-  Todeschini Nicola  -  04/12/2013

MALASANITA' e BALDUZZI, CASSAZIONE: POCO CAMBIA MA PER I MEDICI E' POLEMICA - Nicola TODESCHINI

La sentenza n. 46753 pronunciata dalla Corte di Cassazione in data 15/10/2013 e depositata il 22/11/2013, passa, in alcune rubriche destinate ai sanitari, come l'ennesima pronuncia che dimostrerebbe l'odio del mondo del diritto nei confronti della professione del medico.

C'è chi scrive "un'altra vergognosa sentenza di chi seduto dietro a una scrivania pensa che la medicina sia come la matematica", altri "ma perché non li facciamo fare ai giudici gli interventi?" e, infine, "se ho ben compreso, se segui le linee guida e così facendo provochi un nocumento al paziente, ti sodomizzano i giudici e risarcisci il danno in sede civile; se invece fai di testa tua e debordi dalle linee guida Asl, queste ti fanno risarcire i maggiori costi e magari ti sanzionano ad esempio sospendendoti o togliendoti la convenzione come MMG. Vabbè domani mi iscrivo a veterinaria o giurisprudenza".

Ma al di là dei commenti assai estemporanei e forse frutto della tensione del momento, suggerita però maliziosamente da alcuni portali sul web, la pronuncia viene comunque descritta da alcuni in modo suggestivo così da alimentare la protesta dei sanitari, ormai di sistema, ed in particolare delle loro sigle sindacali nei confronti delle regole sulla responsabilità penale e civile.

E' curioso notare che gli sconclusionati commenti a detta sentenza sono inseriti in calce ad un breve riassunto della stessa, che così invece sintetizza la pronuncia: "il medico non è esente da colpa se pur rispettando le linee risulta negligente. Lo chiarisce la IV sez. penale...".

E' quindi chiaro, in questa corretta sintesi della pronuncia, che il biasimo penale nei confronti della condotta del medico (comunque salvato nel caso di specie dall'intervenuta prescrizione del relativo reato), è rivolto ad un contegno che viene definito "negligente". La negligenza, come noto, è il biasimo più grave che possa essere mosso alla condotta di un sanitario e che, insieme alla meno grave ma pur pericolosissima imprudenza, compone il ventaglio di ipotesi di violazione nella diligenza della condotta contro le quali sia il sistema penale che quello civile ormai si schierano, uniti, apertamente senza temperamenti di sorta. Dall'altra parte l'ultimo e, per certi versi, meno grave vizio è costituito invece dall'imperizia che consiste nella violazione delle regole tecniche dettate dalla scienza medica per l'esecuzione della prestazione e non, come accade per la negligenza, nella mancanza di minima attenzione e cura, e nemmeno, come accade invece per l'imprudenza, nel difettoso calcolo costi-benefici, nel contegno quindi poco lungimirante ed attento alle conseguenze delle azioni e/o omissioni attribuibili al professionista.

Chiunque, io credo, si chiederebbe perché mai dinnanzi ad un contegno negligente, il più scadente che possa essere rivolto alla condotta di un professionista, chiunque possa desiderare una qualsiasi forma di perdono. E' negligente ignorare la richiesta d'aiuto di un paziente per assistere alla partita di calcio, rifiutare la visita perchè l'uscita è resa fastidiosa dal freddo, negare l'informazione invece doverosa, dimenticare in corsia un paziente che abbia invece necessità di cure urgenti.

Eppure i commenti poco più sopra estrapolati dal web dimostrano il contrario.

Va ricordato inoltre che i giudici, pur rendendosi conto dell'intervenuta prescrizione del reato per il sanitario contro il quale confermano di muovere pure il loro biasimo, si occupano della sua colpa ai soli fini civili poiché propone ricorso in Cassazione pure la parte civile, ritualmente costituita nel giudizio penale.

Affrontano quindi, su espressa richiesta del difensore dell'imputato, l'impatto dell'art. 3 della legge 08/11/2012 n. 189 (più frequentemente ricordata come legge Balduzzi), invocando all'uopo l'esistenza di linee guida e/o pratiche terapeutiche accreditate dalla comunità scientifica che avrebbero potuto giustificare la condotta del sanitario al quale, invece, pure i consulenti tecnici imputano un errore: sia nell'aver imprudentemente consigliato un intervento chirurgico per riduzione di una frattura invece già stabilizzatasi, che per averlo eseguito negligentemente in modo tale da arrecare una lesione nervosa all'arto del minore. Secondo la difesa invero la legge Balduzzi nel frattempo intervenuta avrebbe potuto mutare la storia del processo, che in primo grado vedeva assolto ma, in seconde cure, condannato l'imputato, e così impone alla Corte di Cassazione penale, che già peraltro l'aveva fatto nella pronuncia n. 16237 del 29/01/2013, di dire la sua in tema di rilievo della legge Balduzzi sul pregresso equilibrio raggiunto dalle regole in materia di malpractice medica.

La Corte ha così l'occasione di confermare quel che appariva ovvio, pure a chi scrive (sul punto si vedano i precedenti commenti su questa stessa rivista), già all'indomani dell'infelice iniziativa legislativa, sostenendo che l'unico effetto della legge Balduzzi è l'esclusione della rilevanza della colpa lieve per le condotte che aderiscano a linee guida o pratiche terapeutiche mediche "virtuose", e purché esse siano accreditate dalla comunità scientifica; precisa altresì che detta limitazione non si può estendere agli errori diagnostici connotati da negligenza o imperizia, ma solo a quelli che riguardano l'accusa di imperizia giacché le linee guida stesse contengono solo regole di perizia.

Chiarisce invero che le linee guida, per essere tali secondo quanto dispone la legge Balduzzi, e quindi rilevanti dal punto di vista del giudizio di responsabilità, debbono far riferimento a standard diagnostico-terapeutici conformi alla miglior letteratura scientifica ed essere chiaramente ispirati alla cura della salute del paziente e non certo ad esclusive logiche di economicità della gestione sanitaria, finalizzata al contenimento della spesa ed in contrasto invece con le esigenze di cura del paziente.

Solo le linee guida conformi alle regole della miglior scienza medica sono quindi utilizzabili come parametro per l'accertamento dei profili della colpa. Del resto, chi potrebbe desiderare, scientemente, che siano le meno nobili condotte del professionista, ossia quelle ispirate a negligenza ed imprudenza, a poter beneficiare di una sorta di scusa e/o perdono da parte del legislatore quando le condotte ispirate a tali profondi difetti di approccio all'adempimento della prestazione sono quelle che vanno combattute più di qualsiasi altra?

Ma la confusione tra i sanitari (della quale personalmente mi rammarico) in ordine alle regole che informano la loro responsabilità è tale -ed in particolare aggravata da suggestive e maliziose prese di posizione di chi ha interesse, evidentemente, a trattenerli nell'ignoranza per cavalcarne la rappresentanza- da suggerire loro spesso proposte inconsulte, reazioni sgangherate, ma soprattutto la sensazione di essere vittime di un sistema.

Il punto di vista della Corte di Cassazione, peraltro, fa il paio con l'ormai consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione civile in ordine all'interpretazione dell'art. 2236 c.c. in combinato disposto con l'art. 1176 c.c., e la dice anche lunga sulla chance che l' art. 2236 c.c. ha di essere applicato nel sistema penale, se non altro quale fonte di "ispirazione", poiché -come è noto- la severità nel giudizio di responsabilità stabilito dall'art. 1176, II comma, è temperata, su richiesta per l'appunto dell'art. 2236 c.c., solo ed esclusivamente per le condotte connotate da imperizia (anche qui pertanto sono escluse negligenza ed imprudenza) ed affette da colpa lieve.

I parallelismi, a questo punto, che riguardano la modulazione della severità del giudizio così in sede civile come in sede penale sono tali e tanti da far pensare che, al di là dell'ammissione di applicabilità in senso assoluto dell'art. 2236 c.c. in sede penale, nei fatti tale risultato è già raggiunto anche grazie, si fa per dire, all'iniziativa Balduzzi che, se proprio un pregio può chiedere di veder riconosciuto, se non altro ha contribuito ad affrancare il giudizio di responsabilità dal rischio di una modulazione della severità di giudizio diversa in sede civile piuttosto che penale.

V'è da aggiungere, infine, che quanti si sono detti, con chi scrive, convinti che il rilievo assegnato dalla legge Balduzzi alle linee guida ed alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non era tale da contrassegnare alcun mutamento di rotta, hanno visto evidentemente giusto e non, io credo, perché hanno avuto la buona sorte di promuovere tale interpretazione tra le due possibili opzioni, ma perché la valorizzazione delle sole linee guida che risultino connotate dalla scientificità del contenuto è, a ben vedere, la stessa che, ancor prima del pronunciamento del legislatore, era seguita dalla miglior giurisprudenza e non avrebbe potuto essere certo stravolta, dato il suo significato, dalle peraltro incerte parole che il legislatore ha scelto per il famigerato art. 3.




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