-  Todeschini Nicola  -  20/11/2013

MALASANITA': LA RICETTA, MALIZIOSA, DELL'ANIA - Nicola TODESCHINI

Recentemente l'Ania ha presentato (nel corso di un'audizione in Commissione Affari sociali alla Camera) la sua consueta capziosa relazione sulla c.d. malasanità: i presunti conti che non tornano alle compagnie di assicurazione, in particolare impegnate ad assicurare medici ed ospedali, e segnala che di questo passo dovremo rinunciare a loro. Lo ha fatto, come si conviene ainoi a chi è portatore di interessi, evidentemente, di parte, rappresentando maliziosamente lo stato dell'arte della malpractice nel nostro paese ed omettendo, del tutto, di guardare a casa propria stigmatizzando anche, come dovrebbe fare chi vuol essere invece obiettivo, le rilevanti responsabilità dei propri assicurati nonché soprattutto quelle, altrettanto significative, delle stesse compagnie di assicurazione.

Ma procediamo con ordine nell'analisi delle osservazioni presentate dall'associazione nazionale delle imprese di assicurazione.

Segnala anzitutto l'Ania che ogni giorno be 85 sarebbero depositati, in media, per casi di malasanità definiti, però, "presunti"; il che significa che, per ragionare seriamente di costi assicurativi, dovrebbero essere contemplati solo i casi effettivi, non quelli presunti che non comporteranno mai l'erogazione di risarcimenti a carico delle compagnie di assicurazione. Ma, si sa, utilizzare, seppur in modo improprio, le statistiche, offre agi a chi deve comunicare, ad ogni costo, un messaggio che getti nel panico. Le cause del presunto aumento del contenzioso sono individuate dall'Ania in due ordini di ragioni: la maggior consapevolezza -bontà loro- dei pazienti in ordine ai loro diritti e l'impulso che sarebbe garantito da "alcuni fornitori di servizi di gestione del contenzioso". Non si comprende bene a chi si riferiscano utilizzando la raffinata locuzione, evidentemente non volendo scontentare nessuno. Alle società d'infortunistica? Alle associazioni a difesa del malato? Agli amministratori di condominio? Ai galoppini che visitano i professionisti offrendo la loro intermediazione per raccattare casi di presunta malasanità? Se fosse così coraggiosa la presa di posizione dell'Ania varrebbe la pena che, al di là dei giri di parole, proponesse una ricetta per ridurre l'accattonaggio delle pratiche di malpractice medica, ma ovviamente non lo fa, perchè non è tale il suo interesse. Ad ogni modo fa effetto che secondo l'Ania non esista alcuna responsabilità da atttribuire al sistema sanitario.

Lamenta, inoltre, un "deciso aumento degli importi dei risarcimenti riconosciuti dai tribunali, non tanto a causa della componente del danno patrimoniale costituito dalla "perdita subita (danno emergente)" o dal "mancato guadagno (lucro cessante)", quanto a causa della componente rappresentata dal "danno biologico" o "alla salute" e dall"importo riconosciuto a titolo di "danno morale".

Beh, che nelle cause di responsabilità medica, fondate prevalentemente sul danno alla salute, una delle componenti maggiori sia rappresentata dal danno biologico è notizia che non attendeva d'essere svelata al mondo dalla relazione dell'Ania. Che, viceversa, gli importi siano aumentati per colpa di bizzarri giudici in vena di regalie è altrettanto poco credibile; varrebbe piuttosto la pena ricordare che, proprio grazie ad un colpo di mano delle compagnie di assicurazione, formato salice piangente, il nostro leggiadro legislatore ha sancito, in barba ad evidenti profili d'incostituzionalità, l'applicazione delle tabelle risarcitorie pensate per i sinistri stradali anche alle invalidità sino al 9% dovute a malasanità, dimezzando così il valore dei danni sino a 9 punti d'invalidità permanente! La verità, come si conviene ai peggiori servizi d'informazione, viene sempre mitigata, alterata, in tal caso addirittura capovolta: se un provvedimento in materia c'è stato è, indubitalmente, a favore delle compagnie di assicurazione così come da anni ormai ci ha abituato un disinteressato legislatore. Lo stesso decreto Balduzzi, come convertito in legge, è chiaramente, seppur confusamente, di stampo paternalistico e cerca di avvantaggiare, anche qui in barba ai rievanti profili d'incostituzionalità, i sanitari discriminando gli altri professionisti.

Inoltre l'Ania lamenta "l'ampliamento dei diritti e dei casi da risarcire da parte della giurisprudenza, che ha sostanzialmente modificato i contenuti della prestazione medica quasi trasformandola da obbligazione di mezzi a obbligazione di risultato."

E ci risiamo: la giurisprudenza sarebbe accusata di aver applicato una distinzione che, secondo le sezioni unite, è invece superata da anni! (LINK)

L'ho sostenuto più volte, da ultimo anche di recente, prognosticando le ragioni per le quali la distinzione sarebbe ancora in auge, ed indicando -temendo d'esser sin troppo malizioso- l'area di interessi ai quali sarebbe invece cara tale distinzione. Il mio contrinuto, di alcuni giorni or sono, trova conferma, oggi, con la lettura della presa di posizione dell'Ania che si erge a portavoce, guarda caso, proprio di quell'area la cui ispirazione chiaramente paternalistica è ormai divenuta vocazione palese, per non dire sfacciata.

Ma scopriamo le ricette che l'Ania propone per risolvere il nodo dei costi del contenzioso:

"una possibile opzione di policy per un sistema giuridico, come quello italiano, basato sulla responsabilità è quella di passare ad un sistema cosiddetto no fault in cui, per determinate casistiche di eventi, sia previsto un risarcimento, o meglio un indennizzo, standardizzato senza la ricerca e l"attribuzione della responsabilità. Questa scelta è stata compiuta nel panorama europeo dai Paesi scandinavi, che hanno abbandonato i tradizionali sistemi di attribuzione di responsabilità per malpractice e sono approdati a sistemi di tipo no fault.

Un"altra soluzione adottata da altri Paesi, quali Francia, Inghilterra, Germania, è quella di un sistema generale basato sulla responsabilità civile affiancato ad un sistema no fault per specifiche tipologie di danno. L"opzione di un passaggio ad un sistema no fault, dal punto di vista economico, è attraente quando ci si rende conto che, a livello di sistema, la somma dei costi relativi al contenzioso e di quelli indiretti indotti dalla medicina difensiva risultano essere sproporzionati rispetto alle risorse effettivamente riconosciute ai danneggiati a titolo di risarcimento.

Il tentativo oltranzista e rivoluzionario è ormai ben chiaro: sconvolgere il nostro sistema della responsabilità civile, sostituendo al risarcimento, integrale, un indennizzo, così da far risparmiare molti denari alle compagnie di assicurazione consentendo la sopravvivenza dell'errore professionale. Solo a loro l'opzione c.d. no fault gioverebbe.

Eh si perchè alcuna attenzione è rivolta al sistema invece dell'errore, alle sue vittime, ma solo alla cassa.

Come al solito, di fronte ad un sistema che tracolla la soluzione consiste nel suo smantellamento, ed un'esempio, paradigmatico di tale malcostume, è a tutti noto e consiste nella volontà di svuotare le carceri o non punire i rei indebolendo così la fondamentale funzione preventiva del sistema sanzionatorio piuttosto che costruire nuove strutture.

La riduzione del rischio, in altri termini, non è presa in considerazione, se non al termine come si dirà, tanto meno la magerialità e professionalità nella fase della gestione della lite e del contenzioso, nella quale si annidano buchi neri vergognosi che solo chi si occupa di responsabilità professionale continuativamente conosce bene.

Sono innumerevoli i casi, che anche chi scrive è in grado di mettere a disposizione della Commissione, nei quali la mala gestio del caso assicurativo è tale da far rizzare i capelli: sinistri che possono essere discussi per un milione di euro che invece ne costeranno qattrocentomila in più, occupando inutilmente corti di merito e di legittimità per anni, a causa di una scellerata gestione del caso da parte del gruppo di liquidazione. Responsabilità negate in sede stragiudiziale che improvvisamente, in giudizio ed a fronte del parere invece positivo del CTU, non si contrastano nemmeno. Ordinanze anticipatorie di condanna che vengono opposte in attesa di una sentenza senza alcun motivo serio e causano il versamento di più di 50.000,00 euro di sole tasse di registrazione. Giudizi di appello nei quali si resiste pretestuosamente, nonostante ogni disponibilità al dialogo di chi li invochi, e che poi, improvvisamente, vengono transati con il versamento di più di 400.000 euro nonostante le difese fossero ferme ed addirittura scandalizzate dalla richiesta di riforma in melius della pronuncia di primo grado.

Personale dei gruppi di liquidazione inadeguato, incapace professionalmente, insufficiente numericamente, strutture sanitarie irrispettose dei diritti basilari dei pazienti, insensibili alla responsabilità (tanto paga la compagnia di assicurazione) liquidatori e, aimè, a volte pure fiduciari di compagnie, disposti a tutto pur di definire, poco dignitosamente, un sinistro...e chi ne parla?

Ma, bontà sua, l'Ania prende in considerazione anche l'ipotesi nella quale si voglia rimanere "in un sistema basato sulla responsabilità". In tal caso ipotizza: "la rivisitazione del concetto di responsabilità, per esempio attraverso l"introduzione di protocolli che esimano gli operatori dalla responsabilità se essi sono in grado di dimostrare di averli correttamente seguiti o attraverso una più precisa delimitazione del perimetro della responsabilità, disciplinando le prestazioni mediche che rientrerebbero nell"ambito di applicabilità dell"art. 2236 cod.civ."

Che cosa significhi tale richiesta è assai complesso comprenderlo: forse vorrebbe, l'Ania, che dinanzi ad un errore, e ad un danno, non fosse "normale" che il responsabile versasse il risarcimento, ma che fosse invece previsto un sistema che renda immune il sanitario che si adegui a standard di comportamento scritti non si sa bene da chi. Ma come, se per la letteratura scientifica la condotta di un sanitario è indiligente, perchè mai la sua punibilità, civile, dovrebbe passare attraverso un altro filtro stabilito dal legislatore? Perchè il sistema è in stato comatoso? Perchè le strutture ospedalieri spesso non fanno nulla per contenere il rischio e le compagnie di assicurazione per gestire i casi con prudenza e lungimiranza?

E ancora, l'Ania chiede: "la standardizzazione dei criteri di valutazione dei danni con l"introduzione, per esempio, di tabelle di valutazione del danno e la definizione di eventuali limiti ai danni non patrimoniali; il contenimento del ricorso alla giustizia ordinaria tramite meccanismi alternativi di risoluzione del contenzioso e la disincentivazione delle richieste infondate."

Il programma è ricco.

Uno dei nemici peggiori, quindi, è la personalizzazione del danno: se, per fare un esempio, un dito che non funziona più vale 5.000 euro, poco importa se il danneggiato fosse un pianista (che non potrà più suonare) o un impiegato che dallla disfunzione non riceva -oltre al danno biologico- maggiori danni, il risarcimento deve essere uguale. Se, quindi, per errore investirò l'amministratore delegato di una compagnia di assicurazione il giorno del suo matrimonio, impedendogli di parteciparvi, ma causandogli un danno biologico di soli 4.000 euro, dovrò essere condannato a pagare solo tale somma, forfetizzata come vorrebbe l'Ania a ristoro solo del danno biologico, ma nulla a ristoro del danno morale ed esistenziale per aver mandato in fumo il suo matrimonio? O forse l'Ania vorrebbe che per tali rischi i malcapitati si munissero di una assicurazione privata? Forse il gioco consiste nel riversare sul sistema i costi che compagnie dicono di poter più reggere ma nel quale si permettono il lusso di versare milioni di euro di stipendio ai propri ottimi manager?

Oltre alla standardizzazione del danno però l'Ania chiede pure un tetto massimo, per essere sicura di non sbagliare, ma soprattutto, con un'ipocrisia che non può sfuggire, auspica il contenimento del ricorso alla giustizia ordinaria in favore della soluzione del contenzioso grazie a sistemi alternativi. Si rappresenta quindi, agli occhi della commissione alla Camera, come una maturo padre di famiglia che con lungimiranza, ed attenzione pure per i costi della giustizia, vorrebbe che i danneggiati la finissero di rivolgersi alla giustizia per ottenerla, ma che fossero più moderati, meno litigiosi, e che sfruttassero le languide disponibilità delle compagnie di assicurazione alla transazione.

Ma di quale realtà l'Ania riferisce in parlamento? Ci sarà in Commissione almeno un membro in grado di comprendere quanto richiesto? Evidentemente no, e non v'è di che sorprendersi se l'ultima commissione parlamentare sulla malasanità, istituita on denari pubblici, contava tra i suoi componenti un veterinario, un perito, un architetto ed altri stimati professionisti di ultronea esperienza.

Ma la circostanza di parlare a chi ignora la materia non è di per sè sufficiente a giustificare la mistificazione della realtà. Le compagnie di assicurazione combattono, fermamente, l'attuale sistema di di mediazione obbligatoria! Per i sinistri stradali vorrebbero non fosse mai adottato (non sono pronti, dicono) per la malasanità ed i danni di una certa serietà non si presentano nemmeno nel 90 % dei casi che chi scrive ha gestito dall'entrata in vigore della riforma (e sono diverse decine). L'occasione per discutere, quindi, fuori del processo, non interessa nemmeno quando la responsabilità sia evidente. Ai rari incontri di medizione non è insolito trovarsi di fronte a chi sa nulla, o poco più, del caso da discutere, a delegati della compagnia privi di alcuna autonomia decisionale e con un atteggiamento tutt'altro che orientato alla conciliazione perchè vedono nella stessa mediazione solo un'occasione per definire il sinistro in misura poco dignitosa ben sapendo di esporre il danneggiato, diversamente, all'attesa della definzione di un processo civile.

Chiede infine l'Ania un sistema che disincentivi le richieste infondate.

E' una richiesta un poco originale pure questa: se nel novantanove per cento dei casi che culminano con una condanna in giudizio la compagnia si costituisce (in realtà a farlo è la struttura sanitaria con il patrocinio dell'avvocato della compagnia) negando ogni responsabilità, pur sapendola invece esistente, e dopo aver superato le forche caudine della mediazione obbligatoria negando disponibilità, come può essere interessata a regole che prevedano una sanzione per chi sostiene pretese infondate quando a patirne le conseguenze sarebbero in primis proprio le compagnie di assicurazione? Ah, dimenticavo, perdonatemi, l'Ania non chiede sanzioni per chi sostenga una posizione in modo pretestuoso, ma sanzioni solo per le pretese infondate, non quindi anche per le resistenze pretestuose!

Infine l'Ania dedica almeno agli assicurati, mai ben inteso agli assicuratori, uno sguardo critico, auspicando la diffusione di una valida cultura di di risk management al fine di minimizzare i rischi di errore.

Le cause, in altri termini, sono prese in considerazione, in parte minima, per ultime, e le altre, gravi e dimostrabili (ne scriverò un libro) nemmeno considerate allo scopo di tentarne la confutazione.




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