-  Todeschini Nicola  -  19/06/2013

MALASANITA': I MEDICI VOGLIONO IL MODELLO FRANCESE - Nicola TODESCHINI

In Quotidiano Sanità del 22/05/13 è stato pubblicato un contributo che riguarda le richieste dei sindacati dei medici italiani in tema di scelta dei modelli di gestione della responsabilità professionale, in particolare dei medici. Dall'intersindacale sarebbe emersa una propensione per il modello transalpino, che secondo l'estensore del pezzo sarebbe caratterizzato da un sistema basato sull'indennizzo automatico che escluderebbe le conseguenze penali della condotta e nel quale la conciliazione assumerebbe un ruolo essenziale.

Un paradiso, quindi, verrebbe da dire, per i sanitari e, per certi versi, pure per i pazienti che si vedrebbero indennizzati automaticamente. Sin qui il dato di cronaca.

Da tempo mi sono proposto di indagare con quali prospettive, e cognizioni di base, si articoli la protesta e proposta dei sanitari, in particolar modo quella organizzata dalle firme sindacali più importanti.

Già in passato, in occasione dei lavori che hanno preparato il cosiddetto decreto Balduzzi, ho sottolineato, senza amor di polemica, quanto possa apparire scoordinata la prospettazione delle ragioni avanzate dai sanitari.

Già le richieste, stigmatizzate in un mio precedente intervento, relative alla soluzione della tensione che caratterizza il rapporto medico-paziente, in allora avanzate, hanno denunciato un rischio, a mio modo di vedere, rilevantissimo: l'ignoranza, da parte dei medici, delle regole giuridiche che li riguardano.

Ricordo, per il vero, in particolare in occasione degli eventi di studio rivolti ai medici ai quali ho avuto occasione di partecipare anche in qualità di relatore, la difficoltà con la quale i sanitari si accingono ad ascoltare un giurista, salvo che non sia un esponente del loro sindacato e quindi di parte. Ne ho dedotto, al di là delle questioni di parte, che uno dei problemi che riguardano la classe medica, nella gestione del cosiddetti caso di malasanità, consista proprio in una sorta di rifiuto, preconcetto, che i sanitari manifestano nei confronti di un'esigenza che invece il diritto afferma: la configurazione, sotto il profilo giuridico, del rapporto medico-paziente, quasi che la sua spiegazione possa essere vissuta come una sorta d'invasione, arbitraria, di un rapporto che deve rimanere segreto, confidenziale, sciolto dalle regole del diritto, perdonato, si potrebbe dire, soprattutto dalle regole che riguardano la responsabilità penale.

E' peraltro evidente a tutti che tale resistenza, che pur con rispetto nei confronti dei sanitari mi permetto di definire infantile, non possa essere giustificata in alcun modo.

Preferirei, giacché per scelta difendo solo i diritti, quando fondati, dei pazienti danneggiati dall'errore professionale, che il confronto potesse avvenire sulla scorta di princìpi e conoscenze condivisi, ma non è facile.

Il tenore, già allora, delle richieste dei sindacati e quello, oggi trasfuso nel comunicato intersindacale apparso sul Quotidiano Sanità, riapre, per così dire, la ferita rappresentando ancora una volta le istanze dei sanitari in modo piuttosto confuso.

Manca, ad avviso di chi scrive, in altri termini, un'elaborazione consapevole e di qualità dell'attuale panorama della responsabilità medica, dalla quale deriva un'incapacità a proporre sistemi, quand'anche alternativi, di gestione del rapporto medico-paziente trattandosi, come in questo caso, di istanze disperate, a volte, altre semplicemente sconclusionate, dirette ad alleggerire quella che viene definita quale morsa inaccettabile del diritto contro il professionista della salute.

Come sempre accade le lotte di quartiere, le opposizioni preconcette, non offrono mai esiti apprezzabili così, se mi trovassi ora nelle condizioni di poter parlare ai sindacati dei medici li esorterei, pur con il più profondo rispetto per la loro funzione, a capire, prima di criticare ed a proporre quindi soluzioni praticabili e frutto di conoscenza dei princìpi che riguardano la responsabilità civile e penale.

Ma torniamo alla proposta, adombrata nel pezzo dal quale traggono spunto queste mie osservazioni, relativa alle suggestioni che si ricavano dall'auspicata applicazione del sistema francese alla responsabilità medica.

Si afferma che la responsabilità del medico sarebbe "inserita all'interno del diritto amministrativo e non concepita in senso penale". E' probabile che si ritenesse, in luogo del diritto amministrativo, far riferimento al diritto civile, ma non è la dialettica che troppo importa ma registrare, ancora una volta, che per i sanitari la minaccia più importante è rappresentata dal rischio di rimanere coinvolti in processi penali, nei quali dovrebbero i sanitari essere costretti a difendersi dall'accusa di aver commesso un reato in danno del proprio paziente.

Una premura, quella di sollecitare ad ogni occasione la depenalizzazione della responsabilità professionale che, seppur compresa, comincia ad essere, in tutta sincerità, stucchevole.

Anche un venditore ambulante di bibite, incontrato su di una spiaggia, di fronte alla richiesta di discriminare l'errore professionale del medico, affrancandolo dalle conseguenze penali a dispetto però di un sistema che potrebbe ben continuare a punire lo stesso venditore di bevande se insultasse qualcuno, il trasportatore se investisse un passante, il mascalzone che danneggi cose esposte alla pubblica fede, reagirebbe chiedendosi perché mai un trattamento di tale favore dovrebbe riguardare alcuni e non tutti.

Non conoscerebbe però, forse, il venditore di bibite la differenza tra indennizzo e risarcimento, e potrebbe quindi non ben comprendere se nel ricordare il sistema cosiddetto francese di gestione dei casi di responsabilità medica, l'estensore del pezzo abbia utilizzato consapevolmente il termine indennizzo in luogo di risarcimento, poiché auspicare, oltre alla depenalizzazione, anche la sostituzione dell'indennizzo al risarcimento, tenuto conto che solo quest'ultimo può consentire la riparazione integrale del danno, spesse volte catastrofico, subito, appare altrettanto impraticabile.

V'è da chiedersi se i sindacati dei medici abbiano mai riflettuto, seriamente, sulle ragioni che determinano spesso il paziente danneggiato a rivolgersi all'autorità penale.

Pur avendo studiato centinaia di casi di responsabilità medica, ricordo di aver invitato i pazienti danneggiati, che si sono rivolti al mio studio, di procedere in sede penale con il deposito di una querela in soli quattro casi caratterizzati, tutti, ora dal tentativo di alterazione della documentazione sanitaria, ora dalla sua letterale sparizione, così che tutti questi casi concretavano in realtà fattispecie di più di un reato ed apparivano particolarmente odiosi per il tentativo di seminare le tracce dell'errore commesso.

In tutti gli altri casi ho invitato i pazienti, prima di tutto, ad affrontare lo studio del caso per evitare segnalazioni infondate; se non l'avessi fatto non avrei potuto consigliare agli stessi pazienti di archiviare la loro richiesta nel quasi 60% dei casi complessivamente valutati poiché, ad un'attenta selezione, molti rimangono impigliati nel filtro che ciascun giurista dovrebbe applicare discriminando le questioni chiaramente fondate da quelle che, lo ripeto, all'esito di uno studio medico legale, non risultano tali.

E' vero però, ed in particolare in alcune aree geografiche, che l'invito a rivolgersi all'autorità penale, come se la caserma dei carabinieri fosse il luogo ideale per discutere di malasanità, risponde, in qualche modo, alla scenografia tipica della reazione contro il sistema che ha fallito; ed è vero anche che, spesse volte sulla scorta di un consiglio, che ritengo non opportuno, rivolto anche da patrocinatori se non da avvocati, il ricorso all'autorità penale è visto, strumentalmente, come utile a velocizzare l'iter della depositata richiesta di risarcimento del danno.

Sostengo, per contro, che salvi alcuni casi il deposito di una querela, o di un esposto, abbia tutto fuorché l'evidente finalità di veder soddisfatta l'aspettativa del danneggiato consistente nel risarcimento del danno. Sia perché il processo penale è ormai lento come quello civile, sia soprattutto perché l'atteggiarsi della colpa nel processo penale è decisamente diverso dal trattamento di cui invece gode nel processo civile, così che quest'ultimo si conferma quale contesto ideale nel quale trattare il caso di responsabilità medica.

Ma se un paziente danneggiato teme di non essere risarcito o di dover attendere troppo, al punto che si determina a chiedere che l'autorità penale esamini la condotta del medico e che quest'ultimo sia condannato, se ritenuto responsabile, accade anche perché l'iter per l'accertamento della responsabilità, già in via stragiudiziale, è assai laborioso e complicato, con grande frequenza, dall'atteggiamento delle strutture sanitarie e soprattutto dall'inerzia delle loro compagnie di assicurazione.

Proprio pochi giorni fa ho lamentato il mancato riscontro da parte di una compagnia di assicurazione trascorsi quasi nove anni dalla prima diffida. Vero è che si tratta di un caso eccezionale ma che dimostra come uno dei nodi della responsabilità civile, in particolare di quella medica, è rappresentato dalla scarsa collaborazione ad una soluzione sensata e transattiva del caso offerta dalle compagnie di assicurazione. Queste ultime, ben inteso, non esercitano beneficenza ma rispondono ad una funzione sociale fondamentale per sostenere la necessità di una garanzia patrimoniale e quindi debbono, legittimamente, valutare con attenzione i casi che sono loro sottoposti per verificare se e quando la garanzia può dirsi attiva ed il caso vada trattato.

Ma in tantissime e documentate occasioni, pur in presenza di chiare responsabilità, l'atteggiamento delle strutture sanitarie ed in particolare delle compagnie di assicurazione è tanto inerte da destare addirittura il sospetto, peraltro condiviso da più interpreti, che la compagnia di assicurazioni preferisca essere coinvolta in un procedimento giudiziario perché non hai poi tutto l'interesse che ci si potrebbe attendere dalla soluzione transattiva del contenzioso.

E' probabile che in alcuni casi possa contare più la necessità della compagnia di assicurazione di dimostrare l'eccessiva sinistrosità del proprio assicurato, per poter aumentare il premio preteso, piuttosto che lavorare per definire in modo soddisfacente un caso, prima che venga portato all'attenzione di un giudice.

Se esistesse un organismo di controllo in grado di valutare tutti sinistri respinti dalle compagnie di assicurazione in tema di malasanità, confrontando l'attività istruttoria svolta, le chance di soluzione transattiva del caso, l'evoluzione in giudizio della vicenda e gli esborsi complessivamente effettuati, alla fine della vicenda giudiziaria, in favore del danneggiato, scoprirebbe uno spreco di denaro straordinario sia considerate le maggiori somme alla fine della causa erogate, in luogo di una trattazione sensata, magari cinque, sette, dieci, dodici anni prima del caso, sia tenendo in considerazione le risorse del sistema giudiziario che è stato impegnato nella soluzione di una controversia che poteva trovare una soluzione sensata se solo il diniego alla trattativa non fosse stato preconcetto e spesso inficiato da analisi medico legali assai scadenti.

Ma per una ragione che mi sfugge siamo veramente in pochi ad occuparci di questo tema: i sindacati dei medici invocano, ad ogni piè sospinto, la depenalizzazione assoluta che verosimilmente non otterranno mai, una maggior cautela nella valutazione dei casi di responsabilità spingendo addirittura il Ministero a confondere solo le acque con il suo tentativo di assolvere a tale funzione di ascolto (vedasi il più volte criticato decreto Balduzzi) e le compagnie di assicurazione continuano a lamentarsi, sapendo di rivolgersi a soggetti poco capaci, del costante innalzamento, secondo loro, dei cosiddetti tetti risarciti; al fine sembra quasi che debba ritenersi vile e meschino il paziente, magari rimasto su una sedia a rotelle per un errore professionale, ad avere l'ardire di avanzare la richiesta d'essere risarcito sottraendo risorse e non ottenendo giusta riparazione.

Le esperienze estere, e tra queste quella della Francia, difficilmente risultano ad un'attenta analisi più raffinate della nostra.

L'elaborazione giurisprudenziale in tema di responsabilità civile del medico ha raggiunto standard direi piuttosto avanzati e non sono certo gli altri stati europei che possono insegnarci come elaborare il concetto di colpa; possono piuttosto indicarci come modificare le regole del nostro processo, come snellirne l'iter, come evitare sprechi di risorse e di tempo che fanno della raffinatezza del nostro sistema sostanziale un insuccesso che ci pone in coda alla classifica dei Paesi civilizzati, poiché è evidente che una giustizia, seppur perfetta ma tardiva, giustizia non è. A noi manca la disciplina, per dirla con Buebb e ricordando il suo Elogio alla disciplina, l'organizzazione seria, il desiderio di cambiare radicalmente e non intervenire in regime d'urgenza con colpi, insensati, d'accetta.

Anziché quindi cercare improbabile spiegazione nei sistemi giuridici stranieri, la cui approfondita conoscenza mi sia consentito di dubitare essere presente nelle istanze avanzate, propongo, per l'ennesima volta, di affrontare seriamente il ruolo delle compagnie di assicurazione e delle strutture sanitarie nella gestione dei casi per consentire di sottolineare la condotta spesso maliziosa e, pure sotto il profilo economico, quasi parassitaria che le compagnie spesso dimostrano di tenere nel corso dei giudizi, e quindi affrontare seriamente la semplificazione dello stesso iter con l'introduzione di un sistema più snello, che potrebbe essere definito ad hoc, per la responsabilità professionale, ritagliandolo intorno ad un'evoluzione dell'accertamento tecnico preventivo con finalità conciliative, così da consentire a danneggianti e danneggiati di trovarsi di fronte molto presto, con chance di chiarimento delle rispettive posizioni intatti, con la possibilità di una definizione dall'alto della vertenza, nell'ipotesi in cui la conciliazione non riesca, tempestiva ed argomentata ma espressa non da un amministratore di condominio ma da un giudice preparato e, magari, pure specializzato.




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