-  Anceschi Alessio  -  11/03/2014

L'OBBLIGO DI CONVIVENZA TRA GENITORI E FIGLI - Alessio ANCESCHI

L"art. 318 c.c. prevede espressamente un obbligo di convivenza tra genitori e figli, funzionale all'esercizio della responsabilità genitoriale.

 

"Il figlio, fino alla maggiore età od all'emancipazione, non può abbandonare la casa dei genitori o del genitore che esercita su di lui la podestà, né la dimora da essi assegnatagli. Qualora se ne allontani senza permesso, i genitori possono richiamarlo ricorrendo, se necessario, al Giudice tutelare".

(art. 318 c.c.)

 

A seguito della riforma del 2013 è stato precisato che l'obbligo di convivenza perdura fino al raggiungimento della maggiore età o dell'emancipazione, benché tale effetto potesse implicitamente desumersi anche nell'ordinamento previgente, in considerazione del contesto normativo nel quale la norma risultava inserita. Una disposizione analoga è prevista anche dall"art. 358 c.c. in rapporto al minore sottoposto a tutela.

Tale norma esprime chiaramente un obbligo di convivenza tra genitori e figli, ancorché lo stesso sia impostato come un obbligo del figlio verso i genitori più che come un dovere reciproco.

In realtà, tale obbligo è tendenzialmente reciproco poiché nei confronti dei genitori può ricavarsi implicitamente sia dalla sussistenza di specifici oneri genitoriali verso la prole (artt. 147 e 315 bis c.c.) che dalle norme sull"esercizio della responsabilità genitoriale (art. 316 c.c.).

L"ordinamento giuridico attribuisce infatti ai genitori specifici obblighi di cura, vigilanza e custodia dei figli che si riflettono sia sotto il profilo civile (artt. 147, 316, 317, 2048 c.c.; artt. 1, 2, 8, l. 184/1983) che sotto quello penale (artt. 570, 591 c.p.).

Oltre che ricavarsi ex adverso dall"art. 318 c.c. ed indirettamente dalle norme che impongono ai genitori gli obblighi di cura, vigilanza e custodia della prole, l"onere morale e giuridico del genitore di tenere presso di sé il figlio si ricava direttamente anche quale componente dell"obbligo di mantenimento.

In questo senso, la convivenza tra genitori e figli diviene il principale mezzo di espressione dei doveri genitoriali fondamentali ed in generale dell'esercizio della responsabilità genitoriale.

Nei confronti del genitore, l'obbligo di tenere con sè la prole si traduce in un vero e proprio diritto del figlio minore a preservare il proprio habitat domestico e familiare (artt. 9 e 20, conv. New York 20.11.1989 rat. l. 27.5.1991 n. 176) come si ricava anche dalla disciplina sull'assegnazione della casa familiare (art. 337 sexies c.c.).

Per questa ragione può ragionevolmente affermarsi che l'obbligo di convivenza nei confronti del figlio minore integri un vero e proprio onere genitoriale, ancorchè funzionale al rispetto degli altri doveri genitoriali.

Sotto questo profilo, è appena il caso di evidenziare che l'abitazione familiare viene così definita proprio in rapporto alla residenza della prole, oltre che dei loro genitori conviventi (artt. 144 e 337 sexies c.c.).

L'esercizio degli obblighi genitoriali verso i figli fanno sorgere, per loro natura, l"obbligo di tenere con sé la prole e quindi, nella sostanza, l'obbligo di coabitazione tra genitori e figli. Ciò nonostante, non è escluso che, in taluni casi particolari, tali obblighi possano essere ugualmente soddisfatti anche affidando il minore a soggetti terzi, purchè ciò avvenga per periodi determinati e per specifiche finalità educative o sanitarie (art. 9 co. 4° e 5°, l. 184/1983).

Tra il rapporto di convivenza ed il concreto esercizio della responsabilità genitoriale vi è quindi una stretta correlazione posto che il concreto adempimento dei doveri genitoriali presuppone la convivenza tra genitori e figli.

Le problematiche giuridiche connesse ai rapporti di convivenza attengono in particolare:

a) all'abbandono della casa familiare da parte del figlio minorenne (art. 318 c.c.);

b) all'inserimento del figlio nato fuori dal matrimonio nella famiglia di uno dei genitori (art. 252 c.c.);

c) all'affidamento della prole nelle ipotesi di crisi familiare (art. 337 bis c.c. e ss.);

d) alla tutela della prole dagli abusi familiari (artt. 330, 333 e 342 bis c.c. e ss.);

e) alle necessità di tutela dei minori (art. 2, l. 184/1983).

 

Il concetto giuridico di "affidamento", definisce la collocazione della prole minorenne o comunque incapace presso i genitori, nonchè alla regolamentazione di tutti gli aspetti connessi. Tale istituto giuridico assume rilievo nelle ipotesi di crisi familiare ovvero in tutti i casi in cui i genitori non convivano o cessino di convivere tra loro (artt. 337 ter e 337 quater c.c.).

Si ricorre inoltre al termine "affidamento" anche quando il minore sia affidato a soggetti diversi dai genitori, sia in base ad una scelta volontaria di questi ultimi (art. 9 co. 4° e 5°, l. 184/1983), sia in forza di un provvedimento giudiziale (art. 2, l. 184/1983).

Alla luce dell'art. 358 c.c. tale rapporto ricorre anche nei confronti del tutore ed in generale nei confronti di tutti coloro a cui la responsabilità genitoriale venga attribuita in forma vicaria, attraverso un provvedimento giudiziale (artt. 2, 48, l. 184/1983). In questi casi, tuttavia, i poteri connessi alla responsabilità genitoriale come l'amministrazione e la rappresentanza possono essere attribuiti a soggetti diversi da coloro ai quali il minore o l'incapace sia effettivamente affidato.

Essendo strettamente correlata all'obbligo di convivenza con i genitori (art. 318 c.c.), la disciplina sull'affidamento della prole, cessa i suoi effetti con il raggiungimento della maggiore età o con l'emancipazione. Essa può eventualmente perdurare anche oltre il raggiungimento della maggiore età con riferimento ai figli incapaci, ancorché non più nell'ambito della responsabilità genitoriale quanto più della tutela dei soggetti incapaci.

La disciplina sull'affidamento dei figli minori nella crisi familiare si applica estensivamente anche ai figli portatori di handicap grave  ai sensi dell'art. 3 co. 3°, l. 104/1992 (art. 337 septies c.c.).

Il raggiungimento della maggiore età o dell"emancipazione da parte dei figli non fa venire meno l"obbligo di mantenimento nei loro confronti, il quale può normalmente manifestarsi anche attraverso la perpetuazione dello stato di coabitazione dei figli con i genitori.

A differenza della disciplina sull'affidamento, l"obbligo di mantenimento nei confronti dei figli perdura infatti anche dopo la maggiore età, sia nei confronti dei figli incapaci, sia nei confronti dei figli che non abbiano raggiunto una propria autosufficienza economica, senza loro colpa.

Sia nei confronti dei figli minori che di quelli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti senza loro colpa, l'obbligo di coabitazione si traduce in una vera e propria componente dell'obbligo di mantenimento in analogia alla previsione dell'art. 443 c.c. in materia di obbligazioni alimentari, in virtù della quale la contribuzione economica può avvenire sia in forma diretta che indiretta. Sotto questo profilo è più che evidente, infatti, che l'accoglimento presso la propria abitazione costituisca una forma di mantenimento diretta del beneficiario.

Se nei confronti del figlio minorenne tale forma di contribuzione è accompagnata da veri e propri obblighi giuridici, nei confronti del maggiorenne non economicamente autosufficiente esso assume esclusivamente valenza patrimoniale in virtù della persistenza dell'obbligo di mantenimento.

Nei confronti dei figli maggiorenni già economicamente autosufficienti non sussiste perciò alcun obbligo giuridico di convivenza. Essi assumono piuttosto l'obbligo di contribuire economicamente alla propria famiglia fintanto che convivano con essa, come espressamente previsto dall'art. 315 bis co. 4° c.c.

Alla luce di tale considerazione, il genitore potrebbe quindi legittimamente allontanare dalla propria residenza familiare il figlio maggiorenne, già economicamente autosufficiente, tanto più se egli non contribuisca alla vita familiare, anche in assenza di violazioni od abusi tali da integrare l'adozione di un provvedimento di allontanamento ai sensi dell'art. 342 bis c.c., purché, ovviamente, il figlio non abbia un autonomo titolo, reale o contrattuale, di permanenza nell'abitazione familiare e non sia altrimenti incapace.

Lo stesso effetto potrebbe eventualmente ravvisarsi nei confronti del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente senza sua colpa, fermo restando l'obbligo di prestargli il mantenimento, essendo rimessa la scelta sulle modalità attuative di tale onere contributivo unicamente al genitore.

Secondo l'orientamento prevalente, tuttavia, gli obblighi di solidarietà familiare imporrebbero ai genitori di mantenere il rapporto di convivenza anche nei confronti dei figli maggiorenni fintanto che perduri lo stato di dipendenza economica o si verifichino altre cause che giustifichino l'interruzione del vincolo. Propenderebbero in questo senso le norme poste a tutela dei familiari conviventi sia in ordine ai titoli di godimento di natura reale (artt. 1022, 1023 c.c.) che contrattuale (art. 6, l. 392/1978). Il riferimento a queste ultime disposizioni non appare convincente il quanto ogni diritto di godimento dell'abitazione, sia esso di natura reale o contrattuale, è attribuito unicamente al beneficiario e pur essendo esteso ai suoi familiari, non attribuisce loro alcun diritto meritevole di una tutela autonoma rispetto a quella del titolare.

Risolutiva appare piuttosto la disciplina sull'assegnazione della casa familiare nella crisi familiare (art. 337 sexies c.c.) che si applica anche nei confronti dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti senza loro colpa (Cass. civ. sez. I, 30.3.2012 n. 5174; Cass. civ. sez. I, 20.1.2006 n. 1198; Cass. civ. sez. I, 22.4.2002 n. 5857).

In questo senso, l'allontanamento dalla residenza familiare sarebbe consentito esclusivamente nei confronti del figlio maggiorenne economicamente autosufficiente od in caso di violazioni od abusi tali da dare luogo ad un provvedimento di allontanamento ex art. 342 bis c.c.

 

IL PRESENTE CONTRIBUTO E' TRATTO DAL VOLUME "RAPPORTI TRA GENITORI E FIGLI" (II ed., Giuffrè editore, pubbl. marzo 2013)




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