possibilità di chiedere il divorzio in presenza del giudicato penale su specifiche tipologie delittuose».

3La concessione degli ordini di protezione è regolamentata dall"articolo 736-bis del codice di procedura civile.

4 Cass., sez. I, 15 gennaio 2007, n. 625, in Fam. dir., 2007, 6, 571. Nello stesso senso, Cass., sez. I, 5 gennaio 2005, n. 208, in Foro it., 2006, I, 224.

5 Cass. pen., sez. VI, 23 giugno 2008, n. 25607, in Arch. nuova proc. pen., 2009, 743. Negli stessi termini, Cass. pen., 15 aprile 2010, n. 17788, in Ced Cass. pen.2010, rv. 247084.

6 Eramo, Legge n. 154/2001: nuove misure contro la violenza familiare, in Dir. e fam., 2004, 230.

7 Bernardini, Adozione, sostegno e protezione familiare nella recente evoluzione legislativa, in Riv. not., 2001, 1133. Anche in giurisprudenza si è sostenuto che «le prescrizioni dell'ordine di protezione di cui agli artt. 342-bis e 342-ter c.c. di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, consentono una tempestiva e adeguata tutela in una prospettiva di attenuazione della conflittualità e di recupero delle relazioni familiari»: Trib. Napoli, ord. 1 febbraio 2002, in Fam. dir., 2002, 504.

8 Silvani, Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, Commento alla l. 4 aprile 2001, in Leg. pen., 2001, 677.

9 Carrera, Violenza domestica e ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Fam. dir., 2004, 390.

10 Il presente comma è stato così modificato prima dall'art. 5 L. 01.10.2012, n. 172 con decorrenza dal 23.10.2012, e poi dall'art. 2, comma 1, D.L. 14.08.2013, n. 93 con decorrenza dal 17.08.2013 così come modificato dall'allegato alla legge di conversione L. 15.10.2013, n. 119 con decorrenza dal 16.10.2013. Si riporta di seguito il testo previgente:

"6. Qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 600-septies.1, 600-septies.2, 601, 602, 609 quinquies e 609 octies del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura puo' essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'articolo 280.".

11 Cass. pen., sez. VI, 3 luglio 2008, Pala, in Ced Cass. pen., 2008, rv. 240664.

12 Trib. Roma, sez. riesame, 25 giugno 2002, in questa Rivista, 2002, 1290.

13 Si tratta della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del protocollo addizionale della stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, entrambi ratificati ed eseguiti in Italia dalla l. 4 agosto 1955, n. 848.

14 C. eu. dir. uomo 16 dicembre 2003, Palau-Martinez contro Francia, in Dir.fam., 2004, 658, ha considerato la materia dell'affidamento giudiziale della prole in caso di separazione e divorzio dei coniugi come una ingerenza statale nel diritto al rispetto della vita familiare e non come un semplice «intervento» dei giudici necessario in qualsiasi caso di divorzio. Tale ingerenza, quindi, deve essere prevista dalla legge e costituire una misura che, in una società democratica, è necessaria per tutelare le esigenze previste nel par. 2 dell'art. 8 della Convenzione.

15 C. eu. dir. uomo, sez. II, 30 settembre 2008, n. 68183, Koons c. Italia, in Guida dir., Diritto Comunitario e internazionale, 2008, 70, ricorda che «l'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo mira a proteggere l'individuo dalle ingerenze dei pubblici poteri e implica degli obblighi positivi volti ad assicurare il rispetto effettivo della vita familiare». In dottrina, Cfr., De Stefani, Riflessi penalistici della tutela della famiglia nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Zatti, IV, Diritto penale della famiglia, a cura di Riondato, Milano, 2002, 128.

16 La nota sentenza di C. eu. dir. uomo, caso Airey contro Irlanda, 9 ottobre 1979

17 C. Giust. UE 15 settembre 2011, cause riunite C-433/09 e C-1/10, in Fam. min., 2011, 10, 72. Il testo integrale della sentenza è pubblicato in www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com.

18 Castellaneta, Violenza familiare: colpevole allontanato anche se la vittima non vuole, in Fam. min., 2011, 10, 73.

«Nessun limite, quindi, agli Stati nella scelta delle sanzioni penali da applicare e via libera alle misure di allontanamento obbligatorie disposte anche quando le vittime ne contestano l'applicazione. Tanto più che, sopratutto nei casi di violenze familiari, le vittime potrebbero aver subito una pressione psicologica per prestare il proprio consenso».

In giurisprudenza, in un caso di allontanamento dalla casa familiare del convivente more uxorio, si è ritenuto che non rientri nel contenuto degli ordini di protezione ex art. 342-ter c.c.«la disciplina del diritto di visita dei figli da parte del genitore destinatario, trattandosi di materia riservata alla competenza esclusiva del tribunale dei minorenni»: Trib. Reggio Emilia 10 maggio 2007; Trib. Reggio Emilia 16 settembre 2004, in Corr. merito, 2005, 138. Invece, per Trib. Bologna 30 luglio 2004, in questa Rivista, 2004, 1253, «in presenza di minori e non essendovi, allo stato, elementi ostativi, l'intervento dei Servizi Sociali già operativi sul nucleo familiare va attuato nella presente sede ex art. 342-ter comma 2 c.c., onde consentire il mantenimento del rapporto tra il padre e le figlie, che i genitori non sono in grado di attuare, con incontri settimanali, da attuarsi sotto la vigilanza dei predetti Servizi e secondo le prescrizioni che — in assenza di accordo tra i genitori — i medesimi sono abilitati a fornire ad entrambi». Secondo Trib. Reggio Emilia 12 giugno 2006, in Juris Data, dvd, sub art. 342- ter, infine, «il genitore separato che soffre di disturbo della personalità e nei cui confronti sono state applicate le imposizioni e limitazioni ai sensi dell'art. 342-bis c.c., non può incontrare liberamente il figlio minore ma ciò deve avvenire alla presenza della madre o di persona di fiducia della stessa».

19 Hanno altresì specificato che la decisione quadro non dispone alcuna armonizzazione nel settore, limitandosi a fissare norme minime e come tali derogabili nel senso di una maggiore protezione, a salvaguardia delle vittime di criminalità, favorendo il diritto di accesso alla giustizia. In questa direzione sono previsti alcuni diritti, soprattutto sul versante procedurale per raggiungere un'adeguata tutela della vittime nel corso del procedimento. Alla decisione quadro 2001/220/GAI del 15 marzo 2001 va poi affiancata la direttiva 2004/80/CE relativa all'indennizzo delle vittime di reato

20 Castellaneta, Violenza familiare: colpevole allontanato anche se la vittima non vuole, in Fam. min., 2011, 10, 73.

21 ,per applicare le disposizioni del Trattato di Amsterdam concernenti lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

22 Decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio dell'Unione relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale del 15 marzo 2001, in GUCE L 82/1 del 22 marzo 2001.

23 Art. 2 decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio dell'Unione relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale.

24 Albrecht-Klip (ed.), Crime, criminal law and criminal justice in Europe: a collection in honour of Prof. em. dr. dr. h.c. Cyrille Fijnaut, Leiden, 2013; Allegrezza-Belluta-Gialuz-Luparia, Lo scudo e la spada. Esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia, Giappichelli, 2012; Amalfitano, L'azione dell'Unione europea per la tutela delle vittime di reati, in Dir. Un. Eur., 2011, p. 643; Bernard (sous la direction de), Fondements et objectifs des incriminations et des peines en droit international et européen, Anthemis, Limal, 2013; De Hoyos Sancho (ed.), Garantías y derechos de las víctimas especialmente vulnerables en el marco jurídico de la Unión Europea, Valencia, 2013; Mannozzi, La giustizia senza spada, uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, Giuffrè, 2003

25 Consiglio europeo, Programma di Stoccolma – un'Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini, in GUUE C 115/1, 4 maggio 2010.

26 Il pacchetto proposto si componeva delle seguenti misure: una comunicazione sul panorama esistente, una direttiva sui diritti delle vittime e infine un regolamento sul riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile.

27 Direttiva 2011/99/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, On the European protection order, 13 dicembre 2011, in GUUE L 338/2, 21 dicembre 2011.

28 Direttiva 2004/80/CE del Consiglio relativa all'indennizzo delle vittime di reato, 29 aprile 2004, in GUUE L 261/15, 6 agosto 2004.

29 inviando una lettera di messa in mora secondo il procedimento previsto dagli artt. 258-260 TFUE.

30 Dovrà inoltre considerarsi la capacità intellettuale della vittima affinché non sia pregiudicato l'esito positivo del procedimento

31 a seguito di una questione pregiudiziale posta dal Tribunale di Tarragona, circa l'applicazione della sanzione penale accessoria del divieto di contatto tra reo e vittima prevista dall'art. 48 n. 2 del codice penale spagnolo (C. giust. UE, sentenza 15 settembre 2011, cause riunite C-483/09 e C-1/10, Gueye e Sànchez, in Racc. p. I-8263.).

32 La Corte si pronunciò quindi per la conformità della normativa interna con il diritto dell'Unione riconoscendo la discrezionalità agli Stati membri nell'individuare le tipologie di reato a cui è possibile applicare la mediazione. Tale disposizione consente agli Stati membri di escludere il ricorso alla mediazione per tutti i reati commessi nell'ambito familiare, purché tale scelta sia sorretta da criteri oggettivi.

33 Si precisa che il presente regolamento integra la direttiva 2012/29/UE: una persona potrà essere sia oggetto di una misura di protezione disposta in materia civile sia definita "vittima" ai sensi della direttiva.

34 Infatti, non obbliga gli Stati membri a modificare i loro sistemi nazionali né a introdurre misure di protezione in materia civile. Sulla base del principio di riconoscimento reciproco, le misure di protezione disposte in materia civile nello Stato membro d'origine dovrebbero essere riconosciute nello Stato membro richiesto come misure di protezione in materia civile ai sensi del presente regolamento .

35 Il regolamento e' in vigore dall'11 gennaio 2015, tuttavia entro l'11 luglio 2014, gli Stati membri erano onerati a comunicare alla Commissione le autorità competenti a disporre misure di protezione, a rilasciare certificati e dinanzi alle quali deve essere invocata una misura di protezione disposta in un altro Stato membro.

36 R. Henham, Sentencing and the Legitimacy of the Trial Justice, London, New York, 2012, pp. 217.

37 Di Giovine, Posizione e ruolo della vittima nel diritto penale, in Ruolo e tutela della vittima in diritto penale, a cura di E. Venafro, C. Piemontese, Torino, 2004, pp. 25 s.

38 A. Di Martino, Voce della vittima, sguardo alla vittima (e le lenti del diritto penale), in Ruolo e tutela della vittima in diritto penale, cit., pp. 193 s.

39 R. Coen, The Rise of the Victim — A Path to Punitiveness?, in Irish Criminal Law Journal, n. 16, 2006, pp. 10 ss.

40 ,Tanto quando essa si concreta in una richiesta di punizione esemplare, quanto nel caso in cui si tratti invece di una riparazione effettiva (materiale o morale), in quanto l'adeguatezza della riparazione stessa andrebbe logicamente rapportata alle esigenze psicologico-emotive della vittima e all'entità del pregiudizio concretamente subito (in termini di harm) piuttosto che al fatto commesso e alla colpevolezza del suo autore (o all'offesa, ma al bene giuridico).

41 E. Venafro, Brevi cenni introduttivi sull'evoluzione della tutela della vittima nel nostro sistema penale, in Ruolo e tutela della vittima in diritto penale, cit., pp. 12 s.

42 L. Cornacchia, Vittime e giustizia criminale in Riv. it. dir. e proc. pen., 2013, 04, 1760.

 

 

 




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