-  Lo Duca Antonietta  -  08/04/2013

LINDISPONIBILITA DEL DIRITTO ALLASSEGNO DI MANTENIMENTO - Antonietta LO DUCA

Si potrebbe affermare che, nella separazione, i coniugi siano assolutamente "liberi", nella loro autonomia, di negoziare e di stabilire le rispettive condizioni di vita materiale e personale di marito e di moglie, con la conseguenza che tali accordi possano avere un qualsivoglia contenuto ai fini della loro omologazione.

Ciò, però, lascerebbe senza risposta la domanda: perché l"omologazione è prevista come necessaria secondo il vigente ordinamento giuridico e non sia sufficiente un atto notarile, magari anche registrato?!
In realtà il ruolo dell"autonomia privata è limitato all"individuazione dei diritti disponibili cioè a quei diritti liberamente negoziabili nell"ambito dei rapporti familiari. Sarebbe nullo, infatti un accordo tra coniugi che abbia ad oggetto un diritto indisponibile.

Al fine di stabilire l"ammissibilità di tali patti tra coniugi pare opportuno riferirsi alla clausola di ordine pubblico, l"art. 160 c.c.: "gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio". E" evidente l"assoluta genericità della norma in questione in quanto è priva di indicazioni su quali siano i diritti e i doveri inderogabili.

E" ovvio e banale riconoscere che i ruoli di marito e di moglie e, se vi sono figli, di padre e di madre non possano e non debbano essere oggetto di negoziazione e di disposizione, difatti, ad esempio la condizione di coniuge separato si acquisisce soltanto attraverso il ricorso all"autorità giudiziaria.

La libera negoziabilità è esclusa anche con riferimento ai doveri coniugali di carattere non patrimoniale, quali fedeltà, coabitazione, assistenza morale e collaborazione.

Parimenti inderogabili sono i diritti di libertà e i diritti personalissimi dei componenti la famiglia.

 

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Per ciò che concerne i rapporti patrimoniali tra coniugi è da considerare indisponibile il diritto agli alimenti di cui agli artt. 433 e ss cc, il quale presuppone uno stato di bisogno. La ragione di detta indisponibilità va ricercata nella tutela della personalità di ciascun componente la famiglia in quanto il diritto al sostentamento minimo e basilare è diritto funzionale a garantire detta tutela e pertanto deve essere sottratto al potere di disposizione delle parti.

L"indisponibilità del diritto di mantenimento, invece è ricavabile dall"esame del combinato disposto dell"art. 160 e dell"art. 143 che vietano di patteggiare gli oneri del matrimonio, e dell"art. 5 comma 6 della legge sul divorzio.

Da tali disposizioni emerge che l"assegno di mantenimento non può essere oggetto di rinuncia preventiva da parte dei coniugi, né di un accordo che ne stabilisca la spettanza, la misura e la decorrenza.

I coniugi, spesso, quando maturano la decisione di separarsi o di divorziare, concludono accordi con i quali regolano l"assegno di mantenimento, i diritti economici della prole minorenne e i diritti sulla casa familiare, al fine di evitare contrasti durante il giudizio civile.

E" discussa la validità di tali intese che alle volte hanno ad oggetto diritti previsti dalla legge per effetto del matrimonio e come tali qualificabili inderogabili ex art.160 c.c.: "gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio".

Dal matrimonio deriva l"obbligo reciproco alla fedeltà, all"assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell"interesse della famiglia e alla coabitazione, entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.

Col venir meno del vincolo matrimoniale, la legge non smette di tutelare il coniuge più debole, persino in assenza di figli, difatti, ai sensi dell"art. 156 c.c. il giudice pronunciando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non è addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall"altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento qualora egli non abbia adeguati redditi propri".

Il dovere di entrambi i coniugi di contribuire al reale bisogno della famiglia in relazione alle proprie sostanze e redditi non è derogabile, difatti l"art. 143 cod. civ. stabilisce: "con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri".

E" pacifico, quindi,come da tali articoli del nostro codice civile si evince l"indisponibilità del diritto all"assegno di mantenimento.

Il diritto al mantenimento è una "traduzione, trasformazione, modificazione, specificazione, estrinsecazione, manifestazione di un aspetto o di una componente" del diritto all'assistenza materiale ex art. 143, comma 2, c.c., con la precisazione che quest'ultimo non subisce alcuna sospensione con la separazione personale. Pertanto, il diritto di assistenza materiale o il diritto all"assegno di mantenimento, corrisponde a ciò che è necessario alla conservazione del tenore di vita e della propria posizione economico- sociale, quando a ciò non siano sufficienti i propri redditi e siano invece adeguati i mezzi economici dell"altro coniuge".

Per quanto concerne la possibilità di rinuncia al diritto al mantenimento, espressa o implicita che sia, è da ritenersi o inesistente, cioè indegna di essere configurata quale negozio giuridico, perché non corrisponde ad alcun interesse meritevole di tutela da parte dell"ordinamento, oppure esistente ma nulla, in quanto contrasta con le esigenze di natura pubblicistica su cui riposano i rapporti di famiglia.

La ragione giustificatrice dell"inammissibilità della rinuncia a tale diritto va ravvisata nella tutela del coniuge in difficoltà contro gli inadempimenti dell"obbligato, sia nell"ipotesi in cui si addivenga ad essa per rendere più celere la separazione, sia nel caso di una stima non esatta delle condizioni patrimoniali del soggetto beneficiario o di quello tenuto.

L"indisponibilità del diritto all"assegno di mantenimento è rafforzata anche dall"art. 29 Cost. "il matrimonio è ordinato sull"eguaglianza giuridica e materiale dei coniugi". 

La Costituzione delinea un"idea di famiglia ove vige un regime di pari dignità ed eguaglianza sostanziale tra i coniugi. 

L"eguaglianza di trattamento dei due sessi è un principio fondamentale che trova tutela nell"art. 3 Cost., quindi la parità tra i due coniugi deve essere non solo formale ma soprattutto sostanziale. Ciò è conforme agli obblighi reciproci di assistenza morale e materiale (comma secondo art. 143 cod. civ.). 

E" pacifico che il diritto di famiglia riposa su esigenze di natura pubblicistica. La rilevanza pubblicistica dei rapporti di famiglia implica di riconoscere che i diritti e gli obblighi dei membri della famiglia legittima non sono disponibili.

Dunque la ragione giustificatrice dell"inammissibilità della rinuncia a tale diritto va ravvisata nella tutela del coniuge in difficoltà contro gli inadempimenti dell"obbligato, sia nell"ipotesi in cui si addivenga ad essa per rendere più celere la separazione sia nel caso di una stima non esatta delle condizioni patrimoniali del soggetto beneficiario o di quello tenuto.

Nonostante l"indisponibilità del diritto, è però sempre possibile che le parti pattuiscano la misura dell"assegno secondo le reali possibilità del coniuge obbligato ed i bisogni del beneficiario, come pure che la parte a cui favore l"assegno dovrebbe essere attribuito riconosca la propria autosufficienza: questo accordo tuttavia non costituisce rinuncia all"assegno e vincola i coniugi soltanto fino a quando sussistano le condizioni di autosufficienza, potendo sempre essere revocato e potendo esserne eccepita l"inefficacia, qualora scaturisca da una valutazione non libera ed erronea.

L'assegno di mantenimento è un istituto previsto dal codice civile all'articolo 156 c.c., per comprendere a pieno la ratio dell'istituto dell"assegno di mantenimento occorre innanzitutto rilevare che la separazione ha carattere temporaneo, ben potendo i coniugi decidere di riconciliarsi. È proprio questo carattere di "precarietà" a non fa venir meno quanto disposto dall'articolo 143 c.c. e che permette di considerare ancora esistente un vincolo di solidarietà morale e materiale che lega i coniugi, anche se giudizialmente separati.

Il legislatore, nell'introdurre la disposizione di cui all'articolo 156 c.c., ha posto particolare attenzione a ciò che, fino a pochi decenni fa, avveniva frequentemente nella prassi di molte famiglie italiane. Difatti, un coniuge, segnatamente la moglie, era solita rinunciare alle sue aspirazioni lavorative e di crescita professionale per concentrarsi unicamente all'educazione dei figli e all'andamento "domestico" e al menage familiare.

In quest'ottica il legislatore ha, correttamente, ritenuto di salvaguardare il soggetto che avesse effettuato, d'accordo con il coniuge, una simile scelta e di permettergli, in caso di separazione, di non dover subire unicamente egli stesso gli effetti pregiudizievoli di tale decisione. Questa scelta, in termini economici, può rivelarsi un investimento nocivo in quanto si concentra su un unico bene quale è il matrimonio e al sua durata. E" chiaro che in sede di fallimento del progetto matrimoniale sorgono problemi di carattere patrimoniale al fine di garantire un tenore di vita simile a quello condotto in costanza di matrimonio. Cosa difficile da realizzare nel caso in cui la donna non abbia redditi  propri essendosi dedicata esclusivamente alla cura della famiglia rinunciando alle proprie ambizioni professionali

"E" palese che in sede di crisi coniugale non vi è solo un problema relativo alla divisione dei risparmi ma del fatto che nella società odierna il bene più prezioso sia proprio la capacità di lavoro infatti anche se si dividesse il patrimonio, se si dividesse equamente ogni bene al momento della separazione, la ricchezza più grande che un individuo può accumulare è la capacità di continuare a guadagnare, oltre che la propria pensione futura. Una capacità che non può essere divisibile."

L'assegno, in questa ipotesi, deve servire proprio a compensare la perdita delle chances lavorative a cui la donna è stata "costretta" a rinunciare per aver aderito a quella divisione di ruoli finalizzata alla realizzazione di una "situazione ideale" in un rapporto familiare poi fallito.




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