-  Redazione P&D  -  09/03/2017

MA IL DANNO E' SOFFERENZA INTERPRETATA - Cass. 16788/15 - Natalino SAPONE

Dal principio dell"unitarietà concettuale del danno non patrimoniale non si può desumere il principio secondo cui, una volta monetizzato il pregiudizio consistito nella compromissione della lesione dell"integrità psico-fisica, ogni altro vulnus patito dalla vittima sia stato per ciò solo compensato.

 

1.- Cassazione civile, sez. III, 13/8/2015, n. 16788, pres. Russo, est. Rossetti, ha definito una controversia avente ad oggetto il risarcimento del danno da sinistro stradale. La Corte d'appello aveva liquidato il danno non patrimoniale nella somma di € 194.326, sul presupposto che quello fosse l"importo risultante dal calcolo tabellare.

Tale decisione – ha ritenuto la S.C. – viola gli artt. 1223 e 2059 c.c., perché fa discendere dal corretto principio dell"unitarietà concettuale del danno non patrimoniale lo scorretto principio secondo cui, una volta monetizzato il pregiudizio consistito nella compromissione della lesione dell"integrità psico-fisica, ogni altro vulnus patito dalla vittima sia stato per ciò solo compensato.

Se ad es., osserva la S.C., la vittima di lesioni personali, oltre a provare il dolore fisico causato da una lombosciatalgia, prova anche vergogna per la propria condizione di invalido, di questo secondo pregiudizio il giudice dovrà tener conto aumentando il quantum del risarcimento. "L"unitarietà del danno non patrimoniale – continua la sentenza – è concetto giuridico, posto a presidio del divieto di duplicazioni risarcitorie. Esso non c"entra nulla col polimorfismo con cui il danno può manifestarsi, che è questione di fatto".

 

2. È condivisibile il primo principio fissato dalla decisione in commento, secondo cui l"unitarietà del danno non patrimoniale non significa che il risarcimento del danno biologico esclude il rilievo di qualsiasi altro danno.

Altrettanto condivisibile è l"asserto secondo cui l"unitarietà non è incompatibile con il polimorfismo del danno non patrimoniale.

Non condivisibile è invece l"assunto secondo cui, mentre l"unitarietà è concetto giuridico, il polimorfismo è questione di fatto.

Il polimorfismo è anche, ma non solo, questione di fatto. È questione di fatto accertare se nella fattispecie concreta si sia rotto effettivamente il tacco della sposa durante la cerimonia nuziale, ma se questo costituisca un danno risarcibile o un mero disagio irrilevante è questione di diritto.

È questione di fatto verificare se il padrone del cane ucciso trascorreva molto tempo con il cane. È questione di diritto stabilire se questa circostanza costituisca un danno non patrimoniale risarcibile.

È questione di fatto accertare se il nonno conviveva con il nipote morto in un incidente stradale. Ma è questione di diritto capire se ciò costituisca danno risarcibile ex art. 2059 c.c.

Qualsiasi minima variazione nella vita di una persona potrebbe essere un danno risarcibile. Decidere se effettivamente lo è, non è questione di fatto ma di diritto, occorrendo, nella prospettiva dell"ordinamento giuridico, selezionare i danni dai fastidi irrilevanti e soppesare i danni, attribuendo loro una misura. Quando i dati sono molteplici, occorrono categorie o, se si preferisce, concetti che – spiega U. Galimberti – sono l"unità del molteplice, ciò che le cose hanno in comune, la loro essenza".

Gestire il danno non patrimoniale come una questione di fatto significa incorrere nella fallacia naturalistica, operando un salto logico dall"essere (dal fatto) al dover essere (al dover essere quel fatto risarcito).

 

3. Che la sentenza che si annota incorra nella fallacia naturalistica risulta confermato anche da un passaggio successivo della motivazione: "Quando (…) si tratta di stabilire quanto valga economicamente il danno patito dalla vittima, il giudice non deve andar dietro a categorie astratte, ma accertare in concreto cosa e come il danneggiato abbia perduto, e per quanto tempo".

La sentenza pone in conflitto le categorie astratte con l"accertamento in concreto. Non occorrono categorie, secondo questa pronuncia, essendo necessario e sufficiente l"accertamento in concreto dei fatti materiali ("fatto materiale", definisce la sentenza il dolore da lombosciatalgia).

La Corte qui cade in errore.

Qualsiasi fatto, per diventare danno risarcibile, deve essere valutato/interpretato. "Ogni fatto è una costruzione, ogni dato è un interpretato, ogni presunta immediatezza risuona all"interno di un universo linguistico da cui risulta inevitabilmente mediata" (Cortella L., Ars interpretandi, 2002, 7, 35).

E ciò non può non valere anche per quei fatti che sostanziano la sofferenza. La sofferenza – usando parole di S. Veca – è "dolore interpretato". Generalizzando, si può dire che il danno non patrimoniale è sofferenza interpretata.

Non c"è quindi contrapposizione tra categorie e dati concreti da accertare. Categorie e accertamento concreto vanno in tandem, aiutandosi vicendevolmente. I fatti non hanno scritto in fronte la loro (ir)risarcibilità; da soli, non ci dicono se sono danni, ossia meritevoli di risarcimento. Per questo deve esserci qualcuno che li riveste dello sguardo giuridico, qualificandoli sub specie iuris.

Certo, occorre evitare l"astrattismo; occorre evitare che le categorie si autoalimentino, nutrendosi solo di altre astrazioni presenti nella testa di chi giudica. Ma occorre anche evitare l"eccesso opposto, l"ingenuo e disarticolato empirismo.

Parafrasando Kant, si può dire che le categorie senza i dati concreti sono vuote, i dati concreti senza categorie sono ciechi.

Di fronte ad una realtà eterogenea e complessa come quella del danno alla persona, perché vi sia un sapere (concreto sì ma) ordinato e consapevole, occorre una dimensione concettuale, quella offerta dalle categorie, che ci indichi l"essenza dei molteplici danni.

 

4.- La necessità delle categorie si apprezza anche sotto un altro profilo, riscontrabile con maggiore evidenza dopo che la giurisprudenza ha chiarito che l"equità va intesa anche come eguaglianza.

Perché infatti sia garantita l"eguaglianza occorre che i danni siano confrontabili tra di loro. Ma questo non è possibile se l"accertamento concreto rimane chiuso nella singola e irripetibile fattispecie. Sono le categorie che consentono ai danni di elevarsi al di sopra della singola e irripetibile vicenda che li ha generati, assumendo una dimensione universalizzabile, senza la quale l"uguaglianza non è perseguibile.

Il rifiuto di parte della giurisprudenza di riconoscere l"utilità delle categorie non agevola dunque una gestione ordinata del risarcimento dei danni alla persona, determinando il rischio che il danno non patrimoniale, piuttosto che polimorfo, finisca per diventare amorfo, e proprio per questo più esposto all"eventualità, da scongiurarsi secondo la pronuncia in commento, che la liquidazione equitativa si sbiadisca "in un responso oracolare" o si svilisca "al livello di un frettoloso calcolo ragionieristico".




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