-  Redazione P&D  -  08/06/2009

MALATTIA MENTALE E DISABILITÀ - Maria Cristina TUROLA



Le convinzioni diffuse in ambito sanitario generale non hanno registrato questa evoluzione , e continuano a considerare la malattia mentale una situazione a parte, che riguarda solo un mondo chiuso di addetti ai lavori, scollegato dalla medicina e dalla cura della salute.
D’altra parte, l’opinione pubblica e i mass media continuano a considerare i disturbi psichici come qualcosa di estraneo all’esperienza comune, che riguardano e riguarderanno sempre persone “altre”, diverse da sé e dai propri congiunti e conoscenti, quando addirittura non utilizzano questi disturbi come giustificazione rispetto ad eventi di cronaca di difficile spiegazione secondo l’ esperienza comune.
Alle malattie mentali continuano ad associarsi i concetti di: estraneità, incurabilità, peggioramento progressivo, aggressività, pericolosità.

L’OMS definisce la salute mentale come “uno stato di benessere in cui ogni persona realizza il proprio potenziale, può affrontare le normali situazioni della vita, lavorare proficuamente, dare il proprio contributo alla comunità”, e sottolinea che “non vi è salute senza salute mentale”. Negli ultimi aggiornamenti sul tema, pubblicati sulle Lancet Series dal 2007 e disponibili sul web in open access, si evidenziano argomenti quali la vasta diffusione dei disturbi, i carichi di assistenza, lo stigma, e soprattutto la necessità di prevenzione delle disabilità e di riabilitazione psicosociale.

Moltissimi eventi morbosi possono causare disabilità, compromettendo capacità cognitive quali: vigilanza, attenzione, orientamento temporo-spaziale, memoria, i diversi tipi di intelligenza, la capacità di riconoscere oggetti e le loro funzioni o di riconoscere situazioni e persone, l’ articolazione e comprensione del linguaggio parlato e scritto, la capacità di critica e di giudizio, la capacità di volere consapevolmente.

La maggior parte di questi eventi ha solo effetto transitorio: una perdita di coscienza, o uno stato confusionale da febbre o da insufficienza renale o da iperglicemia grave, per la loro transitorietà, non riguardano il presente contesto.

Diversa è la condizione dei disturbi ad andamento cronico, in cui le capacità cognitive possono essere alterate o limitate in maniera continuativa, anche se non necessariamente irreversibile, e in modo differente da caso a caso.
Tali disturbi non sono esclusiva della psichiatria; per fare solo alcuni esempi, ledono gravemente le capacità cognitive, creando diverso titolo di disabilità:, malattie endocrine come l’iposurrenalismo, avitaminosi come quella da vitamina B1, molte malattie del metabolismo degli aminoacidi, malattie neurologiche degenerative come corea di Huntington e sclerosi multipla, malattie reumatologiche come il Lupus Eritematosus. Deficit cognitivi di diversa gravità e durata sono causati da malattie infettive o parassitarie come meningiti, encefaliti, sifilide, da neoplasie cerebrali benigne o maligne, da patologia tromboembolica cerebrale, da esiti di interventi o di traumi.

Molte di queste condizioni presentano una lunga fase, anche di anni, in cui la disabilità cognitiva può essere il sintomo unico o prevalente, mal riconosciuto quando non si tratta di quadri eclatanti, spesso minimizzato sia dall’ambiente che dai sanitari: oltre ad un ritardo nella diagnosi e nella possibile terapia, questo porta spesso a gravi problemi nello svolgimento di attività lavorative e di compiti complessi quali ad esempio la guida dell’auto o il rispetto di scadenze come la dichiarazione dei redditi.
Situazione analoga si può verificare in tutto il periodo in cui le demenze non sono ancora conclamate, e il deficit di memoria viene colmato dal meccanismo della confabulazione, cioè da ricordi falsi o spiegazioni plausibili ma assolutamente non vere.
Diverso è il caso dei deficit primari dell’intelligenza, le oligofrenie, dove la mancata acquisizione di abilità è facilmente riconoscibile anche dai non esperti, e le necessità di supporto sono equiparabili a quelle delle varie fasi del normale sviluppo evolutivo.

Nell’ambito specifico delle malattie psichiatriche, vi sono rare forme gravi di fobie e ossessioni che, pur con una capacità cognitiva conservata, possono provocare grave disabilità per l’impossibilità a uscire o a recarsi in luoghi affollati o chiusi, come uffici pubblici o banche
Le situazioni più frequenti di disabilità riguardano però i disturbi dell’umore e i disturbi del pensiero.

I disturbi dell’umore (presenti nella psicosi manaco-depressiva e nelle depressioni di diversa origine) si possono associare ad alterazioni dell’attenzione e a frequenti errori di giudizio e critica.
Il maniacale, nella convinzione di avere risorse di energia e di denaro infinite, di essere un importante soggetto politico, o una star televisiva, o un leader religioso, spesso fa acquisti del tutto sproporzionati alle proprie risorse non solo presenti ma di tutta la vita; intraprende nello stesso giorno numerose iniziative commerciali o professionali, chiede in contemporanea una decina di prestiti, il tutto finalizzato a progetti che abbandonerà dopo poche ore per intraprenderne di nuovi, tutti fondati sul nulla.
Il depresso a volte, nell’erronea convinzione di avere una grave malattia, o di essere causa di eventi catastrofici (la guerra in Iraq, il terremoto) può devolvere ogni avere proprio e familiare a iniziative che pensa benefiche, o donare ogni cosa alla prima persona che incontra, pensando che domani non sarà più vivo.
Al di fuori delle fasi di malattia, queste persone non condividono minimamente le iniziative da loro intraprese, e spesso si trovano a dover affrontare conseguenza pesantissime per tutta la loro vita; inoltre, per le caratteristiche del disturbo, spesso non vi sono segni esteriori che possano, ai loro interlocutori, far riconoscere queste persone come soggetti in quel momento ammalati e dotati di scarsa capacità di giudizio.

Le malattie che comportano disturbi dell’ideazione (schizofrenia, paranoia, disturbi deliranti) o allucinazioni (soprattutto la schizofrenia, con “voci” interne non criticate che danno comandi imperiosi) alterano soprattutto la corretta percezione dell’ambiente esterno, e delle persone di cui ci si può o meno fidare: si vede un complotto ovunque, e sono frequenti conflitti e denunce contro familiari, vicini, autorità varie, per eventi spesso presenti solo nell’ideazione patologica.
In alcuni casi, per la prevalenza di sintomi negativi, si ha un totale ritiro sociale: queste persone non si lavano per mesi, non escono dalla propria stanza, non si recano più a scuola o al lavoro senza inviare alcuna giustificazione, gettano ogni documento, e vivono in una sorta di limbo immobile, fuori dal mondo, avendo contatti minimali solo con i familiari, quasi sempre anziane madri, da cui dipendono in tutto.

In molti casi di area psichiatrica, le disabilità personali e di relazione sono strettamente correlate, per cui, quando i sintomi sono più forti, anche l’area delle relazioni più strette viene compromessa. In pratica, i soggetti che delirano lo fanno principalmente su chi hanno vicino: colleghi di lavoro, vicini di casa, e soprattutto i familiari. Questi, a loro volta fortemente coinvolti emotivamente, finiscono per non sapere più come comportarsi, spesso hanno paura di questa persona che non riconoscono più, e non sanno dire no, per pietà o timore, o vengono schiacciati sotto il peso di una eccessiva responsabilità.

Come è controproducente in molte situazioni delegare ai familiari, specie se conviventi, la responsabilità dell’assunzione della terapia, così in alcune situazioni risulta controproducente, e a volte fonte di gravi tensioni, porre in prima linea un familiare nel sostegno della disabilità economica. Identificare una persona esterna come referente per il supporto permette in questi casi al soggetto fragile di porsi in una posizione più adulta, di svincolarsi dal ruolo subordinato che avrebbe in ambito familiare, e soprattutto, dividendo esplicitamente gli ambiti di cura/sostegno dall’ambito delle relazioni affettive, permette di mantenere un miglior clima di relazioni intrafamiliari , o almeno di non comprometterle, così che possano essere validamente riprese quando il soggetto avrà superato la fase critica.




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