Amministrazione di sostegno  -  Paolo Cendon  -  25/03/2022

L'organizzatrice che toglie il microfono al relatore

Città piccola-media d’Italia, convegno sull’amministrazione di sostegno e sulla fragilità in generale. E’ mattina, non ci sono molte persone in sala, una trentina. Incontro organizzato da una piccola associazione di utenti, di famigliari, di operatori. In sala è presente anche qualche utente. L’organizzatrice è una robusta e florida donna del posto, s’indovina che ha avuto in passato qualche problema, anche oggi si muove in modo un po’ insolito: agitata, va su e giù per la sala, esce ed entra, poi si sistema al tavolo dei relatori, fa commenti a voce alta, saluta rumorosamente i nuovi entrati. Il relatore A che sta parlando cerca di fare finta di niente, un po’ d’imbarazzo c’è.

A un certo punto il relatore A si mette a spiegare com’è nata storicamente l’amministrazione di sostegno. Dice che le persone psichicamente fragili, dentro o fuori del manicomio, sono tendenzialmente in grado di fare una serie di cose, come chiunque altro: ad es. un contratto di trasporto sul bus, il noleggio di una bicicletta, l’acquisto di mezzo chilo di pane, andare al cinema. Altre operazioni invece possono essere più difficili, troppo: ad es. un mutuo bancario, necessario per restaurare la casa, è spesso complicato, insidioso, per tanti dettagli, chi ha delle ombre dentro di sé sarebbe in difficoltà a decidere tutto da solo. Occorre che il diritto immagini, qui, la possibilità di un segretario il quale collabori, di un curatore che supplisca, al posto o a fianco dell’interessato, che lo aiuti a fare quel mutuo, così prezioso nel caso concreto.

A quel punto - sorpresa! – ecco che l’organizzatrice, seduta vicina a lui, afferra/strappa di colpo il microfono all’oratore, e si mette a dire, indignata: “Scusi, ma non siamo d’accordo, anche dalla sala mi fanno capire che non la pensano come lei, adesso ci penserà il prossimo oratore a risponderle, lei non può dire queste cose”. Il relatore resta trasecolato, non ha più il microfono, è la prima volta che gli succede una cosa del genere: fino a un attimo prima l’organizzatrice lo incensava come il più bravo e il più bello, adesso addirittura gli ha tolto la parola, bruscamente, e per cosa poi, chissà mai? Pensa che potrebbe litigare, invece farfuglia a disagio, con un senso di irrealtà, mezzo divertito: “Ho capito, cioè non capisco, se volete però che me ne vada, se è così, tolgo subito il disturbo …”. C’è un attimo di stallo convegnistico. L’organizzatrice sembra lasciar capire che sì, a lei quella soluzione non dispiacerebbe …

A quel punto un altro oratore B, col suo microfono, prende lui la parola invece, si mette a dire: “Scusi, signora, lei non può comportarsi così. Lasci che il relatore finisca, poi semmai controbatterà”. Dalla sala vari segni di approvazione alla sua proposta. L’organizzatrice, improvvisamente insicura, sola, consapevole, stende allora il braccio e ridà il microfono al relatore A; questi ricomincia sia pur con qualche difficoltà a parlare. Dopo 10 secondi ecco però che l’organizzatrice lo interrompe di nuovo. A quel punto il relatore A si ferma, si volta, la guarda e le dice con aria pratica: “Senta, per favore, se vuole che continui la relazione, se ne vada già in sala con gli altri e mi lasci parlare”. La signora resta interdetta per un attimo, poi si alza, dice che va bene. Obbedisce, abbandona il tavolo dei relatori, va giù, si piazza a metà della sala, seguirà in silenzio il resto della relazione.

Il resto delle tre ore tutto bene: applausi, tutti bravi, diapositive, domande, commenti, farmaci inutili, diete calibrate, bambini a scuola, dibattito, ce n’è per tutti. L’organizzatrice ogni volta che il relatore A la guarda, fra il pubblico, ha una faccia strana, sorpresa , un po’ contrita forse, pentita, arrabbiata, chissà.

Il relatore A, pensandoci, dopo un po’ è riuscito forse a capire il perché di quella strana reazione. L’organizzatrice le altre volte gli aveva manifestato grandi segni di contentezza perché il relatore A, in quei casi, aveva parlato soprattutto di quello che un sofferente psichico, può fare, volere, esprimere, inventare, pretendere, desiderare. Allora andava bene. Qua invece, oltre al resto, si è messo a parlare di un mutuo bancario, dicendo che può essere necessario stipularlo, in concreto, e che però l’interessato può non farcela da solo a concludere: ecco il dato fastidioso, scatenante: ricordare in aula a tutti che l’infermità di mente può - ebbene sì - comportare deficit, vuoti organizzativi, black-out funzionali, momenti di non autonomia pratica. L’organizzatrice non voleva sentire questo, non sopportava il discorso.

Più tardi quando il relatore A lascia il convegno, alle due, l’organizzatrice lo accompagna giù alla macchina. Parlando del più e del meno. Proprio all’ultimo momento, con evidente sforzo su stessa, porgendo gli la mano, gli fa: “Mi scusi per prima, sa, è stata la focosità …”.

Così va il mondo.

 




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