-  Rossi Rita  -  30/10/2013

LINTERDIZIONE E COME TUTANKHAMON? – Cass. n. 18171/2013 – Rita ROSSI

"Di lui una sola cosa è certa... morì", è ciò che si dice del mitico faraone Tutankhamon.
Ma, potremmo dire altrettanto di quell'anticaglia oppressiva che è l'interdizione?
Guardando agli orientamenti della Cassazione, dobbiamo giocoforza rispondere che, purtroppo no, non è così: per ragioni arcane, che sfuggono all'intelletto umano, pare proprio che l'interdizione continui a prosperare, a dispetto di tutti i giudizi negativi e dei progetti di legge messi a punto per abrogarla.
Insomma, succede un po' come nella politica: più i detrattori parlano male di qualcuno, più aumenta il suo successo.

Agli albori del nuovo sistema di protezione delle persone fragili, la Cassazione uscì con una buona sentenza, buona sì, nonostante subito all'indomani Paolo Cendon osservasse: "Una buona sentenza che fa onore alla nostra Cassazione, poiché esalta così risolutamente i meriti dell'amministrazione di sostegno, sottolineando per converso l'oppressività e la residualità della vecchia coppia di risposte codicistiche. La prossima volta sarà possibile, tuttavia, farne una ancor migliore – cioè ancor più fedele ai principi del nostro ordinamento – ove si seguano linee interpretative diverse per un buon venti per cento" (v. commento a Cass. 12.6.2006, n. 13584, in P.Cendon-R.Rossi "Amministrazione di sostegno . Motivi ispiratori e applicazioni pratiche , collana Sistemi Giuridici, tomo primo, p. 271, Utet, 2009).

La Cassazione, in seguito, intervenne a più riprese proprio sullo spazio residuo da riservare all'istituto che sembrava già incamminato verso l'oblio; ed intervenne ribadendo i principi (e i criteri discretivi) già enunciati nel 2006; qua accentuando e rimarcando, là rintuzzando le rigidità di talune corti di merito, se non addirittura stigmatizzando le decisioni assunte dai giudici di merito (che, per esempio – è il caso della corte d'appello di Torino – avevano confermato la decisione di primo grado di interdizione di un ragazzo Down: v. Cass. n. 22332/2011).
Per parte nostra (noi di Persona e Danno) avevamo dedicato a dette pronunce commenti positivi, di sostanziale condivisione con riserva: "si può fare di più" era nella sostanza il nostro giudizio.

Oggi, di fronte all' ultima nata della Cassazione (n. 18171 del 26.07.2013) constatiamo che quel 20% di migliorabilità della presa di posizione contro l'interdizione era destinato ad accrescersi, anziché tendere allo 0; tanto che non può più dirsi con certezza che la Cassazione abbia in mente di suonare il De profundis della vecchia misura.
Quest'ultima sentenza appare come infastidita dal fatto che il ricorrente abbia contestato la valutazione compiuta dalla Corte d'appello riguardo alla misura di protezione da adottare nella specie; e osserva in modo stizzito che "il giudice del merito gode di un ampio margine di discrezionalità nella determinazione della misura ritenuta idonea (Cass. 12466 del 2007), salvo l'obbligo di fornire adeguata motivazione".
Se, dunque, il giudice del merito ritiene che la misura più adeguata sia l'interdizione, egli applica incensurabilmente l'interdizione; se, viceversa, il giudice reputa più adeguata l'amministrazione di sostegno, applica l'amministrazione di sostegno.
Eppure, proprio la sentenza citata (Cass. 12466 del 2007) spiega più ampiamente che il giudice del merito è tenuto a delibare l'opportunità di fare luogo all'Amministrazione di sostegno, e di rimettere, conseguentemen te, gli atti al giudice tutelare ai fini dell'attivazione. Un principio un po' diverso, dunque.
La discrezionalità del giudice deve muoversi all'interno e nel rispetto dei principi, pena – altrimenti – trasformarsi in un' inaccettabile discrezionalità svincolata e non controllabile.

Assistiamo, così, ad un'inversione di rotta, posto che l'interdizione, viene qui di fatto considerata non residuale ma misura di protezione semplicemente alternativa all'ads, con piena libertà di scelta per il giudice, fermo soltanto l'obbligo di motivazione; ma sappiamo bene come la motivazione possa venire cucita senza sforzo eccessivo attorno alla decisione, come è avvenuto nel caso deciso: è sufficiente una rapida operazione di copia –incolla, con la quale il giudice incamera e fa propri i criteri additati nel 2006 (per intenderci, quello dell'attività complessa da compiere nell'interesse della persona fragile), afferma quindi apoditticamente che detti elementi ricorrono nella specie (senza passare al vaglio le attività che specificamente si tratta di compiere nel caso cocnreto) e il gioco è fatto: e la vita eterna dell'interdizione assicurata.

Da notare, infine, come nonostante la scelta tattica (pilatesca?) di dire "Ci dispiace, non possiamo farci niente; il giudice di merito ha applicato le regole" , la sentenza scivola su una buccia di banana ben matura là dove osserva che la Corte di merito ha rispettato tutti i parametri additati dalla giurisprudenza; e ciò per avere "valutato che la flessibilità dell'amministrazione di sostegno e la predisposizione di limitazioni parziali ai poteri di gestione patrimoniale del ricorrente fossero del tutto inadeguati a fronteggiare una condizione economico-patrimoniale integralmente non affrontabile, per la sua oggettiva complessità, nelle riscontrate condizioni fisiopsichiche del ricorrente": un passaggio involuto per rispolverare ciò che si andava affermando quando ancora la nuova misura di protezione non era conosciuta adeguatamente, ovvero che l'amministrazione di sostegno è misura più blanda, e vale per le situazioni meno gravi; l'interdizione è invece la misura forte, maschia cui non può sostituirsi l'amministrazione di sostegno e che quando ci vuole ci vuole. Ma, si sa, l' autunno è il tempo della nostalgia. Speriamo che passi. 




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