-  Trisolino Luigi  -  03/11/2015

LESULE – Luigi TRISOLINO

"L"ESULE" – Luigi TRISOLINO

 

Scorrendo un po" di "files" scritti da me in passato, e presenti nel mio attuale "personal computer", ho trovato questo mio sfogo giuscivilistico, evidentemente pensando ai campi economici e sociologici di dominio gnoseologico del profilo civilistico dell"ordinamento normativo.

Nel mio sfogo, letteralmente, scrissi: "Nel mutevole concetto di ordine pubblico, odiernamente, non debbono ricomprendersi solo i principi di buona fede e di affidamento incolpevole dei terzi, "et similia", quali postulati di un corretto vivere civile rispettoso delle libertà lecitamente esplicate; ma deve farsi ricomprendere pure il gioiello civico della nuova dogmatica personologica dei consolidati principi derivati dall"azione dello Stato sociale di diritto. Giovedì 14 Novembre 2013. Luigi Trisolino".

Come in risposta a quel mio "ego" parlante d"allora, mi sovviene ora una "exceptio cogitans"…

E come si fa ad annettere, effettivamente, quei principi post-keynesiani del c.d. "Welfare State" aggiornato secondo il principio di buon andamento in senso economico ma personologicamente orientato, nei panorami spesso distorti di una "policy" che non riesce a governare i meccanismi economicocentrici, ormai pseudo-tipizzati in senso sostanziale, a livello internazionale, da grossi agglomerati capitalistici incidenti sul diritto alla vita – ed alla vita in letizia – delle genti di posti martoriati? Martoriati, anzitutto, dal carattere feticistico "in deminutione" attribuito alla vita, e, in particolare, al rapporto tra stile di vita concreto dei più e concetto di benessere economico concretamente perseguibile in senso appagante soltanto da pochi. Karl Marx studiava il carattere feticistico della merce, la quale, come per stregoneria, assumeva valori e valenze ultronee, estranee alla propria sostanza lavorata; un po" come accade per i cc.dd. negozi giuridici indiretti, aventi uno scopo ulteriore, estraneo alla funzione oggettiva astratta dell"operazione economica tipizzata fattispecialmente dal legislatore.

Il processo di feticizzazione dei fattori e degli enti, a rigore, non è soltanto strutturalizzabile in un risultante alterante additivo, che fa di quel fattore o di quell"ente un "quid pluris" valoristico, e in quanto tale scambiabile sui mercati con connessi e conseguenti plusvalori; il processo "de quo" può anche dirigersi verso risultati strutturalmente carenziali rispetto alla effettiva, vera essenza delle cose, e quindi "in deminutione", come accade per il bene vita. Si parla spesso, in diritto, ma non solo, di beni della vita: quando il bene della vita è il bene-vita medesimo, quindi, ci si aspetterebbe semmai un"operazione plusvalente, non minusvalente, o comunque un"eco volta a non degradare il senso delle singole particelle ontico-esistenziali che colorano l"onticità "maxima" dell"esistente nella vita del mondo, o più in generale nel divenire fenomenico; e quelle particelle… sono le persone.

Eppure siamo in grado di sminuire, di vocare – feticisticamente, appunto, e per mera cattiva "fictio vitae" – il significato e il senso delle cose.

In Amazzonia viene estratto il minerale di ferro che giunge nel quartiere Tamburi di Taranto, ove il minerale viene lavorato per la produzione di acciaio. Vi sono spari alle frontiere ai cc.dd. migranti, sostanzialmente richiedenti rifugio per ragioni umanitarie. Il dilagare della povertà nelle aree asiatiche e africane disagiate provoca sofferenze, dolori, morti. Il catagolo di notizie oggettive, fredde, può continuare per molto.

Dov"è finita la vita umana? Quale peso ha la vita umana oltre le righe di quei riferimenti freddi e oggettivi che raccontano notizie dietro alle quali pulsa la storia delle irripetibili e uniche esistenze (le particelle ontico-esistenziali, per ritornare all"astrazione a me cara perché obiettivamente utile a raggiungere quella dimensione logica pura ove tentiamo di desovrastrutturalizzarci in senso disalienazionistico)?

E allora mi riecheggia, in questo momento, come a strecciare una treccia complessa costituita di complessi fili irrigiditi, una poesia che scrissi a dodici anni, un"età in cui ancora non avevo sposato cause filosofico-rivoluzionarie che avrei fatto mie di lì a poco, partendo da alcune riflessioni sullo stato di alienazione umana mentre studiavo, in vista degli esami di terza media, gli accadimenti del (e le critiche al) Novecento. Spesso, quando non ci si sente sazi perché ci si sente ancora incompleti malgrado la deflagrazione brulicante e perennemente concitata del proprio animo, e magari pure del proprio piccolo vissuto, ognuno a suo modo, occorre andare alla radice di sé, scavando dentro di sé sino a giungere a quando s"era bambini; e, ancora, lasciarsi ammaestrare dalle riflessioni lunghe, e istintive al contempo, di allora.

I pensieri dei "noi" passati, in fondo, si sedimentano non per noia dentro di noi (i "noi attuali sempre "in fieri"); ma si siedono ad aspettare, essi, mai stanchi, malgrado le polveri del tempo; aspettare, aspettare, aspettare d"esser travolti dalla brezza della nostra dialettica interiore, per sintetizzarsi nella nuova tempesta del cogito che li impugna. E nelle resurrezioni delle idee, assunte, dopo una loro apparente parcellizzazione, in un"èra di "reconductio ad unum", nell"unicità della fonte dalla quale son promanate sgorgando pure, plachiamo le membra convinte dell"ora, nel cullare l"oblio per disannebbiarlo e convertirlo al sorriso del lume dell"essere ritrovato.

Ma giungo a guardare in faccia l"eco attuale del mio vecchio ricongiunto pensiero, ed è come guardare negli occhi un frammento della verità della mia vita; dinnanzi agli occhi ho la poesia che scrissi in quel lontano agosto del 2002, sì, proprio quella, un semplicissimo schizzo di parole in versi, nella mia èra del sentimento senza molta dottrina. Una poesiola, intitolata "L"esule", dedicata alla condizione dei disagiati, i quali chissà dove vanno a prendere tutta la loro forza e speranza…

Mi viene in mente adesso quel testicciolo, mentre tantissimi fratelli nel mondo fuggono da scenari di disumanità verso orizzonti incerti, muniti di sola dignità condita di speranza.

L"ESULE

Scruta nelle strette vie,

in quelle isolate,

sporche e sconfinate.

 

Una pena percorrerà il tuo cuore,

i tuoi occhi verseranno glotti.

Correrà la tua vista e poi si fermerà,

e meditando dirai:

 

è un essere come noi;

è stato sfruttato,

e ancor frustrato.

Ed è pur un essere come noi.

E ormai, cosa ne rimane?

 

Non ha più onore,

ma ha un cuore;

in questo c"è la speranza

per un futuro migliore!

 

(Agosto 2002)




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