-  Occasione Anna Maria  -  21/02/2012

LEGATO CON PATTO DI INALIENABILITA' E PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE DELLE ULTIME VOLONTA' - A. M. OCCASIONE

Il diritto presenta sovente degli snodi, in cui differenti ed opposti principi, entrambi tutelati dall"ordinamento giuridico, confliggono tra loro, spettando dapprima alla norma e successivamente al giudice risolvere, in un senso o nell"altro, la frizione intervenuta.

Esempio di uno di questi snodi è la disposizione dell"art. 647 cod. civ. laddove ammette che il testatore possa legare un bene apponendovi un onere e che se l"onere sia impossibile od illecito si debba considerare come non apposto; se tuttavia l"onere impossibile od illecito abbia costituito "il solo motivo determinante" esso rende nulla l"intera disposizione.

Non infrequente nella prassi è l"apposizione di un onere ad un legato di cosa immobile con patto di inalienabilità.

Può presumersi che il testatore abbia redatto la scheda soffermandosi sul patto di non vendere  perché affezionato al bene al punto di non sopportare che alla sua morte ne sia disposto a chicchessia o perché contrariato dal pensiero che il bene, trasmesso di generazione in generazione, sia alienato a terzi, al di fuori di quella cerchia familiare in cui da lustri veniva conservato.

A tale volontà si contrappone, tuttavia, altro principio, rinvenibile in materia di contratti, nel disposto dell"art. 1379 cod. civ. a norma del quale, il divieto di alienare non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde a un apprezzabile interesse di una delle parti.

Si pone il problema pertanto di come risolvere lo snodo così creatosi.

Il testo originario del codice civile conteneva una norma ad hoc, in quanto l"art. 692, quarto comma, cod. civ. prescriveva che "è parimenti nulla ogni disposizione con la quale il testatore proibisce all"erede di disporre per atto tra vivi o per atto di ultima volontà dei beni ereditari". L"art. 697 cod. civ. sempre nell"originaria formulazione, richiamava tale norma in tema di legato.

Tali disposizioni, peraltro, sono state elise dalla riforma del diritto di famiglia (legge 19.05.1975 n.151) per cui si chiede, in primo luogo, se il divieto del pactum de non alienando sia un principio immanente al nostro ordinamento e se quindi sia tuttora applicabile al testamento od al legato.

Il patto di non vendere è stato ritenuto valido dalla dottrina (per tutti, ROCCA, "Il divieto testamentario di alienazione, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1982, pag. 416) nei limiti di cui al richiamato art. 1379 cod. civ., ovverosia quando sia circoscritto in un certo tempo, ritenendolo invece vietato laddove comporti limitazioni o compressioni "in perpetuo" del diritto di proprietà.

Già si è accennato che l"onere illecito (al pari di quello impossibile) è da considerarsi come non apposto e rende nulla l"intera disposizione se ne è ha costituito il solo motivo determinante (si veda, ad esempio, Tribunale Roma 29/10/1985, Giur. Merito 1986, pag. 276, con nota di Azzarriti).

L"accertamento se il modus illecito apposto abbia costituito il solo motivo determinante ai fini di una pronunzia di nullità della stessa costituisce esito di un"indagine interpretativa, di mero fatto, lasciata al prudente apprezzamento del giudice (Cass. 16/04/1984 n. 2455; sull"interpretazione degli atti di ultima volontà, si veda Cass. 21/02/2007 n. 4022).

In quest"ultimo caso, cioè in ipotesi di ricorrenza di quell" "unico" motivo che determinò il testatore a disporre di un legato, il principio della conservazione delle ultime volontà, cede pertanto a quello del divieto dei patti di inalienabilità assoluti, ritenendosi inammissibili nel nostro ordinamento vincoli obbligatori destinati a durare nel tempo, senza che sia consentito liberarsene.

Del resto, il divieto assoluto di alienazione è stato ritenuto nullo, anche per altra via, ritenendo che esso attui una vera e propria sostituzione fedecommissaria ed  ammettendosi il solo patto di non alienazione temporaneo in applicazione analogica del già ricordato art. 1379 cod. civ. (su quest"ultimo, FUSARO, Patto di non alienazione (divieto di), in Enc. giur. Trecani, I, Roma, 1988).

Ancora una volta pertanto si tratterà di risolvere questioni esegetiche, volte ad accertare la volontà espressa nell"atto, dandosi congiuntamente conto dell"elemento letterale e di quello logico, indagini come noto non sempre semplici in siffatta materia e comunque vincolate dall"ulteriore principio di privilegiare tra più interpretazioni possibili quella più favorevole alla conservazione della disposizione mortis causa (T. Treviso, in Corriere Giuridico, 2000, 1232, con nota di Magagna).




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