-  Rossi Stefano  -  08/09/2012

L'OBIEZIONE DI COSCIENZA E IL SABOTAGGIO DELLA 194 - Stefano ROSSI

Il tema dell"obiezione di coscienza rappresenta un tema di «frontiera», perché si colloca al confine estremo fra diritto positivo e riflessione teorica sui fondamenti e i limiti del diritto, del diritto dello Stato democratico in ispecie, fra mondo delle norme e mondo della storia degli uomini e dei popoli; interpella ogni ordinamento giuridico che pretenda effettività e insieme voglia mantenersi fedele a certe premesse ideali; coinvolge a fondo i rapporti fra norma (e autorità) e soggetti che ne sono i destinatari, nonché i rapporti fra ordinamenti diversi (in ispecie fra ordinamenti «civili» e religiosi), dove segna l"area dei possibili «conflitti di fedeltà»; tocca i fondamenti e i parametri essenziali del costituzionalismo, dallo «statuto» della persona all"eguaglianza e alla «giustizia» come canoni supremi del legiferare e del giudicare (V. Onida, Prefazione, in Paris D., L"obiezione di coscienza. Studio sull"ammissibilità di un"eccezione dal servizio militare alla bioetica, Passigli, Firenze, 2011).

In tal senso accettando e dando rilievo nello spazio pubblico alla coscienza individuale lo Stato e la comunità che esso rappresenta dimostrano il loro carattere intrinsecamente democratico, il che presuppone non solo l"accettazione del dissenso, ma anche la sua tutela in termini di protezione delle minoranze (nella forma della funzione anti-maggioritaria dei diritti individuali)

Così si è sostenuto che:

 Il rispetto della coscienza da parte dello Stato, il riconoscimento della sua inviolabilità e la rinuncia, in caso di conflitto, ad "offenderla", esigendo un sacrificium conscientiae, non costituiscono quindi una dissoluzione dello Stato e del suo potere decisionale vincolante, ma piuttosto il presupposto e la legittimazione dello Stato stesso. Se lo Stato giunge qui al limite estremo della propria stessa consistenza, apparentemente indebolendosi, guadagna, in realtà, dall"altra parte, la propria piena realtà e superiorità (E.W. Bӧckenfӧrde, Il diritto fondamentale della libertà di coscienza, in Id., Stato, costituzione, democrazia. Studi di teoria della costituzione e di diritto costituzionale, Milano, 2006, 297).

 Sicchè i limiti di ammissione dell"obiezione sono anche i limiti in cui la «contraddizione» insita nell"obiezione di coscienza può essere tollerata: più in là, resta la necessità che la società si regga sull"accettazione comune di alcuni valori.

 Il caso di Jesi, descritto nella cronaca di questi giorni, è indicativo invece di una patologia del sistema, che trasforma un diritto in un privilegio rivolto ad imporsi sulla vita e sull"esistenza di altri.

In particolare è emerso che all"ospedale di Jesi, in provincia di Ancona, su dieci ginecologi che vi lavorano, dieci si sono dichiarati obiettori di coscienza. Secondo il sindacato, che ha denunciato il caso, l"obiezione di coscienza dell"intero staff avrebbe causato la sospensione del servizio di interruzione volontaria di gravidanza. Sulla vicenda è intervenuto anche l"assessore regionale alla Sanità per «garantire che nei prossimi giorni possa operare un medico non obiettore proveniente dall'ospedale di Fabriano», a cui verrà affidato il delicato incarico a mezzo della sottoscrizione di un"apposita convenzione.

 Si deve rammentare che l"obiezione di coscienza a favore del personale sanitario in relazione alla procedura di interruzione della gravidanza è prevista dall"art. 9 della legge n. 194/1978, che, con una formula di scarsa chiarezza, consente al personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie di non prendere parte «alle procedure di cui agli artt. 5 e 7 ed agli interventi per l"interruzione della gravidanza» (1° co.), precisando che l"esonero riguarda solamente il «compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l"interruzione della gravidanza» e non l"«assistenza antecedente e conseguente all"intervento» (3° co.).

 Si riconosce quindi l"esercizio di tale diritto a due categorie di soggetti che si trovano rispetto all"atto abortivo in posizioni significativamente differenti: da un lato, i medici chiamati a eseguire l"intervento abortivo e quelli cui è richiesto di certificare la sussistenza dei presupposti che rendono lecita l"interruzione volontaria della gravidanza.

I primi sono i diretti esecutori dell"atto che per la loro coscienza risulta intollerabile: essi infatti sono chiamato a sopprimere, con le loro mani, quella che a tutti gli effetti considerano una persona umana.

Diversamente, i soggetti coinvolti nelle procedure di cui all"art. 5 (rilascio del documento attestante lo stato di gravidanza e l"avvenuta richiesta o del certificato attestante l"urgenza dell"intervento) e al l"art. 7 (certificazione dei processi patologici che autorizzano l"interruzione della gravidanza dopo i primi novanta giorni) partecipano a un procedimento finalizzato ad accertare la possibilità della scelta della gestante alla stregua dei parametri individuati dalla legge: in questi casi si può ipotizzare che il dissidio interiore fra legge e coscienza, pur configurabile, sia comunque meno lacerante rispetto al caso dell"esecuzione dell"intervento abortivo.

In queste ipotesi, infatti, i sanitari non sono diretti esecutori dell"atto abortivo, ma nemmeno, nell"ambito dell"attività certificativa, sono costretti ad esprimere una volontà favorevole all"aborto, essendo questa responsabilità esclusivamente della gestante: ciò che la legge richiede al medico, in tali ultime ipotesi, è di certificare, alla luce di parametri normativamente prescritti, l"esistenza dei presupposti per autorizzare l"intervento abortivo.

 Si noti, peraltro, come, nel momento in cui queste attività vengono richieste al medico, la soppressione del nascituro è un evento ancora futuro e incerto, che può dipendere proprio dall"esito degli accertamenti medici. Questi possono avere un carattere strettamente tecnico, come è per lo più nei casi previsti dall"art. 7, ma possono anche richiedere un intervento di carattere maggiormente personale, come è il caso del colloquio previsto dall"art. 5, cui la legge stessa affida il compito di valutare le circostanze che determinano la richiesta di interrompere la gravidanza e informare la gestante dei diritti che le spettano e degli interventi di carattere sociale cui può fare ricorso.

 Nelle predette ipotesi esiste quindi per i medici contrari all"aborto una possibilità di prestare la propria opera secondo una finalità – quella di evitare l"interruzione volontaria della gravidanza – che la legge condivide con la loro coscienza; in una misura che però non può tradursi in un sabotaggio o elusione dei meccanismi legislativi, i quali già delineano un bilanciamento tra il diritto all"autodeterminazione della donna e l"interesse alla vita del nascituro.

 Si deve sottolineare come il fenomeno dell'obiezione, fin dall"inizio assai imponente, negli ultimi anni sia in generale aumento per tutte le professionalità del campo sanitario, determinando il rischio di un vero e proprio «sabotaggio» della legge sull'i.v.g., che mette in dubbio – soprattutto in determinate zone del Paese – l"erogazione di un servizio che deve essere assicurato in ogni caso (art. 9, 4° co., legge n. 194/1978).

Rischio peraltro concreto come dimostra la relazione del Ministro della salute presentata al Parlamento il 4 agosto 2011 secondo la quale nel 2009, a livello nazionale, il 70,7 per cento dei ginecologi è obiettore e che il trend è passato dal 58,7 per cento del 2005 al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008. Il dato nazionale degli anestesisti obiettori è anch"esso in costante aumento, passando dal 45,7 per cento del 2005 al 51,7 per cento del 2009. Il dato nazionale del personale non medico obiettore è passato dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,4 per cento nel 2009. Al Sud, la quasi totalità dei ginecologi è obiettore (85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 82,8 per cento in Molise e 81,7 per cento in Sicilia), mentre gli anestesisti si attestano intorno ad una media superiore al 76 per cento (77 per cento in Molise e Campania e 75,6 per cento in Sicilia). Sicchè in alcune realtà periferiche e del Mezzogiorno esistono aziende ospedaliere prive dei reparti di interruzione di gravidanza, dal momento che la quasi totalità di ginecologi, anestesisti, ostetrici ed infermieri solleva obiezione di coscienza, così creando, di fatto, le condizioni per forme di emigrazione sanitaria, ovvero il ricorso a cliniche private convenzionate e autorizzate o, peggio, verso pratiche clandestine.

 La coscienza, com"è stato detto incisivamente, ha dunque «una sua geografia regionale» (A. Sofri, Contro Giuliano. Noi uomini, le donne e l'aborto, Sellerio, Palermo, 2008) e aumenta con il trascorrere del tempo, a causa del «disinteresse rispetto alla problematica da parte delle nuove generazioni di ginecologi che […] non sono maturate nel momento in cui il problema era più cogente e, di conseguenza, non vogliono assumersi la responsabilità di agire in termini socialmente importanti, in alcuni casi forse proprio per bieca comodità personale» (C. M. Stigliano, membro del Consiglio direttivo della Società italiana di ginecologia e ostetricia, nell"audizione davanti alla Commissione affari sociali della Camera nell"ambito della già citata indagine conoscitiva sull"applicazione della legge n. 194, seduta del 22 dicembre 2005, 7).

In conclusione, vi è dunque l"esigenza di assicurare che tutte le strutture coinvolte, consultori compresi, applichino correttamente la legge, rispettando rigorosamente i tempi da essa previsti. Le disfunzioni organizzative provocate dal grande numero di obiezioni di coscienza, infatti, fanno sì che le gravidanze vengano interrotte con un ritardo sempre maggiore, mettendo con ciò in pericolo la salute delle donne.

 Ma a fronte della proposta provocatoria di abolire o limitare l"esercizio del diritto all"obiezione di coscienza, si sono suggeriti anche altri possibili rimedi alla difficile situazione attuale: indennità di tipo economico ai medici non obiettori, per il carico di lavoro aggiuntivo che grava su di essi; garanzia di una loro presenza minima nelle strutture sanitarie in cui si praticano le interruzioni volontarie della gravidanza; possibilità per i medici di eseguirle anche in strutture private autorizzate dalla Regione, come accade per qualsiasi altro intervento sanitario; possibilità per le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere di bandire concorsi per anestesisti e ginecologi con la clausola di non sollevare obiezione di coscienza ai sensi dell"art. 9 della legge n. 194 (D. Paris, Riflessioni di diritto costituzionale sull"obiezione di coscienza all"interruzione volontaria della gravidanza a 30 anni dalla legge n. 194 del 1978, in Quad. reg., 3, 2008, 1091 ss.; S. Rodotà, Problemi dell"obiezione di coscienza, in Quad. dir. pol. eccl., 1993/1, 64).

Ora tocca alla politica, e forse anche alla deontologia dei medici, dare una risposta a questo problema.

 

Per approfondimenti

 B. Pezzini, Inizio e interruzione della gravidanza, in Canestrari S., Ferrando G., Mazzoni C.M., Rodotà S., Zatti P. (a cura di), Il governo del corpo, II, Trattato di Biodiritto, diretto da Rodotà S., Zatti P., Giuffrè, Milano, 2011, 1660 ss.

 G. Brunelli, L"interruzione volontaria della gravidanza: come si ostacola l"applicazione di una legge (a contenuto costituzionalmente vincolato), in Brunelli G., Pugiotto A., Veronesi P. (a cura di), Scritti in onore di Lorenza Carlassare, III, Jovene, Napoli, 2009, 850 ss.




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