-  Redazione P&D  -  11/03/2015

LOGICA DELLEFFICACIA DELLA LEGGE PENALE NELLO SPAZIO – Luigi TRISOLINO

-Le efficacia della legge penale italiana nello spazio

-I principi di universalità, territorialità, universalità temperata; il principio della difesa

-Dominio giuridico e fenomeni del mondo della vita; differenza col diritto privato internazionale

 

I principi che ispirano l"ordinamento penale, se ricavati e quindi letti in modo sistemico, prospettano il rilievo del fatto, che si pone quale potenzialmente rilevante nel dominio giuridico, non solo nella dimensione temporale, ma anche nell"altra dimensione fisico-fenomenica della realtà esistente e del divenire, ossia lo spazio.

Gli articoli dal 7 al 10 del codice penale italiano, in particolar modo ed espressamente, positivizzano questo rilievo ontologico della obiettiva fattualità materiale dell"azione umana, potenzialmente sussumibile nelle maglie logiche delle fattispecie astratte dell""ordo ordinatus", sul versante concernente la "extrema ratio" legale.

L"art. 7 c.p., già rubricato con la formula sintetica di "reati commessi all"estero", invero, estende la forza della legge penale nazionale (l"art. 25, comma 2, Cost. discorre cogentemente di forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso) allo spazio giuridicamente assoggettato alla sovranità statuale di un Paese estero. Viene punito, infatti, secondo il regime legalpenalistico italiano, il cittadino o lo straniero che pone in essere determinate condotte, sussumibili nell"entroterra logico di una serie di fattispecie astratte penalmente sanzionate, in territorio estero.

Per un corretto e ferreo intendimento del riferimento legislativo al territorio definito quale estero, tuttavia, occorre pure riferirsi all"interpretazione del concetto in questione che "a contrario" è posto dal cpv. dell"art. 4, in combinato disposto col cpv. dell"art. 6.

L"art. 4, comma secondo, infatti, esordisce con una formula che richiama la estensione della sfera di incidenza legale del dato positivo di tipo penale, poiché nella disposizione codicistica anzidetta, appunto, si identifica, agli effetti della legge penale, il territorio dello Stato con il territorio della Repubblica. Nell"art. 4, poi, non manca il riferimento, ormai vetusto e non più operante, al territorio delle colonie; la prima parte del cpv. dell"articolo qui in esame conclude genericamente, ed in modo aperto, con il riferimento ad ogni altro luogo soggetto alla sovranità statuale. In quest"ultima formula può, invero, cogliersi un rinvio alla apertura (nonché dipendenza) del concetto di territorio italiano alle eventuali nuove acquisizioni politico-internazionali che il Paese potrebbe compiere, in armonia coi principi di solidarietà e giustizia globale riconosciuti e garantiti in seno all"apparato assiologico fondamentale della Carta costituzionale nazionale.

Anche la seconda parte del cpv. dell"art. 4 c.p., comunque, risponde all"ottica del potenziale assetto geo-politico "semper in fieri" cui l"ordinamento sottopone l"inquadramento del concetto di territorio italiano. Le navi e gli aeromobili italiani, infatti, sono considerati, in aderenza alla c.d. legge della bandiera, come territorio di Stato, al di là del luogo ove fisicamente si trovino, salvo che rientrino nella sfera di dominio di una legge territoriale estera, secondo il diritto internazionale. Il riferimento all"ordinamento internazionale, e quindi, senza dubbio, ai vincoli che in esso sono vocati a trovar fonte giuridica, costituisce un vero e proprio rinvio formale; tuttavia il siffatto rinvio non aggira, di per sé, il presupposto legittimante l"ingresso del portato normativo delle fonti internazionali statutarie, ossia le leggi formali nazionali di recepimento ed esecuzione, cristallizzanti le procedure legalmente interessate ai fini della rilevanza "de qua". Ma occorre anche porre attenzione alla evoluzione del sistema costituzionale italiano, a seguito dell"intervento riformatore avutosi con L. cost. n. 3/2001, a fronte del quale il primo comma dell"art. 117 Cost. prevede la sottoposizione della potestà legislativa statuale e regionale al rispetto anche degli obblighi internazionali.

A rigor dell"attuale configurazione degli equilibri tra le fonti che costituiscono il formante del sistema di diritto penale internazionale, al di là degli emisferi logico-ermeneutici del "de iure condendo", si può osservare come l"inquadramento dell"efficacia della legge penale dei singoli Stati della comunità internazionale sia oggetto del dato giuspoietico di matrice internazionalistico-convenzionale, e come, conseguentemente, il sistema codicistico italiano sia divenuto sempre più residuale. Al di là dei rilievi macroscopici, tuttavia, le disposizioni codicistiche restano un sicuro indice legale di definizione della banda spaziale entro cui trova incidenza il dominio giuspenalistico nazionale.

Ritornando alla lettura della formula concettuale di territorio estero, interpretata "a contrario", si pensi al cpv. dell"art. 6 c.p., il quale dispone, in senso normativistico, ma partendo da dati fenomenici ascrivibili ai rilievi di leggi di copertura di tipo scientifico-universalistico, che la legge italiana considera come commesso nel territorio dello Stato nazionale un reato la cui azione od omissione è avvenuta, in tutto o in parte, nel territorio indicato dal cpv. dell"art. 4, ovvero un reato alla cui condotta sia conseguita un evento manifestatosi nel territorio anzidetto.

Malgrado l"art. 4 c.p. sia stato indicato in combinato disposto con l"art. 6 ai fini dell"inquadramento del concetto territoriale sopra sviluppato, occorre porre in essere alcune precisazioni. Se il primo articolo presenta, in entrambi i propri commi, una funzione qualificatoria, avvalendosi di categorie sì legali ma descrittive, l"art. 6, invero, fissa nel proprio comma secondo un inciso legale di tipo descrittivo, sempre ai fini qualificatori (a dire il vero, anche con un incedere strutturale utile per la teoretica del reato in generale), ma in senso inverso, ossia per sviluppare la definizione della categoria di reati commessi nel territorio italiano, e puniti secondo la legge italiana (principio di sovranità connesso al principio di territorialità statuale).

Il legislatore italiano novecentesco, in virtù del principio di difesa, sposato dalla concezione pubblicistica della statualità, nonché in virtù dell"affermazione (oltre che della rilevanza) penale dei "dicta" giuspositivi che trovano la loro genesi in seno alla statualità medesima, in particolare nel – laicamente – sacro versante formale codicistico, ha sancito la punibilità, secondo la propria legge, del cittadino o dello straniero che commettono una serie di fatti, sussumibili in tipi legali di reato. L"art. 7 c.p. elenca al num. 1 i delitti contro la personalità dello Stato italiano. Si tratta dei delitti contro la personalità internazionale dello Stato italiano (artt. 241-275 c.p., costituenti il Capo I del Titolo I sui delitti contro la personalità dello Stato), e dei delitti contro la personalità interna dello Stato (artt. 276-292 c.p., costituenti il Capo II del Capo anzidetto). La specificazione attraverso la addizione dell"attributo "italiano" accanto al termine "Stato", invero, è stata posta in essere ai sensi del D.L. n. 374/2001, convertito con modificazioni nella L. n. 438/2001, quasi a voler restringere l"ottica – e l"etica – della rilevanza all"estero degli interessi e dei beni giuridici concernenti l"ordine pubblico e le fondamenta del regime statuale.

Al num. 2 l"art. 7 estende l"efficacia della legge penale italiana ai delitti (commessi da cittadino o da straniero in territorio estero) di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto (si veda l"art. 467 c.p. di parte c.d. speciale). Al num. 3, invece, l"art. 7 estende l"efficacia della legge anzidetta ai delitti di falsità in monete aventi corso legale nello Stato o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano (si vedano gli artt. 453 e ss. c.p.), mentre al num. 4 si riferisce ai delitti commessi dai pubblici ufficiali, a servizio dello Stato, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alle loro funzioni pubbliche.

Di fondamentale rilievo, nell"economia ontologica e, senza dubbio, assiologica, del regime giuridico a fonti integrate su più piani funzionali e/o gerarchico-funzionali, risulta essere il quinto punto, di chiusura, dell"art. 7 c.p., il quale estende il raggio di incidenza effettuale della legge penale italiana all"estero, ad ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge, o convenzioni internazionali, ne stabiliscono l"applicabilità. Il siffatto rinvio formale risulta coerente con la "ratio" costituzionale rintracciabile in seno alle disposizioni normative degli artt. 117, comma 1, e 11, estensivamente interpretato. Tuttavia non può aggirarsi la apposita procedura stabilita dal legislatore ai fini della efficacia interna dei trattati.

L"art. 8 c.p., sul delitto politico commesso dal cittadino o dallo straniero all"estero, poi, codifica nel nostro ordinamento, una formula sintetica la cui "ratio" e, a prescindere, la cui esistenza, risulta rintracciabile in una dedizione dell"ordinamento alla protezione internazionale della propria sopravvivenza, secondo un tradizionale principio di autoconservazione dell"ordine costituito. L"art. 8, sorto in funzione repressiva nella compagine autoritaria del contesto socio-politico del codice Rocco ove trovò il proprio tessuto genetico, deve essere letto in combinato disposto con gli artt. 10, comma 4, Cost. e 26, commi 1 e 2, Cost., nonché sotto i riflettori che intrinsecamente devono ripercorrere il percorso ermeneutico, il quale, dal mero dato greggio del dispositivo, conduce ad una appropriata (e aggiornata) norma, al passo con lo spirito garantista dell"èra costituzionale.

In seno al primo e al terzo – nonché ultimo – comma dell"art. 8 c.p. autorevole dottrina, in verità, ha elaborato una classificazione tripartita del delitto politico commesso all"estero: il delitto tipicamente politico (art. 7, num. 1, quindi delitti contro la personalità dello Stato italiano, come richiamati per esclusione dal primo comma dell"art. 8); il delitto oggettivamente politico (art. 8, comma 3, prima parte, quindi ogni delitto che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino); il delitto soggettivamente politico (art. 8, comma 3, seconda parte, quindi il delitto comune – non speciale – determinato in tutto o in parte da motivi politici). Ai fini della identificazione dei delitti soggettivamente politici, oltre alla qualificazione soggettiva, che ordinariamente accompagna la qualificazione oggettiva del dato fattuale nella ricostruzione della fattispecie concreta sussumibile in quella astratta, rileva il motivo dell"agente. Ciò pone problemi di coordinamento con l"apparato fondante proprio del sistema penale garantistico, ove spicca il principio di materialità, intrinsecamente connesso nel suo fondamento ontologico alla dimensione concettuale della obiettività, nonché meta-teleologicamente proiettato allo "spatium" logico e al contempo fenomenico del principio di offensività. Non è, infine, apparsa strutturalmente adeguata ed adeguabile al piano strutturale del dato normativo, l"ulteriore distinguo, posto in essere da una parte di autorevole dottrina, secondo cui si potrebbero discernere tra motivo politico e mero pretesto politico: la seconda parte del terzo comma dell"art. 8 c.p., infatti, e a rigore, dispone che è considerato delitto politico, ai fini della punibilità del reo secondo il regime della legge italiana, e quindi ai fini della efficacia della legge penale nazionale all"estero, anche il delitto comune che sia soltanto in parte determinato da motivi politici.

A differenza del delitto tipicamente politico, nonché degli altri casi tipizzati in seno alle prescrizioni di cui all"art. 7 c.p., il delitto oggettivamente e quello soggettivamente politico, invero, necessitano di un ulteriore presupposto ai fini della operatività estera della legge penale italiana: l"ultima parte del primo comma dell"articolo da ultimo citato, infatti, sancisce la condizione di procedibilità della richiesta del Ministro della giustizia (si veda l"art. 342 c.p.p.). Il secondo comma dell"art. 7, comunque, prevede anche la querela della persona offesa oltre alla richiesta del Ministro, se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa.

A fronte della relativa indeterminatezza del delitto oggettivamente politico, che offende i beni giuridici costituzionalmente riconosciuti e protetti, garantiti negli artt. 48-54, e non solo, della Costituzione, e anzitutto del delitto soggettivamente politico, il legislatore ha optato per una maggiore restrizione alla operatività del dominio giuridico italiano sui fatti commessi all"estero.

L"art. 9 c.p., concernente il delitto comune del cittadino all"estero, poi, più che permeato dal principio dell"universalità temperata, appare ispirato dal criterio della personalità, connesso alle fondamenta dell"entroterra logico del principio c.d. della giurisdizione attiva, ossia della giurisdizione dello Stato di cittadinanza del soggetto agente (esteso anche in caso di soggetto avente doppia cittadinanza, tra cui quella italiana). I presupposti per la punibilità secondo la nostra legge penale nazionale, per i delitti comuni commessi all"estero da un cittadino italiano, tuttavia, si fanno ancora più elaborati in senso restrittivo. Occorre, infatti, che per il delitto commesso la legge italiana preveda l"ergastolo o la reclusione la cui cornice edittale sia nel minimo non inferiore ad anni tre, e che l"agente si trovi sul territorio italiano. Se si tratta di delitto per cui il legislatore prevede una pena restrittiva della libertà personale di minore durata, il colpevole è punito secondo la legge italiana soltanto a fronte della richiesta del Ministro della giustizia, ovvero a istanza o a querela della persona offesa.

Il terzo comma dell"art. 9 c.p., infine, chiude l"articolo disponendo che qualora si tratti di delitto che offende beni giuridici propri delle istituzioni europee, o di uno Stato estero, o di un soggetto straniero, l"agente è punito secondo la legge penale italiana a richiesta del Ministro della giustizia, soltanto se l"estradizione non sia stata concessa, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui ha commesso il delitto. L"inciso normativo sulle Comunità europee è stato aggiunto nell"ondata riformatrice della L. n. 300/2000. Una siffatta previsione legislativa, in verità, seppur bilanciata nella sua dirompente portata estensiva di dominio giuridico, oltre che di cultura istituzionale pubblicistica, si pone comunque all"interno del rispetto del principio di reciprocità e, conseguentemente, di reciproco riconoscimento di sovranità tra gli Stati nazionali, poiché non tende ad una illimitata egemonia legalistico-penalistica di un legislatore patrio a scapito di un altro, ma (dovendola interpretare conformemente agli specifici principi costituzionali) alla mutua solidarietà e protezione degli Stati-attori della comunità internazionale.

Anche l"art. 10 c.p., nei suoi commi 1 e 2, invero, necessita di annettere le sue peculiarità basate sul principio di difesa nonché sul criterio della c.d. giurisdizione passiva, nelle dinamiche internazionalistiche assiologicamente orientate al mutuo e solidale soccorso reciproco tra gli Stati nazionali della comunità globale, secondo lo spirito della Carta fondamentale italiana. Il richiamato senso della dimensione globale pacificamente concepita nelle politiche di affratellamento reciproco tra i diversi Paesi del mondo, tuttavia, non deve distogliere dal rilievo obiettivo che, per quanto concerne il sistema di diritto penale internazionale, si può effettuare in seno alle specifiche disposizioni di parte generale del codice: non dal principio della universalità pura è ispirata l"ingegneria codicistica in materia. Da più parti in dottrina, invero, si suole discorrere di principio della universalità temperata. Simmetricamente, e a rigore, si potrebbe, allora, riconoscere pure un principio di territorialità derogata.

Ciò in virtù della diversità ontologica del sistema penalistico, ove gli Stati nazionali si comportano ancora in modo geloso della propria specifica potestà normativa, rispetto al sistema del diritto privato internazionale, ove invece si stabilisce quale, tra le leggi dei diversi Paesi interessati, debba essere la legge applicabile, e ove spesso il legislatore nazionale pone in essere dei rinvii alla legge straniera. Di rinvii alla legge straniera, o di riparti in seno ai quali si riconosca una specifica efficacia alla legge straniera, invero, difetta il sistema di diritto penale internazionale, il quale è comunque una branca del diritto penale italiano, le cui disposizioni vanno interpretate attraverso i canoni ermeneutici tipici dell"ordinamento giuridico italiano.

A qualificare il fatto come penalmente rilevante, e a qualificare l"azione umana come commessa nel territorio dello Stato italiano o all"estero, in verità, è sempre (e soltanto) la legge penale italiana. Il concetto di "locum commissi delicti", quindi, al di là delle concettualizzazioni della logica teoretico-giuridica pura, è nella pratica specificamente delineato e delineabile, a rigore, nell"entroterra delle disposizioni positive di dominio del legislatore penale nazionale. Quest"ultimo però, a fronte del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e dell"apparato di principi garantistici che in particolar modo ispirano e penetrano la "extrema ratio" del mondo del diritto, nella cui "doxa" e nella cui "praxis" ben si innestano, non può discostarsi dal c.d. mondo della vita. E così l"elemento territoriale risulta essere un elemento sì qualificato normativamente, ma a monte rispondente a leggi di copertura di tipo scientifico, poiché ad essere coinvolti sono aspetti geo-fisici (spazio quale dimensione fisica che contiene e distanzia gli oggetti materiali del mondo sensibile-fenomenico), cui le norme non possono non fare riferimento nella oggettiva determinazione dello spazio, e di conseguenza del "locum commissi delicti" stesso. Anche sul versante processualpenalistico si utilizzano criteri di composizione del dettato dispositivo-normativo di tipo descrittivo: si pensi all"art. 10 c.p.p., sulla competenza per i reati commessi all"estero.

"Ergo", nel sistema di diritto penale internazionale si utilizza, come è stato rilevato da autorevoli studi di dottrina, un criterio di rilevanza legalistico-interpretativa ti tipo unilaterale introverso, e non di tipo unilaterale estroverso, o – come spesso è previsto nelle maglie logiche del sistema di diritto privato internazionale – di tipo bilaterale. Ma non si eccede mai nella mera "fictio iuris", oltre il panorama del mondo fenomenico razionalmente percepibile, nell"attività cognitiva dell"essere umano, attraverso i sensi.

 




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film