-  Gasparre Annalisa  -  14/02/2016

MALPRACTICE: OMISSIONI TERAPEUTICHE E NESSO CAUSALE – Cass. pen. 46978/15 – Annalisa GASPARRE

omissioni terapeutiche

-    responsabilità medica per omissione

-    il nodo del nesso causale

 

La vittima subiva trauma da schiacciamento dopo caduta dal trattore. Ricoverato presso il reparto di chirurgia, in un primo momento non appariva grave, tuttavia la situazione si aggravava durante la sera. Gli approfondimenti diagnostici confermavano l'evoluzione negativa. Il giorno seguente le condizioni del paziente peggioravano ulteriormente e veniva disposto il ricovero in rianimazione "ove nella notte si determinò esito letale per grave alterazione della coagulazione cui era seguita insufficienza renale acuta nell'ambito di sindrome da schiacciamento".

Nei confronti dei medici in servizio presso il reparto chirurgia era mosso l'addebito di aver omesso di prestare le cure del caso al paziente ricoverato per sindrome da schiacciamento "e per aver omesso di trasferirlo tempestivamente presso il reparto di rianimazione, così determinando l'insorgenza di una irreversibile insufficienza renale che ne cagionava la morte". Nei confronti dei medici in servizio presso il reparto di rianimazione era elevata l'accusa "di non aver tempestivamente praticato dialisi, così aggravando le condizioni del paziente".

Gli imputati sono stati assolti con sentenza confermata dalla Corte d'appello.

Il primo giudice, pur dando atto delle omissioni terapeutiche, evidenzia che non sia chiaro quale sia stato "il momento di insorgenza della sindrome da schiacciamento e soprattutto non vi sia prova certa dell'esito salvifico di iniziative appropriate e tempestive. Gli esperti hanno infatti posto in luce che circa il 22% di pazienti in casi del genere non sopravvive alla sindrome e che nel caso di specie il quadro clinico ebbe una rapida evoluzione nonostante il trattamento dialitico. In particolare la dialisi precoce non è in grado di ridurre la mortalità in modo statisticamente significativo". In ogni caso, per il Tribunale, riguardo ai sanitari del reparto di rianimazione alcun addebito poteva essere loro mosso, perché il paziente vi giunse "in condizione di grave compromissione degli indici vitali".

Disposta nuova perizia collegiale, la Corte d"appello condivideva la valutazione del primo giudice, evidenziando che "il trattamento farmacologico presso il reparto di chirurgia, volto a correggere l'anuria con somministrazione di plasma, mannitolo, carbonati e diuretici fu inizialmente corretto".

Pur a fronte di inadeguatezze e negligenze da parte dei sanitari ("consistite soprattutto nel fatto che gli esami ematochimici e la consulenza nefrologica volte a verificare la possibile insorgenza di complicanze ebbero luogo con qualche ritardo"), non ritiene che la pur doverosa attività diagnostica avrebbe potuto "consentire di accertare prima la insorgenza della sindrome che, peraltro, non è certo potesse essere comunque efficacemente fronteggiata, atteso che neppure una dialisi precoce ha una sicura incidenza sulla mortalità. In conclusione viene condiviso l'apprezzamento del primo giudice in ordine alla mancanza di prova certa del nesso causale; anche se l'approccio clinico rigoroso avrebbe dovuto consigliare alcune misure descritte dal golden standard delle linee guida".

Ricorre per cassazione la parte civile assumendo il travisamento della prova.

A giudizio della Cassazione, la sentenza impugnata non presenta vizi logici né si nega l"inadeguatezza della condotta dei terapeuti. E tuttavia non vi è "sicura dimostrazione del nesso eziologico": si valorizza il fatto che "anche una terapia appropriata e tempestiva non avrebbe evitato l'evento letale alla stregua del canone di ragionevole certezza richiesto anche nell'ambito della causalità omissiva".

 

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Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-11-2015) 26-11-2015, n. 46978 - Pres. Brusco, Rel. Blaiotta

 1. Il Tribunale di Chieti, con sentenza del 22 luglio 2007, ha assolto gli imputati dal reato di omicidio colposo in danno di D. B.E., perchè il fatto non sussiste. La sentenza è stata confermata dalla Corte d'appello di L'Aquila con sentenza del 9 ottobre 2013 a seguito di impugnazioni del Procuratore della Repubblica, della parte civile e della difesa di T..

2.Nei confronti di T., R., V., M., Tr., medici in servizio presso il reparto chirurgia dell'ospedale di (OMISSIS) è stato mosso l'addebito di aver omesso di prestare le cure del caso al paziente ricoverato per sindrome da schiacciamento, e per aver omesso di trasferirlo tempestivamente presso il reparto di rianimazione, così determinando l'insorgenza di una irreversibile insufficienza renale che ne cagionava la morte.

Nei confronti di D. e To. medici in servizio presso il reparto di rianimazione del medesimo nosocomio, è stata elevata l'accusa di non aver tempestivamente praticato dialisi, così aggravando le condizioni del paziente.

L'evento si è verificato l'(OMISSIS).

3.Ricorre per cassazione la parte civile.

3.1. Si assume che il giudizio è affetto da travisamento della prova. Si è ritenuto che presso il reparto di chirurgia il paziente venne trattato in ossequio alle linee guida con l'adozione di una corretta terapia volta a correggere l'anuria. In realtà non solo il contenuto delle linee guida è stato travisato, ma non si è considerato che nessuna terapia venne praticata fino al giorno successivo al ricovero quando le condizioni erano ormai precipitate.

In particolare dalla consulenza dell'imputato T. emerge che avrebbe dovuto essere praticata infusione di cristalloidi che invece non ebbe luogo. I primi esami ematochimici vennero compiuti tardivamente. Inoltre il valore di CPK era allarmante ed un suo tempestivo monitoraggio sarebbe stato essenziale. Del resto la Corte d'appello ha dato conto di inadeguatezze e negligenze dei sanitari ma non ne ha tratto le necessarie conclusioni quanto al nesso causale.

3.2. La Corte, inoltre non ha preso in esame la consulenza tecnica esperita nel processo civile promosso da alcuni familiari della vittima. Vi si evidenziava che i sanitari non presero in considerazione la possibilità che si fosse in presenza di Crush syndrome che si era invece conclamata. Ciò implica nullità della sentenza.

4. L'imputato T. ha presentato un atto denominato controricorso a seguito della notifica dell'atto di ricorso per cassazione della parte civile, depositato il 18 marzo 2014. Si richiede la reiezione dell'impugnazione.

3. Il ricorso è infondato.

La sentenza sintetizza la vicenda. Il D.B. subì trauma da schiacciamento dopo caduta dal trattore; fu ricoverato presso il reparto di chirurgia ove, alle prime, la sua situazione non apparve grave; nella serata il quadro si andò aggravando; vennero eseguiti approfondimenti diagnostici che confermarono l'evoluzione negativa;

il giorno seguente la condizione del degente andò ulteriormente peggiorando e fu disposto il ricovero in rianimazione ove nella notte si determinò esito letale per grave alterazione della coagulazione cui era seguita insufficienza renale acuta nell'ambito di sindrome da schiacciamento.

Il primo giudice ha ritenuto che pure a fronte di indubbie omissioni terapeutiche, non sia chiaro il momento di insorgenza della sindrome da schiacciamento e soprattutto non vi sia prova certa dell'esito salvifico di iniziative appropriate e tempestive. Gli esperti hanno infatti posto in luce che circa il 22% di pazienti in casi del genere non sopravvive alla sindrome e che nel caso di specie il quadro clinico ebbe una rapida evoluzione nonostante il trattamento dialitico. In particolare la dialisi precoce non è in grado di ridurre la mortalità in modo statisticamente significativo. Lo stesso giudice ha comunque ritenuto che nessun addebito potesse essere mosso ai sanitari del reparto di rianimazione ove il paziente giunse in condizione di grave compromissione degli indici vitali.

La Corte d'appello condivide tale valutazione a seguito di nuova perizia collegiale. Si da atto che la nuova indagine tecnica si è fatta carico di esaminare tutti gli elaborati precedenti e consente di ritenere l'inesistenza di profili di responsabilità a carico degli imputati. Il trattamento farmacologico presso il reparto di chirurgia, volto a correggere l'anuria con somministrazione di plasma, mannitolo, carbonati e diuretici fu inizialmente corretto.

Tuttavia condividendo le conclusioni dei periti, si considera altresì che nella condotta dei sanitari sono riscontrabili inadeguatezze e negligenze consistite soprattutto nel fatto che gli esami ematochimici e la consulenza nefrologica volte a verificare la possibile insorgenza di complicanze ebbero luogo con qualche ritardo.

Tuttavia tale pur doverosa attività diagnostica non avrebbe potuto consentire di accertare prima la insorgenza della sindrome che, peraltro, non è certo potesse essere comunque efficacemente fronteggiata, atteso che neppure una dialisi precoce ha una sicura incidenza sulla mortalità. In conclusione viene condiviso l'apprezzamento del primo giudice in ordine alla mancanza di prova certa del nesso causale; anche se l'approccio clinico rigoroso avrebbe dovuto consigliare alcune misure descritte dal golden standard delle linee guida. La prima sentenza deve essere quindi confermata anche in relazione alla formula assolutoria. In particolare l'incertezza circa l'ora di ingresso del paziente nel reparto di chirurgia non consente una valutazione piena della condotta del primo terapeuta sia in termini accusatori che difensivi.

4. L'impugnazione non si confronta con tale argomentazione che risulta basata su acquisizioni di significativo rilievo, lette in aderenza ai principi che regolano la materia e senza che siano ravvisabili vizi logici.

Infatti, contrariamente a quanto dedotto, la pronunzia pone in luce che la condotta dei terapeuti non fu del tutto adeguata. Il punto dirimente del processo tuttavia viene correttamente individuato, sulla base delle valutazioni degli esperti, sulla assenza della sicura dimostrazione del nesso eziologico. Infatti, anche una terapia appropriata e tempestiva non avrebbe evitato l'evento letale alla stregua del canone di ragionevole certezza richiesto anche nell'ambito della causalità omissiva.

Pure priva di rilievo è la deduzione in ordine alla mancata valutazione della consulenza medica esperita nel processo civile.

Infatti, lo stesso il ricorso da atto che il documento in questione è stato valutato dai periti. D'altra parte, in ogni caso, la tesi del consulente trova esplicita, razionale risposta nella parte della sentenza in cui si esclude, come si è sopra esposto, l'esistenza del nesso causale.

Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

Per completezza va aggiunto che l'atto presentato dal T. e denominato "controricorso" costituisce in realtà una mera memoria, come ritenuto dalla costante condivisa giurisprudenza di questa Corte; non essendo l'istituto del ricorso incidentale previsto nel giudizio di legittimità (da ultimo Rv. 263397).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2015.

 

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2015




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