-  Antonio Arseni  -  31/03/2016

MALEDETTE BUCHE!! QUANDO IL COMUNE PUO' ESSERE CHIAMATO A RISPONDERE PER GLI INCIDENTI PROVOCATI DAL DISSESTO STRADALE - Antonio ARSENI

L'Ente Pubblico locale è responsabile laddove abbia la effettiva disponibilità della strada con il conseguente potere di intervento. Essa non è automaticamente esclusa in ragione della estensione più o meno vasta della sede stradale, la quale costituisce piuttosto figura sintomatica della effettività del potere di controllo e, quindi, criterio di valutazione della c.d esigibilità della custodia. Il referente normativo è rappresentato dall'art.2051 CC che permette di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, a prescindere da qualsiasi considerazione del profilo comportamentale del custode, il quale potrà liberarsi da ogni responsabilità, una volta provato dal danneggiato l'evento lesivo ed il nesso causale, dimostrando non tanto di essere stato diligente nella custodia quanto piuttosto la sussistenza del caso fortuito, riconducibile al fatto di un terzo o dello stesso danneggiato, in un contesto in cui può avere rilievo anche la tipologia delle cause che hanno provocato il danno.

Molti sono i cittadini che si chiedono come possa essere coinvolto il Comune dove vivono, il quale trascura di manutenere la sede stradale determinando incidenti più o meno gravi.

Sono quei cittadini che, alla giuda di un automobile o a piedi, quotidianamente, per ragioni di lavoro od altro, percorrono le strade del loro Comune imbattendosi sovente in buche più o meno piccole, presenti nel relativo territorio e che costituiscono una delle maggiori preoccupazioni dei Sindaci, spesso aspramente criticati per lo stato di dissesto stradale.

Una "maledizione" in quanto provocano numerosi incidenti che poi vengono portati nelle aule di giustizia, contribuendo in modo sostanziale al carico di lavoro dei Giudici.

La buca si forma spesso a causa di una cattiva od omessa manutenzione della sede stradale, determinando una situazione di pericolo, talvolta occulto, per la circolazione veicolare e pedonale, di cui è responsabile chi è proprietario di quella strada e ne abbia la custodia e, quindi, il potere di esercitare quella doverosa vigilanza idonea ad evitare eventi pregiudizievoli.

Ecco, dunque, il primo presupposto che occorre accertare qualora una strada, dissestata per la presenza di una o più buche, sia stata la causa dell'evento dannoso: una auto che rimane danneggiata per aver intercettato la buca, o per aver repentinamente sterzato al fine di evitarla, un pedone che cade al suo interno o che inciampa sulla stessa, sono i casi più frequenti che si rinvengono dalla lettura delle decisioni in materia, adottate da parte dei vari Giudici investiti della relativa questione.

Prima di tutto occorre, dunque, lo status di custode della strada in capo al Comune, una condizione dunque che attiene ad un presupposto dell'azione ossia alla titolarità, dal lato passivo, della posizione soggettiva dedotta in giudizio, richiedendosi l'effettivo potere del Comune sulla strada e cioè la sua disponibilità giuridica e materiale, con il conseguente potere di intervento su di essa.

Ed, infatti,la giurisprudenza più recente ritiene applicabile, in caso di danni dovuti alla cattiva manutenzione della strada, l'art. 2051 CC, con evidenti ricadute sul piano probatorio in quanto la responsabilità prevista da detta disposizione normativa si fonda sul dato oggettivo della custodia che permette di configurare una presunzione di colpa, in capo colui che si trova in un simile rapporto con la cosa ed in caso di danno provocato dalla stessa, a prescindere da qualsiasi considerazione del profilo comportamentale del custode.

Come più volte rilevato dalla Cassazione, infatti, funzione dell'art. 2051 CC è quella "di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa senza che possa venire in rilevo una specifica obbligazione di custodire il bene (v. ex pluribus Cass. 13/10/2015 n° 295). Si parla a proposito di "rischio della custodia" e non "di colpa della custodia".

In altro, senso la responsabilità di un Comune per danni provocati da una buca esistente nella carreggiata stradale, si fonda sul rapporto di custodia della strada e sul nesso di causalità tra res e danno.

Non vi è spazio per una valutazione del comportamento del custode, il quale potrà liberarsi da tale presunzione di responsabilità non tanto dimostrando di essere stato diligente nel custodire la strada quanto piuttosto fornendo la prova del fortuito, comprensivo del fatto del terzo o dello stesso danneggiato, come vedremo più avanti.

Sulla base dunque di detta responsabilità oggettiva (così definita in particolare da Cass. 20427/2008), prevista dall'art. 2051 CC, all'Ente pubblico non sarebbe imputabile l'evento dannoso laddove non fosse concretamente in grado di governare la cosa attraverso l'esercizio di un potere che si concretizza in tre aspetti fondamentali: il potere di controllare la cosa, quello di modificare la situazione di pericolo insita nella cosa e quella di escludere qualsiasi terzo dall'ingerenza nell'uso della cosa stessa,cui è correlato il dovere di preservarne lo stato di efficienza .

La prima verifica da fare, da parte del Giudice, attiene alla esistenza di detto potere sulla cosa (e quindi sulla strada) nel cui ambito ha avuto origine l'evento dannoso.

È appena il caso di osservare, proprio con riguardo all'effettività del potere di custodia, che la estensione della rete stradale costituisce un criterio di valutazione della c.d. esigibilità della custodia stessa, insieme alle altre caratteristiche del bene quali la dotazione ed i sistemi di sicurezza, le segnalazioni di pericolo, oltre l'uso generalizzato e diretto da parte di terzi.

Soprattutto l'elemento della dimensione/estensione della rete stradale per lungo tempo ha permesso di escludere l'applicabilità dell'art. 2051 CC in favore del generale paradigma di responsabilità fissato dall'art. 2043 CC che, a differenza del primo, impone al danneggiato di provare in giudizio non solo la presenza della buca e la riconducibilità del danno patito alla buca stessa, ma, altresì, la colpa: un carico probatorio molto più pesante rispetto alla previsione dell'art. 2051 CC che, viceversa, impone al danneggiato solo di fornire la prova del rapporto di custodia e del nesso eziologico tra danni prodotti e cosa custodita.

Il favor per il danneggiato è evidente pur essendo subordinato alla previa verifica, come sopra accennato, della ricorrenza in concreto del rapporto di custodia con il bene.

Proprio tale elemento appare costituire una sorta di spartiacque ai fini della applicabilità dell'art. 2051CC e dell'art. 2043 CC in ordine alla problematica della cattiva manutenzione stradale. E ciò risulterebbe confermato dalla recente decisione della Cassazione 19/06/2015 n° 12821, la quale ha stabilito che "in tema di responsabilità della P.A. per danni da beni demaniali, qualora non sia applicabile la disciplina dell'art. 2051 CC, in quanto sia accertata in concreto la impossibilità della custodia sul bene demaniale, l'Ente pubblico risponde dei danni subiti dall'utente secondo la regola generale dell'art. 2043 CC, sicché, in tal caso, ove il danneggiato abbia provato l'anomalia del bene demaniale (come ad esempio la strada), che costituisce fatto di per sé idoneo, in linea di principio, a configurare il comportamento colposo della P.A., ricade su quest'ultima l'onere della prova di fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità per l'utente di percepire o prevedere, con l'ordinaria diligenza, la suddetta anomalia."

Sembra che in tale decisione siano evocati i noti concetti di insidia e trabocchetto per cui, nella più risalente giurisprudenza (Cass. 2319/1985; Cass. 1571/2004; Cass. 22592/2004), veniva predicato il principio secondo cui è il danneggiato che deve dare la prova, ai fini del ristoro dei danni asseritamente subiti a causa di anomalie della manutenzione stradale, della esistenza di un pericolo occulto, non visibile e prevedibile, riconducibile alla P.A.

Il mutamento di prospettiva operato dalla Cassazione, mercé la decisione della Corte Costituzionale 156/1999, a partire da un paio di decenni (v. soprattutto Cass. 3651/2006; Cass. 5445/2006 e, da ultimo, Cass. 999/2014), attraverso il ripudio di quella originaria concezione che escludeva comunque la configurabilità, tra P.A. ed il bene demaniale, di un i rapporto di custodia, proprietà originaria nei termini di cui all'art. 2051 CC (vedasi, in tal senso, ex multis Cass. 58/1982 e Cass. 5990/1998), è stato frutto di una progressiva ed inevitabile rivalutazione dei rapporti tra Ente Pubblico e privati che ha permesso di ovviare a quelle forme residue di privilegio ingiustificatamente assicurato alla P.A..

Il quadro che ne è uscito può così riassumersi.

1)È superata la concezione (v. in tal senso, ad esempio, Cass. 671/1978) che vede esclusa la configurabilità automatica della responsabilità della P.A. per danni cagionati dalla cattiva manutenzione della sede stradale, la cui estensione non permette di esercitare un controllo completo e continuo tale da dar luogo ad una custodia con la conseguenza che il danneggiato avrebbe a disposizione solo il rimedio previsto dall'art. 2043 CC.

2)La giurisprudenza di legittimità e di merito è ormai attestata nel riconoscere, nella materia che ci occupa, l'applicabilità dell'art. 2051 CC qualora il bene demaniale ( come una strada) venga utilizzato dalla P.A. in una situazione tale da rendere possibile un concreto controllo ed una vigilanza idonea ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo, oppure quando si tratti di bene demaniale o patrimoniale che per la sua limitata estensione territoriale comporta una adeguata attività di sorveglianza. In questo senso,, vedasi Cass. 26/11/2007 n° 24617 e Cass. 06/07/2006 n° 15583.

Dunque, l'obbligo di custodia sulla pubblica via, posto a fondamento della responsabilità ex art. 2051 CC, non può sempre ritenersi escluso in ragione della mera demanialità del bene, della sua estensione e dell'uso generalizzato cui lo stesso è sottoposto.

Come ricordato dalla giurisprudenza di merito e legittimità, si tratterebbe di figure sintomatiche di una impossibilità di custodia che possono trovare smentita allorché la strada sia collocata all'interno del perimetro urbano di una città o di un paese, normalmente meglio presidiato dall'Autorità Comunale, giacché tale inclusione è a sua volta figura sintomatica della effettività del potere di controllo che in genere grava sul proprietario del bene. Così Tribunale di Taranto 07/01/2015 n° 45, ma anche Tribunale di Napoli 08/01/2016 n° 144, laddove è affermato che proprio l'estensione della rete viaria e l'uso generalizzato del bene da parte della collettività, lungi dall'escludere il potere di custodia, assurgono da indici per accertare la condotta ed il grado di diligenza esigibili dall'Ente proprietario.

Tali decisioni ed altre analoghe (v. Tribunale Bari 03/12/2015 n° 5333 in Red. Giuffré 2016; Tribunale Nocera Inferiore 27/09/2013 n° 1051 in Red. Giuffré 2014; Tribunale di Milano 03/10/2008 n° 11689 in Red. Giuffré 2008), appaiono in linea con quell'orientamento della Corte Regolatrice secondo cui (nel caso di un pedone caduto in una buca) il Giudice non può escludere automaticamente la responsabilità da cosa in custodia, ex art. 2051 CC , in capo al Comune, sulla sola considerazione che il bene che ha causato l'evento dannoso (demaniale o patrimoniale) sia una strada di uso collettivo e di notevole estensione. Tali caratteristiche assumono valore soltanto per verificare se l'Amministrazione possa invocare il fortuito e dunque valutare l'onere che l'Ente deve assolvere per sottrarsi alla responsabilità. In tal senso, sostanzialmente conforme, vedasi anche Cass. 07/04/2009 n° 8377, nonché Tribunale di Roma 02/09/2009 n° 17882, in Redazione Giuffré 2009, laddove è stato ritenuto che "l'appartenenza del bene al demanio o al patrimonio della P.A. ed il suo uso diretto da parte di un rilevantissimo numero di utenti – aspetti che la precedente giurisprudenza aveva assunto ad elementi idonei ad escludere l'operatività dell'art. 2051 CC – sono solo indici sintomatici dell'impossibilità di evitare l'insorgenza di situazioni di pericolo di un bene, ma non lo attestano in modo automatico, sicché l'art. 2051 CC trova applicazione ogni qualvolta, nel caso concreto, non sia ravvisabile la oggettiva impossibilità di un esercizio del potere di controllo dell'Ente sul bene in custodia, determinata appunto dal suo uso generale da parte dei terzi e dalla sua notevole estensione relativamente ai sinistri avvenuti sulle strade di centri urbani, dove l'elemen to sintomatico della possibilità di custodia del bene del demanio stradale comunale, è che la strada si trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stesso Comune".

Sviluppando ulteriormente detti concetti, la giurisprudenza è anche giunta a sostenere che i criteri di imputazione della responsabilità ex art. 2051 CC per i beni demaniali, devono tener conto della natura e della funzione di detti beni, anche a prescindere dalla loro maggiore o minore estensione. E, ciò, considerando che - mentre il custode di beni privati risponde oggettivamente dei danni provocati dal modo di essere e di operare del bene, sia in virtù del principio cuius commoda eius incommoda sia perché può escludere i terzi dall'uso dei beni e quindi circoscrivere i possibili rischi di danni provenienti dai comportamenti altrui - per contro, il custode dei beni demaniali destinati all'uso pubblico è esposto a fattori di rischio potenzialmente indeterminati, a causa dei comportamenti degli innumerevoli utilizzatori che non può escludersi dall'uso del bene e di cui solo entro certi limiti può sorvegliare le azioni". Con la conseguenza che per detti beni demaniali "al custode vanno addossati, in modo selettivo, solo i rischi di cui egli può essere tenuto a rispondere, in relazione ai doveri di sorveglianza e di manutenzione razionalmente esigibili in base ai criteri di corretta e diligente gestione, tenuto conto della natura del bene e della causa del danno". In tal senso, vedasi Cass. 16/05/2008 n° 12449, ma anche Cass. 06/07/2006 n° 15383.

Dunque, nella ipotesi di danni causati da una buca stradale, l'approdo interpretativo appena accennato della Corte Regolatrice è nel senso che l'affermazione della responsabilità dell'Ente Pubblico va individuata non solo e non tanto nella estensione territoriale del bene, nelle concrete possibilità di vigilanza su di esso e nel comportamento degli utenti, quanto piuttosto nella tipologia delle cause che hanno provocato il danno: secondo che esse siano intrinseche alla struttura del bene, sì da costituire fattori di rischio conosciuti o conoscibili a priori dal custode (quali, in materia di strade, l'usura o il dissesto del fondo stradale, la presenza di buche, la segnaletica contraddittoria o ingannevole, ecc.); o che si tratti, invece, di situazioni di pericolo estemporaneamente create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione (es. perdita di olio sul manto stradale ad opera della auto che precede quella che sbanda a seguito di detta perdita, improvviso abbandono sulla strada di materiale - vetri e pezzi arrugginiti – idonei a provocare situazioni di pericolo, come anche nei casi, verificatesi, di lancio di sassi dai cavalcavia stradali). Nel secondo caso, l'emergere dell'agente dannoso può considerarsi fortuito, e quindi idoneo ad escludere la responsabilità della P.A., quanto meno finché sia trascorso il tempo ragionevolmente sufficiente perché l'Ente gestore acquisisca conoscenza del pericolo venutosi a creare e possa intervenire per eliminarlo.

In buona sostanza, sulla base di tale indirizzo, ripreso da una chiara decisione del Tribunale di Grosseto (26/03/2015 n° 302 in Responsabilità Civile e Previdenza 2015,3,982) affinché si possa escludere la responsabilità di cui all'art. 2051CC "per i danni causati da beni demaniali, occorre valutare, non solo e non tanto, l'estensione di tali beni e la possibilità di un effettivo controllo degli stessi, quanto piuttosto la causa concreta del danno".

Così, se il danno è determinato da una causa intrinseca alla cosa (esempio vizio di costruzione e manutenzione) allora ne risponde la P.A. (nella fattispecie esaminata, quella del Comune); nel caso in cui, invece, la P.A. provi che il danno sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi (esempio la perdita o l'abbandono sulla pubblica via di materiali vari) non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, essa è liberata dalla responsabilità ex art. 2051 CC".

Tale conclusione ci permette di affrontare, a questo punto, le questioni connesse alle cause di esclusione di detta responsabilità, una volta che il danneggiato abbia dimostrato l'esistenza del rapporto di custodia con il bene che ha provocato il danno, nonché il nesso causale tra res e danno patito, che è un elemento indefettibile per il riconoscimento della responsabilità ex art. 2051 CC, come ribadito anche di recente dalla Corte Regolatrice (v. da ultimo Cass. 18/01/2016 n° 737; Cass. 19/01/2016 n° 872; Cass. 22/02/2016 n° 2029; Cass. 10/02/2016 n° 2686, ma anche le più risalenti Cass. 11/03/2011 n° 5910; Cass. 05/02/2013 n° 2660; Cass. 21/03/2013 n° 1125).

Orbene, una volta che il danneggiato ha assolto ai propri oneri probatori, secondo le coordinate appena esposte, l' Ente Pubblico sarà tenuto a provare - per andare esente da responsabilità del fatto dedotto come causa dell'evento lesivo- il CASO FORTUITO che, come è noto, è riconducibile al fatto di un terzo o dello stesso danneggiato.

Illuminante appare Cass. 06/02/2007 n° 25203, ripresa da ultimo da Cass. 23/02/2016 n° 3502, che ha affermato il principio secondo cui la responsabilità del custode, in base all'art. 2051 CC "è esclusa in tutti i casi in cui l'evento sia imputabile ad un caso fortuito riconducibile al profilo causale dell'evento e, perciò, si sia in presenza di un fattore esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto l'evento, assumendo il carattere del c.d. fortuito autonomo, ovvero quando si versi nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell'evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale, ancorché dipendente dalla condotta colpevole di un terzo o della vittima".

Per quanto riguarda, più in particolare, il fatto colposo del danneggiato, nell'aver concorso a cagionare il danno, vengono in mente i principi della autoresponsabilità che hanno come referente normativo l'art. 1227 CC ; una disposizione che costituisce, per così dire, una frontiera della responsabilità civile, ritenuto applicabile, ex art. 2056 CC, all'illecito aquiliano.

Tale disposizione normativa stabilisce che "se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e le conseguenze che ne sono derivate", così "il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza"; e ciò, a motivo, come è stato detto da autorevole dottrina (Rescigno, Messineo, Pugliatti), della necessità che ogni consociato risenti le conseguenze pregiudizievoli della propria condotta". Necessità che trova, peraltro, il suo referente costituzionale nello stesso principio di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost. e finanche nell'art. 1175 CC, relativo al dovere di comportamento secondo correttezza.

Ad avviso delle stessa dottrina, il fondamento dell'autoresponsabilità risiederebbe nella finalità di prevenzione cui tende l'art. 2043 CC nell'indurre i soggetti a comportarsi in modo diligente per non arrecare danni ai propri simili.

Altra dottrina, più di recente, ha abbandonato tale idea ritenendo che nell'art. 1227 CC debba piuttosto ravvisarsi un corollario del principio della causalità, per cui al danneggiante non può farsi carico quella parte del danno che non è a lui causalmente imputabile.

A tale seconda teoria sembra aderire la giurisprudenza della Cassazione (v. S.U. 11/11/2011 n° 24406), la quale ha anche precisato che, proprio in ossequio ai citati doveri di solidarietà sociale e di conformazione del comportamento secondo correttezza, la colpa del danneggiato sussiste non solo in ipotesi di violazione di un obbligo giuridico, ma anche nella violazione della norma comportamentale di diligenza, sotto il profilo della colpa generica.

Avviandoci a conclusione, va ricordato che i casi più frequenti dove si è esclusa la responsabilità della P.A. in questione sono quelli che hanno visto il danneggiato cadere in una buca stradale non segnalata o imbattersi con l'auto in quella invisibile (perché, ad esempio, coperta d'acqua dopo la pioggia) posta nella carreggiata.

Orbene, in molti casi i Giudici hanno escluso la responsabilità del Comune ed in genere delle P.A., perché il danneggiato conosceva la zona (Cass. 09/03/2015 n° 4663; Cass. 22/10/2013 n° 23119) o perché il fatto era avvenuto in pieno giorno e la buca aveva dimensioni tali da essere avvistata ed evitata (Cass. 06/07/2015 n° 13930) o perché la profonda buca, ancorché piena di fogliame e terriccio, si era aperta in un contesto in cui la strada era dissestata e chi era caduto abitava nella zona e quindi era in grado di conoscere lo stato dei luoghi permettendogli una maggiore moderazione nel relativo utilizzo (Tribunale di Milano 03/07/2012 n° 8096 in Red. Giuffré 2012).

In altra sentenza, al conducente di un mezzo veniva negato il risarcimento perché la buca che aveva provocato il sinistro era conosciuta dal medesimo (Cass. 22/10/2013 n° 23919), viceversa riconosciuto ad un altro uomo che si era imbattuto, sempre su una buca stradale non visibile, in quanto ricolma di acqua e non segnalata (Tribunale Torre Annunziata 20/01/2015 n° 227 in Red. Giuffré 2015).

Nello stesso senso vedasi anche Corte di Appello di Venezia 21/02/2014 n° 420, in Red. Giuffré 2014, in un caso in cui ad un pedone, rovinato a terra per la sconnessione del manto stradale, era stato riconosciuto il diritto al risarcimento danni per l'infortunio occorsogli in quanto il luogo era privo di segnalazioni di pericolo o divieto di accesso, che avrebbero dovuto suggerire una condotta di particolare attenzione idonea ad evitare l'evento dannoso.

Per concludere, va rammentato l'importante principio, in merito alla sussistenza del rapporto di custodia, di cui inizialmente si è parlato, che l'obbligo del Comune di svolgere attività di vigilanza e di controllo non viene meno in conseguenza dell'affidamento a terzi del servizio di sorveglianza e di pronto intervento nonché di manutenzione di strade e manufatti stradali in quanto, se non vi è stato il totale trasferimento agli stessi del potere di fatto sulla strada (come ad es. nel caso di chiusura di una via per la predisposizione di determinati lavori), il Comune deve continuare ad esercitare su di essa l'opportuna vigilanza ed i necessari controlli, conservando il dovere di custodia e la correlata responsabilità ex art. 2051 CC (così Tribunale di Roma 14/10/2011 n° 2007 e Tribunale di Bari 22/01/2007 n° 151 in redazione Giuffré rispettivamente 2011 e 2007).

Inoltre, posto che ai sensi dell'art. 14 CdS gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e fluidità della circolazione, provvedono alla loro manutenzione e pulizia, al controllo tecnico della relativa efficienza ed all'apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta, costituisce una certa problematica la individuazione del regime giuridico e, quindi, anche la ipotizzabilità di una responsabilità dell'Ente pubblico per cattiva manutenzione della strada, laddove venga aperta all'uso pubblico una arteria in assenza di una specifica previsione o di un titolo facente capo all'Ente pubblico, così come l'eventuale mancato inserimento delle aree negli elenchi delle pubbliche vie.

Orbene, secondo la giurisprudenza (es. Cass. S.U. 1624/2010 e Consiglio di Stato 1240/2011) sono quattro gli elementi atti a caratterizzare, in ogni caso, la sussistenza della destinazione ad uso pubblico: il passaggio e transito esercitato da una collettività indeterminata di persone; la concreta idoneità dell'area a soddisfare esigenze di interesse generale attraverso il collegamento alla pubblica via, la presenza di pubblici esercizi e strutture pubbliche, nonché la sussistenza di fatti ed atti giuridici idonei a fondare il diritto d'uso da parte della collettività.

Una modalità concreta di costituzione di diritti e di servitù di uso pubblico è data anche dalla c.d. dicatio ad patriam consistente nel comportamento del proprietario del bene che denoti, in modo univoco e continuativo, la volontà di metterlo a disposizione di una comunità di persone per soddisfarne le esigenze uti cives.

Quanto sopra per dire che l'assenza di un titolo non esclude, in presenza di un uso effettivo della strada nei termini anzidetti, la configurabilità dei poteri e doveri del Comune ai sensi degli artt. 823 e 825 CC ed anche, di conseguenza, la possibilità dell'Ente pubblico di essere chiamato a rispondere del danno cagionato per la cattiva manutenzione della strada stessa (cfr Cass. 15/06/1979 n° 3387; Cass. 04/01/2010 n° 7).




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