-  Todeschini Nicola  -  05/09/2011

LIBERTA' DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO E SOCIAL NETWORK: REALTA' BIECHE E RESPONSABILITA' IN DIVENIRE - Nicola TODESCHINI


Accade spesso che quando le argomentazioni giuridiche si accavallano, avendo di mira il loro scopo che è spesso quello di confutarne altre, cancellare scenari possibili ma sgraditi, la loro completa discovery risulti ardua, non cristallino l'incedere dei passi, magari pure insoddisfacente -accade molto spesso- il risultato pratico finale. Se illustrate, a chi non ha esperienza di pandette e dintorni, le decisioni in materia possono apparire addirittura contrarie al buon senso, alla morale comune, e spesso lo sono. Ma l'obiettivo di questo breve intervento non è tecnico, non intendo per nulla richiamare precedenti, imbracciare le armi dell'interprete che, in qualche modo, riesce sempre ad offrire l'impressione di aver capito limitandosi magari a parafrasare il pensiero altrui senza offrire scorci seppur velatamente originali ai quali guardare.

L'occasione per queste poche righe è data dalle nuove forme di manifestazione del pensiero, che sono tali solo occasionalmente, in realtà, perché più spesso si concretizzano in lazzi, ingiurie, diffamazioni più o meno indirette. La novità consiste nello strumento adottato: non più il muro di una casa, l'albero intagliato, il tunnel della ferrovia, il biglietto anonimo, ma il forum, le riviste online, i social network. Si tratta di strumenti per la diffamazione estremamente proficui, dato che la loro diffusione consente ai malfattori visibilità straordinaria; ma la loro pericolosità non si limita al dato, per così dire, quantitativo, ma all'atteggiamento dei naviganti internet che, non di rado, si limitano ad esaminare i primi commenti ad un articolo, per esempio, e non si soffermano certo a leggerli tutti ed a cercare, in altri termini, la verità. L'effetto è quello, pericolosissimo, di un web condito da falsità, minacce, spregiudicati giudizi, diffamazione vera, e da un sistema che non appare in grado di arginarla a causa di un incomprensibile dubbio sulla responsabilità dei proprietari/gestori dello spazio del quale si giovano i diffamatori anonimi. Più chiaramente: non è facile far accertare la responsabilità di chi ospiti, volutamente, commenti anonimi senza reale moderazione sul loro contenuto, perché si ritiene che non sia responsabile della maleducazione altrui (di chi, insomma, materialmente scrive).

Ma perché, voi direte, il gestore di uno spazio (una rivista, un quotidiano, un forum) dovrebbe consentire libero accesso a chiunque, anche a chi, del tutto chiaramente, lo sfrutta in modo anonimo per colpire l'onorabilità altrui? La risposta è semplice: perché gli conviene, perché ha bisogno di dimostrare ai motori di ricerca che lo spazio che gestisce è ambito, che molti lo cercano per scrivere (non importa, ai motori di ricerca, che cosa scrive!), quale sinonimo del suo successo. Insomma, potremmo dire che la qualità, sotto questo profilo, non conta nulla, e che se anche raduni frotte di mascalzoni vinci, purché i mascalzoni siano attivi, intervengano spesso dando “peso” alla visibilità della pagina.

Bene, mi potrebbe essere opposto, ma in fondo la visibilità di quella pagina, a che cosa serve? Semplice: a far soldini vendendo gli spazi pubblicitari, per esempio! Allora è chiaro: la nostra onorabilità può essere impunemente messa in gioco grazie ad interventi, di mascalzoni, ammessi ad operare, sciolti da limiti, da gestori di pagine che vogliono guadagnare pure sulla visibilità che deriva dalla violenza alla dignità altrui.

Guai farlo notare, però, perché subito si levano gli scudi della crociata per la difesa della libertà di parola, se non della responsabilità penale -solo- personale (per carità, non sia mai estesa!); dimenticano, i fanatici del libertinismo di parola, la possibilità, solo per giuristi dal palato fine, e non tutti i magistrati lo sono, della responsabilità civile da atto illecito. Si potrebbe infatti sostenere illecita la messa a disposizione, senza filtri, di uno spazio web la cui visibilità sia cercata, per finalità economiche, anche attraverso l'anarchia dei suoi contenuti; uno spazio che invita il peggior popolo della rete a sfogarsi, insultare, criticare vilmente, o anche solo molestare (come quando, per esempio, viene pubblicato il numero di telefono altrui facendo credere sia quello di un telefono erotico).

Quali rimedi potrebbero operare i gestori degli spazi web? Semplicemente impedire commenti anonimi che consistano in assalti all'onorabilità altrui, o meglio ancora impedire commenti anonimi. E qui, ammettiamolo, si alza il velo dell'ipocrisia: quando mai è ammissibile impedire un commento anonimo se non oltraggioso? Ne va della libertà, costituzionalmente protetta, di manifestare il proprio pensiero!

Ma quando mai tale libertà, che chi scrive ritiene fondamento del vivere civile, roccaforte inespugnabile, dovrebbe essere espressa in modo da comprimere, senza possibilità di emenda, altre libertà, altri diritti di pari rango ? Forse improvvisamente la libertà di esprimere il proprio odio è più importante della libertà di difendere la propria onorabilità?

La dignità della persona è oggi costantemente sottoposta ad insulti provenienti dai più svariati ambiti. Anche il valore dell'integrità fisica è posto a rischio dalla rincorsa, animata dalla compagnie di assicurazione, verso il ribasso; spesso la persona è disegnata, pure dallo smemorato legislatore, ma più spesso dalla giurisprudenza meno attenta, come un fascio di aspettative solo biologiche. Si difende l'integrità psico-fisica ignorando, detto più semplicemente, quella esistenziale. Si immagina risarcibile il dito rotto ma non l'aspettativa esistenziale pregiudicata; si combatte l'anelito di felicità, di libertà, considerandolo non risarcibile, quando leso, per il timore espresso di aprire nuovi scenari risarcibili.

In un orizzonte che nega alla persona di coltivare aspettative di realizzazione personale, tanto che, se pregiudicate, ne ignora il valore negando il risarcimento, le alterazioni morali ed esistenziali che attengono all'onorabilità violata parranno quasi variabili bagatellari!

Sarebbe invece più proficuo insegnare, in particolar modo ai giovani che maggiormente utilizzano la rete, che la mediocrità di chi sente il bisogno dell'anonimato per esprimere la propria opinione è segno tangibile di un declino prossimo. E' preferibile il silenzio alla manifestazione vile -perché anonima- di una critica, perché una delle ragioni educative dell'espressione del proprio pensiero consiste proprio nello sforzo di personalità necessario a maturarla come propria, quindi ad esprimerla assumendosene le responsabilità. Il contributo, quindi, di chi agevola atteggiamenti vili, non ha solo valore giuridico, tanto da consentire l'individuazione di una responsabilità, ma anche disvalore pedagogico, perché attrezza alla mancanza di personalità, invita ad accusare limiti e sottrae alla società occasioni per esempi di coraggio e forza nella difesa delle proprie idee.

Da ultimo, ma proprio per necessità di completezza, prenderò in considerazione un'obiezione, che a volte ho incontrato, secondo la quale l'anonimato sarebbe il veicolo attraverso il quale agevolare l'espressione del pensiero, anche in considerazione del pericolo che si correrebbe nell'affrontare senza una maschera lo scontro dialettico. Niente di meno vero: salve situazioni straordinarie di clandestinità coatta, proprie però di regimi che non ci riguardano direttamente, e che spesso hanno anche il profumo della leggenda, imparare ad esprimere anche ferme opposizioni ad un'idea altrui con modi corretti, che nulla tolgono all'intensità del proprio argomentare, ma evitano di scalfire l'altrui onorabilità e grantisco al contempo assoluta impunità, insegna semplicemente ad essere cittadini civili, che continueranno a coltivare, e non solo a manifestare, le proprie opinioni con coraggio e dignità.




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