Amministrazione di sostegno  -  Redazione P&D  -  18/01/2023

Lettera a C., che implorava: "Voglio morire a casa mia, non rinchiudetemi" - Barbara Pavarotti

LETTERA A C.,  CHE IMPLORAVA: “VOGLIO MORIRE A CASA MIA, NON RINCHIUDETEMI”. 

C., povero tesoro invecchiato in otto mesi di 20 anni, scrivo questa lettera, che forse mai leggerai, al vento. Nessuno te la consegnerà mai, perché, da quando sei stato portato via da casa, non so più nulla di te. Quella casa che ti eri comprato con tanta fatica, che conteneva il tuo passato,  ormai smantellato, mentre tu sei ancora in vita e per fortuna che non lo sai.  Per fortuna che non sai che nel tuo letto ora ci dormono altri, gli affittuari.  Sai che anche la targhetta sul citofono è cambiata? Ci sono altri nomi. E il tuo divano, quello che comprammo insieme da Ikea, è fuori, sul pianerottolo, in attesa di essere smaltito. 

“Giurami, mi avevi detto ad aprile,  di non permettere a nessuno di portarmi via ”. 

Ti chiedo scusa, non ce l’ho fatta. Sei stato messo in quelle strutture per anziani che odiavi,  perché tu non ci volevi stare con chi sta peggio di te.  Tu volevi stare con persone più giovani. Invece no, sei vecchio. Devi stare nelle strutture per vecchi. E sei demente. Ma non lo eri così tanto quando ti ci hanno portato, lo so. So che hai chiesto per mesi di andartene, ma  non ne sei più uscito,  mai ti è stato concesso di poter tornare a casa almeno a scegliere da solo le cose che volevi portarti in struttura. 

Non so dove sei, cosa fai, se parli, se cammini,  che farmaci ti fanno prendere. Se questi farmaci ti fanno bene o male. 

Se ti danno la cioccolata che ti piaceva tanto.  Se ti friggono i supplì , come facevo io. Credo di no, ti daranno il cibo per vecchi. E’ per questo che sei dimagrito tanto? 

Non sai quanto ti ho cercato per mesi, quanto ho implorato  che fosse ascoltata la tua volontà.  Nessuno l’ha mai fatto. La tua volontà valeva meno di zero. 

Ora, forse, non hai più una volontà, forse non sai più chi sei, dove stai, perché. Io sapevo che ogni giorno che passavi là dentro sarebbe stato fatale. Sapevo che in pochi mesi ci sarebbe stato il tracollo.  Non ti è stato concesso di vivere “da libero” i tuoi ultimi mesi di lucidità. Non ti è stato più concesso di vedermi o vedere chi voleva venirti a trovare.  Nel tuo ultimo messaggio telefonico mi hai detto: “Sono bloccato su tutto, spero che le cose cambino, chiamami per piacere”. Scusa se non sono mai riuscita a farlo. Già dopo questo messaggio il tuo telefono non era più tuo, te l’hanno tolto subito. 

E io posso solo ricordare tutto quello che abbiamo fatto insieme, quando nessuno ci vietava di farlo. La nostra complicità, perché ci dicevamo tutto, il  nostro amore, i nostri battibecchi,  la tv guardata abbracciati,  le notti in cui ci si addormentava tenendoci per mano.  

Tu ora non ricordi, ma io sì. E questo basta. Ma mi è vietato anche farti una carezza. “Per il tuo bene, dicono, per non turbarti”. Ma quanto può essere pericolosa una carezza  per chi sta nel mondo dell’oblio? 

Ora non guardo più nemmeno il cielo. A chi dovrei mostrare i tramonti? Quelli per cui ci incantavamo nelle sere d’estate?  Mi sono persa, ho smarrito il senso. Come te. 

Passo davanti al negozio dove lo scorso anno in questi giorni siamo andati a scegliere il tuo regalo di compleanno, quel maglioncino lilla che ti piaceva tanto. Ce l’hai ancora? Te l’hanno portato in struttura o stai sempre con la tuta? Anche quella te la regalai io, ma era per la palestra. So che nelle strutture è come in ospedale,  non è che poi si guardi tanto all’abbigliamento.  Dove si deve andare, tanto, chi si deve vedere? Sempre le solite facce. 

Tu hai detto che stai in ospedale, col lettino con le sbarre, ma dicono che definisci la struttura così perché sei demente. Che invece è meravigliosa. Ma come può essere meraviglioso un mondo con le sbarre e non solo ai letti? Come può essere meraviglioso un mondo dove tutti ti comandano? A me sembra che questo mondo sia fatto di detenuti che non hanno commesso alcun reato, dove è sancita “la fine pena mai”. Se non con la morte. Detenuti che hanno l’unica colpa di essere fragili, anziani e quindi non degni di vivere diversamente. 

Sai, ho chiesto di vederti per il tuo compleanno, il 26 gennaio. Non mi hanno nemmeno risposto.  Non mi hanno risposto quando ho chiesto di vederti per Natale, per il mio compleanno.  Non è bello che tu in struttura non possa vedere nessuno, so che è una bugia quando dicono che sei tu a volerlo. 

C., ogni mio pensiero, ogni istante, è rivolto a te.  Ogni lacrima  è per te, mio compagno di viaggio per 13 anni. Non doveva finire così. Spero che non finisca così. Ma ho una brutta sensazione, gli incubi arrivano nella notte insonne. 

 Com’è difficile morire da solo, da sola. Possibile che proprio a noi  tocchi questo destino?  Tu l’hai forse meritato?  Io non so nulla. Eppure so tutto e  vedo con esattezza cosa accadrà. Come l’ho visto da maggio, dal primo giorno della tua scomparsa, quando ho implorato mezzo mondo di ascoltare cosa volevi veramente. E nessuno, pur potendolo e dovendolo fare, ci ha aiutato. Sapevo tutto,  mi rifiutavo solo di crederci perché mi sembrava impossibile che tu dovessi rinunciare, per ordine di altri, a tutto quello a cui tenevi. 

Sei arrivato in sogno.  Io continuavo a chiederti cosa fosse successo e tu non rispondevi. Scuotevi la testa con un sorriso triste. 

Ieri ho comprato tutte le cose che preferivi mangiare e poi le ho regalate al mendicante fuori dal supermercato, perché non so dove portarle, non so dove tu sia. 

 Non ho fatto in tempo a dirti per bene quanto sei stato importante in 13 anni. Quanto hai fatto per me.  Perché hai fatto tanto.  Soprattutto c’eri sempre, di notte e di giorno, in qualunque momento c’eri per me.  E io non sono nemmeno riuscita a salvarti. 

Puoi ascoltarmi?  Sono io, Barbara. Dove sei? Spero che questa lettera non sia un addio. L’addio è stato deciso da altri, da otto mesi. Non da te e da me. E’ crudele. 




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