-  Todeschini Nicola  -  23/12/2013

MALASANITA': ANCHE LE REGIONI DANNO I NUMERI - Nicola TODESCHINI

Mi occupo di responsabilità medica da ormai una quindicina d'anni, e mai mi sono arreso all'idea di interpretare il mio lavoro cinicamente senza quindi interrogarmi sulle ragioni che determinano l'incremento dei casi di c.d. malasanità e soprattutto il fallimento dell'alleanza terapeutica. Di qui il mio impegno teorico, oltre che pratico, che in questi ultimi anni si è spinto anche ad analizzare le proposte che dai sanitari vengono portate all'attenzione del legislatore. Ebbene, a queste, che in parte ho già commentato in passato, si aggiunge ora la coraggiosa proposta -in calce al presente commento- delle Regioni, le cui istanze sono balzate agli onori delle cronache in questi giorni, sigh, che anticipano il Natale.

Confesso che durante la lettura non dei commenti ma del testo integrale delle proposte sono rimasto quasi spiazzato notando lucidità d'analisi, almeno apparente presa di distanza da alcuni luoghi comuni, sottolineatura di alcuni veri temi del contenzioso, proposte interessanti, seppur non del tutto condivisibili. Pareva che, per una volta, si trattasse di uno studio approfondito, sereno, addirittura lungimirante e, nonostante le conclusioni, ardite, sono d'accordo con molte osservazioni. Concordo sul rischio che riguarda la spersonalizzazione del rapporto medico paziente, in parte giustamente attribuito alla super specializzazione ed all'avanzamento tecnologico, sulla necessità di elaborare un cultura dell'errore che nel nostra paese certo manca, sulla necessità di fondare una cultura della comunicazione e di provvedere alla gestione diretta del contenzioso così da trarne anche alimento per l'elaborazione di statistiche che consentano di monitorare e ridurre il rischio. Pensate, a quest'ultimo proposito, a quanto non viene fatto oggi: ho io stesso in gestione diversi casi riguardanti la medesima struttura caratterizzati dalla mancata -e pervicace- somministrazione di terapia antitromboembolica in soggetti che invece, anche secondo le migliori pratiche, ne abbisognavano e ne hanno tratto per conseguenza pregiudizi. Potete immaginare un'azienda che continui a sfornare auto le cui guarnizioni siano difettose accusando così elevati costi di sostituzione e che nulla faccia per riparare il processo produttivo al fine di ovviare all'inconveniente? Certamente no, a pena di condurre al verosimile fallimento l'iniziativa imprenditoriale. Eppure le nostre pseudo aziende sanitarie denunciano, spessissimo, tale assenza di programmazione, controllo, coordinamento, lungimiranza, e ne pagano le conseguenze giornalmente: chi può voler assicurare un'azienda che dimostri di non aver in sufficiente cura la qualità del proprio prodotto? E tale scempio si verifica senza che alcun dirigente, lautamente compensato, venga portato innanzi alle sue responsabilità.

Dicevo delle osservazioni che mi trovano d'accordo e in particolare della cogestione amministrativa del contenzioso. Le Regioni propongono che detta gestione sia coordinata dal medico legale interno dell'azienda, curandosi di segnalare l'inopportunità di consulenze esterne che sarebbero elaborate da professionisti che non hanno il polso della situazione aziendale particolare. Ma il punto mi pare sia un altro: esterno, interno, il medico legale, per un verso, non può essere solo e, per l'altro, deve essere capace e specializzato nel settore. Perché debba essere capace lo arguisce ciascuno da sé, data la delicatezza dei beni in gioco e dei valori; perché non possa essere solo forse non a tutti è chiaro. Deve essere coadiuvato da un giurista, altrettanto capace e specializzato (ma non nel senso che vorrebbe il C.N.F. grazie all'ennesimo corso!), perché il tema della responsabilità non è solo medico legale ma, anzitutto, giuridico!

Quante volte ci troviamo al cospetto di pur capaci medici legali, anche consulenti del Tribunale, che non sono in grado di elaborare giudizi di responsabilità nonostante, ainoi, quesiti estemporanei gli assegnino, di fatto, la delega a scrivere la sentenza? Spessissimo, purtroppo, e non altrettanto spesso i magistrati sono attenti nel ricordare loro il ruolo di strumento tecnico, spettando ai magistrati stessi il giudizio di responsabilità grazie alle regole tecniche che il medico legale mette loro a disposizione non descrivendo il proprio personale parere, ma delineando il quadro tecnico delle regole applicabili al caso concreto.

Pensare quindi di poter continuare a fare da sé la prevenzione e la gestione di un rischio che non è solo medico legale, ma giuridico, atteso che si tratta del rischio di essere civilmente o penalmente responsabili, significa continuare a giocare la partita in condizioni di sfavore, presumendosi che, dall'altra parte, il danneggiato sia assistito da un giurista con la consulenza di un medico legale. E' un'anomalia, quella dell'arroganza, mi si passi il termine, della medicina legale in tema di responsabilità che non riguarda solo la composizione della squadra che dovrebbe difendere il fortino della struttura sanitaria pubblica, ma anche il malcostume, al quale ho accennato, delle consulenze tecniche d'ufficio, e quindi di un sistema che evidentemente crede di bastare a sé stesso seppur sconti, giornalmente, vittime illustri.

Le vittime si contano sul campo agevolmente: strutture che credono di essere nel giusto, coadiuvate dalla valutazione del medico legale anche della relativa compagnia di assicurazioni ma che, al momento della verità, nel giudizio risultano totalmente soccombenti. Non ricordo se non un paio di casi, tra le decine che hanno avuto esito positivo in giudizio, che non siano stati trattati dalla struttura sanitaria e, in particolare, dal medico legale della compagnia di assicurazioni come del tutto esenti da qualsivoglia biasimo. In alcuni di questi casi, però, dopo la consulenza tecnica d'ufficio nel corso della quale il consulente del giudice ha adombrato la tesi del danneggiato, il medico legale della compagnia di assicurazione, che sino ad un minuto prima perorava, convinto, la tesi dell'assenza di colpa, non ha messo a verbale alcuna nota critica dimostrando così di approvare la tesi del CTU che contraddice la sua.

La responsabilità non è un gioco d'azzardo nel corso del quale il bluff e la resistenza pretestuosa possano assurgere a regole del gioco, come alcuni evidentemente credono, ma è cosa seria, che andrebbe trattata per tale senza rinunziare all'ausilio di tutte le figure tecniche che possano assecondarne le necessità tecnico scientifiche.

Quindi giurista e medico legale, capaci e specializzati nel settore, e non strappati magari alla trattazione di sinistri stradali, debbono essere posti nella condizione di lavorare insieme e soprattutto di poter incidere sulle pratiche dei sanitari dell'azienda.

Condivisibile anche il richiamo alla necessità di redarre report tempestivi di ogni caso emerso, analizzare profondamente le cause, promuovere il rispetto di linee guida e buone pratiche che indirizzino le condotte nell'auspicio di evitare il ripetersi, al quale ho fatto cenno, dei medesimi errori.

La proposta arriva al punto di definire l'attività di gestione del sinistro come "core" del SSN a riprova dell'entusiasmo, a mio avviso ben riposto, dei redattori per la gestione vicina, e non spersonalizzata, del caso. "Aggredire il sinistro" favorendo le segnalazioni spontanee significherebbe responsabilizzare la struttura in ordine ai casi di malasanità riducendone l'evenienza e facendo dell'errore non una questione dell'assicurazione, come accade oggi quando le aziende si disinteressano di ciò che accade alla richiesta di risarcimento abbandonandola alle cure, spesso assai maliziose ed interessate (ma gli interessi non sono gli stessi delle aziende sanitarie, anzi spesso contrapposti) delle compagnie di assicurazione.

La prima ombra di un'analisi -che, salvo l'errore, non veniale, consistente nel dimenticare la necessità di un giurista di fianco al medico legale, pareva complessivamente condivisibile- si palesa a pag. 6 dell'allegato quando, per la prima volta, fa capolino l'aggettivo "indennitario" con riferimento al sistema di soluzione auspicato. Per il vero tale sistema misto risarcitorio indennitario non si spiega congruamente, per come definito, nel corso delle pagine che seguono, ma tant'è.

Si prodigano, le Regioni, nel segnalare pure la necessità di creare un fondo di garanzia in ipotesi d'insolvenza, altrettanto opportuno, muovendo poi verso la definizione di una responsabilità oggettiva della quale dovrebbe farsi carico lo Stato. Peccato però che, successivamente, anche il criticato sistema attuale viene definito come caratterizzato, di fatto, da una forma di responsabilità oggettiva, anche se così non è.

Ma la sintesi, che segue, in sette punti, chiarisce meglio (ma non ne siate così certi, le sorprese debbono ancora manifestarsi del tutto) ciò che le regioni vorrebbero: dalle "tre A (assicurazione, autorizzazione, accreditamento)", si passa alla richiesta di migliorare la sicurezza, per "tutelare le persone danneggiate da eventi avversi", per promuovere l'obbligo dell'assicurazione, la creazione di un fondo per i grandissimi rischi e le insolvenze, tabelle univoche per la valutazione del danno (già ci sono quelle di Milano, no?), la configurazione di una fattispecie autonoma di reato differenziando i reati colposi commessi in corsia da quelli c.d. comuni. Insomma, per assicurare la finalità indicata pomposamente al punto 2) (la tutela della persona danneggiata dall'errore medico) si pensa di chiedere di nuovo alla collettività di farsi carico dei rischi più grandi, definiti anzi grandissimi, e delle insolvenze. I cittadini quindi dovrebbero pagare sia per far funzionare il sistema che per correggere le sue disfunzioni colpevoli (senza che i responsabili vengano individuati e puniti) che per risarcirsi in ipotesi di danni gravi. Insomma: compro il frigorifero pagandolo assai caro, debbo assicurarmi per i danni da difetto del prodotto, tollerare che chi ha errato nella produzione la passi liscia e addirittura possa chiedere allo Stato di non considerare le lesioni arrecate dallo scoppio del frigorifero come quelle arrecate da un sinistro stradale o da un errore nel trasporto di una scala che rovini sull'alluce di un passante, ma come a sé stanti, con una disciplina di favore. Al di là del paragone volutamente forzato, per esigenze di comprensione, la richiesta pare, già così com'è, frutto di un'inconsapevolezza che mette in un serio imbarazzo.

Ma l'imbarazzo cresce, inesorabile, alla lettura delle righe redatte in calce all'elencazione sintetica delle richieste. E' singolare che lo spazio normalmente dedicato a note di corredo conclusive sia invece occasione per gli affondi più importanti, per il disvelamento delle reali richieste che, a ben guardare, contraddicono le aperture iniziali, tradiscono l'apparente inclinazione al rispetto dei diritti dei danneggiati dall'errore sanitario.

L'affondo trae origine dalla critica, oramai multimediale, alle scelte del legislatore condensate nella neonata c.d. Legge Balduzzi, rivelatasi "inidonea allo scopo" anche in considerazione dell'accoglimento che le ha garantito la giurisprudenza, nonostante i dottrina alcuni avessero pronosticato un incidenza maggiore.

Secondo le Regioni la responsabilità dei sanitari merita una normazione ad hoc, al fine di "riequilibrare per via legislativa l'intero sistema della responsabilità del medico e dell'esercente una professione sanitaria, anche integrando i codici vigenti con specifiche disposizioni". Insomma serve un colpo di mano più deciso da parte del legislatore!

La previsione di una norma penale ad hoc, secondo i redattori delle istanze qui in commento, risolverebbe il rischio di sentir dichiarare incostituzionale l'auspicata ma perigliosa depenalizzazione della colpa medica. Parimenti, in sede civile, si invoca altrettanta specialità che spieghi ed interpreti l'art. 2236 c.c., con l'effetto, udite udite, di "delimitare la colpa in ambito sanitario solo a quella grave" per "riequilibrare la posizione delle parti (o piuttosto per tornare a pregiudicare i diritti dei danneggiati ? n.d.r.) specie con riferimento all'onere probatorio e alla durata della prescrizione.

Appare loro addirittura "logico circoscrivere nel solo ambito della colpa grave" la responsabilità dei sanitari così da "rendere accettabile anche l'idea di rispondere per violazioni inescusabili".

Mi si perdonerà ma quando mai la logica della colpa civile può essere piegata alla necessità di far digerire ad una categoria la circostanza che le colpe inescusabili vadano punite, a guisa di un educatore di scarso profilo che, per tenere a bada un adolescente discolo, ceda alla sua irruenza rimproverandolo solo per le condotte gravissime perché sono le uniche che può comprendere essere riprovevoli? Se il problema che le Regioni intendono affrontare è quello dell'educazione dei sanitari all'accettazione delle regole della responsabilità civile dovrebbero, ad avviso di chi scrive, cominciare una buona volta a comprenderle, dette regole, così da svelare ad una classe tenuta intenzionalmente in balia delle compagnie di assicurazione e di alcune sigle sindacali estremizzate, e rappresentata da proposte di legge che trasudano ignoranza delle regole da tutti i righi, che senza comprensione e prevenzione la via d'uscita non esiste.

Sempre a proposito del fatto che le regole vanno piegate alle necessità di chi non le desidera nemmeno comprendere, reputano le Regioni che il termine di prescrizione sia corretto dimezzarlo a cinque anni. Così, dico io, da garantire che i danneggiati da errore medico, anche inescusabile, che apprendano al sesto anno dell'esistenza di una garza contenuta nell'addome, piuttosto che di un'errata diagnosi o trattamento, possano riposare in pace privi di chance riparatorie.

Ma non finisce qui perché allo scopo, presunto, di "favorire la gestione extragiudiziale del contenzioso [...] si ritiene di dover prevedere un esonero dalla colpa grave (anche da questa?) per i funzionari amministrativi dedicati alle transazioni e negoziazioni extragiudiziali, allo scopo di agevolare le azioni nelle strutture sanitarie". Quindi tali funzionari non dovrebbero rispondere di nulla, nemmeno di addormentarsi su di una pratica, di archiviare una posizione invece chiaramente fondata, di lasciarne prescrivere una che possa determinare responsabilità erariale, di determinare per sciatteria un soluzione abnorme, di dedicarsi alla pausa caffè anziché lavorare seriamente. Quando mai esonerare un dirigente da tutte le responsabilità può motivarlo a fare il proprio dovere che, se non realizzato, dovrebbe essere stigmatizzato proprio dalle regole che contro di lui non sono applicabili? Certo, un ragionamento tanto brillante sostenuto dalle Regioni, che dedicano gettoni esosi e pensioni milionarie a consiglieri nulla facenti dotandosi di auto blu inutili e sguazzando negli sprechi di denaro pubblico, non risulta poi così estremo.

Non manca, per finire, nemmeno la richiesta, nelle ultime righe, di creare un'ennesima gestione extragiudiziale della vertenza che si ponga quale interfaccia o se preferite intermezzo, tra la trattazione stragiudiziale classica e quella in sede di mediazione. La linea del legislatore, così come di alcune sigle sindacali ed infine delle regioni appare assai omogenea: appreso del fallimento, per causa della gestione scadente del contenzioso da parte delle strutture sanitarie e delle compagnie di assicurazione, delle soluzione transattive, si prevedono continui ulteriori filtri, per non dire intralci, alla soluzione giudiziale, così che il danneggiato, strattonato in un lungo e sterile percorso tra uffici fumosi e corridoi polverosi giunga dinanzi al giudice esausto. Come possono le Regioni proporre un'ennesima fase di mediazione quando ne esiste già una prevista dal legislatore e, prima ancora di essa, esista la possibilità, che tutti i patrocinatori anelano, di risolvere bonariamente la vertenza civile con una transazione? Quando racconteremo alla collettività che tale soluzione bonaria è impedita nella stragrande maggioranza dei casi dall'ignoranza delle regole, dall'intransigenza, cinismo, difetto di lungimiranza proprio degli uffici sinistri e dalla lentezza dei medici legali delle compagnie di assicurazione? Chi scrive è disposto ad offrire prova, in decine di fascicoli, di quanto sostiene, qualcun altro è disposto ad offrire prova contraria? Le regioni, che salve alcune esperienze, non trattano i contenziosi e non controllano le modalità attraverso le quali le compagnie lo fanno, come possono avere idea di risolvere un problema al quale non partecipano? Ma siamo in Italia, è vero, dove le soluzioni le trovano inesperti burocrati magari sotto la spinta perenne dei lobbisti.

Anche al momento di congedarsi dalla virata paternalistica che il documento delle Regioni, dopo il tradimento dell'illusione iniziale, pone all'attenzione degli interpreti, si fa ancora più chiaro il sinistro presagio di un ennesimo versamento che le Regioni, regine al pari di altre sovrastrutture inutili e la larga parte della macchina politica odierna, propongono al vessato cittadino: pagare, pagare ancora, per l'ennesimo volta, l'inettitudine di chi già si fa pagare lo stipendio dai cittadini stessi: "tutti i cittadini versano un contributo per assicurarsi contro il rischio di esiti indesiderati da trattamento sanitario non derivanti da responsabilità di alcuno che possa dar luogo ad eventuale indennizzo (c.d. assicurazione del malato")."

E quali sarebbero, di grazia, i paventati esiti indesiderati che, sia ben inteso, non derivino da responsabilità di alcuno e che possano dar luogo ad indennizzo? Se non derivano da responsabilità di alcuno perché mai dovrebbero dar luogo ad indennizzo? Forse che le regioni vorrebbero che la responsabilità venisse abrasa dalla conversione del risarcimento in indennizzo secondo il cliché del "poco, ma per tutti" creando un altro mostro parimenti assetato e inadempiente quale il vetusto Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro ?

 




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