-  Mazzon Riccardo  -  26/04/2017

Legittima difesa e stato di necessità: i pericoli nascosti nell'articolo 2045 del codice civile - Riccardo Mazzon

Quanto è pericolosa la facoltà, concessa dall'articolo 2054 del codice civile al Giudicante, di esercitare il proprio giudizio equitativo eventualmente liquidando, in favore del danneggiato, a titolo di indennità, addirittura la stessa somma di danaro che liquidabile a titolo risarcitorio? Ce lo racconta una pronuncia datata 18 novembre 2010................

Interessante fattispecie, concernente l'argomento in questione e sin d"ora utile a chiarire ulteriormente l"argomento in esame, è quella decisa dalla Suprema Corte con pronuncia n. 23275 del 18 novembre 2010 (cfr., amplius, da ultimo, "Le cause di giustificazione nella responsabilità per illecito", Riccardo Mazzon, Giuffré 2017), laddove i congiunti di persona uccisa da colpi di pistola, esplosi da carabiniere nel corso di un"operazione di polizia, citarono in giudizio l'autore del fatto ed il Ministero dell"Interno per il risarcimento del danno; il Tribunale accolse la domanda, individuando la colpa nel comportamento tenuto dal carabiniere, in relazione all"inesistenza dei presupposti per l"applicabilità della scriminante dell"uso legittimo delle armi e, comunque, alla grave imperizia dimostrata nell"uso dell"arma; la sentenza fu confermata dalla Corte d"appello di Venezia, la quale si limitò a correggere la motivazione della prima sentenza, individuando nel comportamento del carabiniere gli estremi dello stato di necessità di cui all"art. 2045 c.c. e liquidando, a titolo di indennità, gli stessi importi che il Tribunale aveva liquidato a titolo risarcitorio.

Propose ricorso per cassazione il Ministero che, attraverso un solo motivo, censurò la sentenza (violazione di legge e vizi della motivazione) per avere liquidato a titolo di indennità la stessa somma che il primo giudice aveva liquidato a titolo risarcitorio; la vedova della vittima depositò comparsa di costituzione, corredata da procura speciale e il difensore della resistente partecipò alla discussione; la Suprema Corte, ritenendo il ricorso infondato, enunciò il principio di diritto in ragione del quale la disposizione di cui all"art. 2045 c.c., laddove riconosce in favore del danneggiato un"indennità, nell"ipotesi in cui chi ha compiuto il fatto dannoso abbia agito in stato di necessità, ha una funzione surrogatoria o integratrice, avendo lo scopo di assicurare al danneggiato un"equa riparazione.

La norma in commento, spiega la pronuncia, riproduce quasi integralmente l'art. 54, 1° co., del codice penale ma, se gli elementi costitutivi sono i medesimi, tuttavia gli effetti sono differenti: nel sistema penale lo stato di necessità esclude la punibilità dell'agente; nel sistema civile, lo stato di necessità risponde ad una logica equitativa, che consente al giudice di ridurre il risarcimento ad un indennizzo, previa valutazione comparativa degli interessi in conflitto; sicché, non è affetta da violazione di legge la sentenza attraverso la quale il giudice d"appello, individuati nel fatto gli estremi dello stato di necessità e corretta in tal senso la motivazione della prima sentenza (che aveva, invece, attribuito al danneggiante la responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c.), esercitando il proprio giudizio equitativo, liquidi in favore del danneggiato, a titolo di indennità, la stessa somma di danaro che il primo giudice aveva liquidato a titolo risarcitorio.





Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film