-  Santuari Alceste  -  22/09/2012

MA IL TITOLO V COST. E ANCORA UN MODELLO VALIDO? – Alceste SANTUARI

E" quanto emerge da un articolo di Michele Ainis pubblicato sul Corsera di sabato 22 settembre.
Ainis, muovendo dagli scandali che stanno interessando le Regioni Lazio e Campania, analizza lo (stra)potere delle Regioni, divenute, a dire dell"A., "pachidermi" non più sostenibili, in specie in una congiuntura economica negativa quale quella che stiamo attraversando.

Ovviamente senza alcuna pretesa di "chiudere la questione" in questa sede, ma soltanto per continuare un ragionamento aperto proprio su questo sito (sia permesso rinviare al mio "Il Titolo V della Costituzione compie 10 anni, pubblicato nel mese di novembre 2011), vorrei di seguito provare a segnalare alcuni dati. In primis, preme ricordare che il riparto delle competenze ha ingenerato una serie numerosa di conflitti istituzionali tra Stato centrale e Regioni. In secondo luogo, le Regioni hanno percepito – in specie negli ultimi anni – la produzione normativa statale alla stregua di una minaccia reale alle proprie prerogative. Di qui infatti i numerosi ricorsi alla Corte Costituzionale da parte delle Regioni. In terzo luogo, lo Stato, facendo spesso leva sulla necessità di coordinamento della finanza pubblica, ha emanato norme che pretendono di avere efficacia anche nei confronti delle competenze regionali. Ne sono derivati ulteriori contenziosi avanti la Corte costituzionale: lo Stato impugna leggi regionali che ritiene si discostino dal regime di "austerity" indicato nelle disposizioni statuali.

Con il risultato, evidente, per utilizzare un eufemismo, siamo di fronte ad uno stallo di proporzioni storiche, atteso che, da un lato, si peggiora la già precaria percezione di una qualche certezza giuridica e, dall"altro, si finisce per indebolire le difese a tutela dei cittadini, in specie quelli più deboli. Al riguardo, si pensi alla garanzia "nazionale" prevista nella l. n. 104/1992 a favore dei disabili nelle scuole, che (anche i fatti recentemente saliti alla cronaca dimostrano inequivocabilmente) può essere "smentita" dalla non azione o mancanza di fondi "a livello locale".

La riforma del Titolo V ha previsto momenti e contesti istituzionali in cui Stato – Regioni – Enti Locali sono chiamati a realizzare percorso di "leale collaborazione". Ma ciò non sembra avere davvero prodotto risultati soddisfacenti, se pensiamo alle ricorrenti "alzate di muro" quando si deve discutere di sanità, ma anche di turismo ovvero di servizi pubblici locali. E" quindi giunta l"ora per riaffermare il "centralismo romano" pre-riforma del 2001 e di salutare definitivamente il processo federalista, che tra mille difficoltà, ha cominciato a fare capolino nel nostro Paese?
Certo è che se si decide di affrontare il tema guardando agli sprechi e alle inefficienze che molte regioni hanno prodotto in questi anni la risposta alla domanda di cui sopra, magari quale "second best", sembrerebbe scontata. Ma vorremmo muovere da altre considerazioni che non siano soltanto quelle relative agli sprechi, che pur ci sono e che non depongono a favore del mantenimento dello "status quo". Le considerazioni altre attengono al sistema dei servizi alla persona che in questo decennio (e anche prima) le regioni, hanno saputo sviluppare. In molti territori (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Trento e Bolzano, Piemonte, Toscana) non è difficile rintracciare elevati livelli di qualità nelle prestazioni socio-sanitarie e nell"organizzazione a rete dei servizi a favore dell"infanzia e degli anziani, solo per citare due "parametri" di valutazione.
Questi livelli e modelli organizzativi, tuttavia, sono sempre più spesso messi di fronte alla "sfida" rappresentata dalla competenza statuale riferita all"individuazione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni sociali. Si tratta di livelli che debbono essere assicurati su tutto il territorio nazionale e che necessariamente debbono tenere in debita considerazione gli attuali modelli organizzativi che nel frattempo sono stati implementati, nel contesto delle competenze esclusive (nel sociale) riconosciute proprio in capo alle Regioni dalla modifica del Titolo V Cost.

Quale evoluzione dunque si può immaginare in uno scenario caratterizzato, da un lato, dal protagonismo regionale e, dall"altro, dall"esigenza di riportare al centro (rectius: a Roma) le decisioni? Vi è ancora spazio per immaginare un processo federalista equo, solidale, autenticamente autonomista, capace di riconoscere un adeguato livello di coordinamento a livello nazionale? E" immaginabile che lo Stato (Roma) possa decidere del futuro di un piccolo ospedale di provincia ovvero che ciascuna Regione possa continuare a siglare accordi europei/transnazionali alla stregua di uno Stato ? (e tralasciamo in questa sede di approfondire il comparto turistico).

Vorremmo immaginare un futuro meno cupo nei rapporti tra Stato-territori, non solo perché le tensioni istituzionali finiscono per alimentare inevitabili "scontri" culturali e prese di posizione che poco hanno a che fare con la ragione e con il buon senso, ma anche perché vorremmo progettare uno Stato che sappia invero valorizzare le best practices (e ce ne sono!) a livello locale e sostenere gli sforzi di quanti hanno investito in innovazione gestionale ed organizzativa, nel tentativo di dare risposte sempre più adeguate ai "propri" cittadini che poi sono … cittadini italiani. In altri termini, si tratta di decidere di rendere (finalmente) "operativo" il principio di sussidiarietà ex art. 118, u.c. che proprio la riforma del Titolo V ha inteso positivizzare.

Se la classe politica capisse che da una serie riflessione "costituente" sui rapporti Stato-Regioni
passa la possibilità di ripensare in senso moderno e sostenibile il nostro ordinamento, in luogo di alchimie di altro genere che contribuiscono ad alimentare il senso di frustrazione e di smarrimento di molti cittadini che ancora credono, forse avremmo cominciato a dare una risposta alle domande sopra poste.




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