-  Rossi Stefano  -  16/04/2012

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA E SCRIMINANTE CULTURALE - Cass. pen., 12089/2012

 Un tema che con sempre maggiore frequenza si evidenzia nei dibattiti giudiziari e dottrinali ed in ambito socio-politico, è quello che concerne il complesso e controverso rapporto tra diritto e cultura, specialmente quando si tratta dell"universo culturale di soggetti che vengono da altri continenti.

 Con il termine di cultura, nel senso che a noi interessa, si attua il rinvio a quell"insieme di rappresentazioni, valori, convinzioni, regole, prassi, riti, miti e destini che si riferiscono ad un gruppo umano storicamente determinato dalla comunanza di lingua, patrimonio ideale ed ideativo e di origini. In questo senso la cultura, così come intesa, concorre a delineare e scandire i ritmi di una comunità, al mantenimento dei legami sociali e psicologici dei consociati e, in una certa misura, ad orientare i loro agiti.

 E", in specie, nell"ambito dei rapporti intrafamiliari – legati all"affettività, alla sessualità ed alla organizzazione di base del vivere umano - che si sviluppa in maniera spesso conflittuale quel rapporto tra cultura di origine del migrante e diritto/ordinamento del paese d"immigrazione.

 Ed infatti è affrontando le fattispecie criminose riconducibili al"universo familiare che la giurisprudenza di merito e di legittimità ha elaborato un orientamento univoco, volto a rigettare le esimenti culturali, riaffermando, come universalmente efficaci, i principi di dignità, eguaglianza e laicità.

 Si può richiamare, in tal senso, una breve rassegna sulle sentenze di Cassazione significative in materia di maltrattamenti in famiglia che segnano una linea di demarcazione rispetto all"affermazione dei cultural defenses.

 Sono state individuate cinque sentenze:

 Cassazione penale, sezione VI, 20 ottobre 1999, n. 3398, la quale rappresenta in qualche modo un leading precedent di legittimità in materia. In essa si respinge il ricorso dell"imputato (di cittadinanza albanese) sulla considerazione in base alla quale la condotta dell"art. 572 c.p., non possa essere scriminata dal consenso dell"avente diritto della persona offesa: in sostanza che moglie e figli non possano acconsentire efficacemente, escludendo la punibilità dell"agente, a subire maltrattamenti.

 Cassazione penale, sezione VI, 8 novembre 2002, n. 55, rigetta il ricorso dell"imputato dell"art. 572 c.p. (cittadino marocchino) perché l"elemento soggettivo (il dolo) del reato di maltrattamenti non può essere escluso dalla sua alterità culturale.

 Cassazione penale, sezione III, 26 ottobre 2006, n. 2841, si inserisce nell"avvenuta ricostruzione di una complessa fattispecie incentrata sugli artt. 600, I e III comma c.p., 600 sexies c.p. e 572 c.p. Dalle motivazioni emerge, tra l"altro, come la pratica del mangel (ossìa l"utilizzo coatto dei minori nell"accattonaggio, tipico delle usanze Rom) non possa essere scriminata dalle cause di giustificazione del consenso dell"avente diritto (art. 50 c.p.) e dell"esercizio del diritto dei genitori ad educare i figli secondo tradizione (art. 51 c.p.).

 Cassazione penale, sezione III, 26 giugno 2007, n. 34909, presenta un capo di imputazione diverso da quello dell"art. 572 c.p., ma fornisce la possibilità di inserire la violenza sessuale di cui all"art. 609 bis c.p. nell"ambito più vasto dei rapporti coniugali agiti secondo modalità culturali non conformi. Si trattò in realtà di una pluralità di rapporti sessuali intrattenuti con la costrizione da parte del marito (cittadino marocchino), con la moglie, anch"ella marocchina. Anche in questo caso, connotato da notevole gravità, la Corte ha respinto le difese fondate sull"ignoranza della legge italiana (art. 5 c.p.) che non consente, nell"ambito dei rapporti coniugali, la violenza, neppure quando ritenuta lecita, come mezzo di espressione della sessualità.

 L"ultima sentenza in rassegna è la Cassazione penale, sezione VI, 16 dicembre 2008, n. 46300. Bisogna premettere che le motivazioni della pronuncia danno conto in modo avvertito e sensibile del problema dei cultural crimes e cercano di fissare alcune linee guida per i giudizi che vedono imputato colui che abbia agito su spinte, motivazioni od abitudini culturali.

 In particolare, in quest"ultima pronuncia, si segnala come le situazioni oggetto dei diversi procedimenti penali evochino il ben noto fenomeno dei "reati culturali" che la dottrina ha definito come il frutto di un conflitto normativo, suggestivamente espresso con il termine di "interlegalità" intesa come condizione di chi, dovendo operare una scelta, è costretto a fare riferimento ad un quadro articolato di norme, contemporaneamente vigenti ed interagenti tra sistemi giuridici diversi.

 Siffatta realtà ha determinato nei vari Stati, interessati da massicci flussi migratori, due diversificate prospettive di multiculturalismo. La prima, di tipo "assimilazionista", persegue l'inserimento dello straniero nel tessuto nazionale ed esige come contropartita una sostanziale rinuncia alle sue radici etnico-culturali; la seconda invece, orientata su protocolli di "integrazione-inclusione" (simbolica e pratica), è tendenzialmente disposta ad accettare le richieste identitarie ed è sensibile alle specificità culturali "altre".

 In tale ultimo modello, fondato su logiche multirelazionali e moduli di "coapprendimento evolutivo", il risultato che viene prospettato come realizzabile è quello di una società politica (priva di identità culturale dominante o maggioritaria) costituita da identità culturali molteplici, con eguale diritto di riconoscimento.

E' del tutto evidente che entrambe le prospettive, nel nostro sistema penale, in tanto possono attuarsi se e nella misura in cui non contrastino con i principi cardine del nostro ordinamento, anche di rango costituzionale, in tema di famiglia, rapporti interpersonali di coppia ivi compresa l'interazione sessuale che nel nostro sistema è stata rigidamente ed innovativamente regolata dalla legge n. 66 del 1996.

 Sul piano pratico, gli esperti di filosofia e sociologia del diritto hanno osservato come i paesi europei, investiti da fenomeni migratori abbiano di fatto perseguito una politica "mistilinea", più o meno assimilazionista, con sostanziale richiesta al "non nativo" di rinuncia alla sua specificità culturale. Per l'Italia, oggi, appare decisamente "proimmigrato" (e quindi "integrazionista-inclusionista"), la previsione della configurabilita' della circostanza aggravante (stabilita dall'art. 3, comma primo, del D.L 26 aprile 1993 n. 122, conv. con modif. in legge 25 giugno 1993 n. 205) della "finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso", mentre è invece di segno culturale decisamente contrario e "assimilazionista" la norma sulla repressione penale dell'infibulazione, stabilita dall'art.583 bis C.P. (art.6.1 legge 9 gennaio 2006 n.7),  nonché la norma sulla bigamia (art.556 Cod. Pen.) in tema di delitti contro il matrimonio .

 Tuttavia, al di là di tali nozioni, di inquadramento socio-culturale e storico del fenomeno, anche per i reati culturali o culturalmente orientati, il giudice non può sottrarsi al suo compito naturale -come sembra pretendere il ricorrente- di rendere imparziale giustizia con le norme positive vigenti, "caso per caso", "situazione per situazione", assicurando ad un tempo:

 a) tutela alle vittime (irrilevante l'eventuale loro consenso alla lesione di diritti indisponibili: cfr. Cass. Penale sez.VI, 3398/1999, Rv. 215158, Bajarami);

b) garanzie agli accusati, in punto di rigore nella ricerca della verità e nell'applicazione delle norme;

e) e infine, a responsabilità accertata, personalizzazione della condanna (Corte Costituzionale, 253/2003), con una sanzione che va ricercata ed individuata nel rispetto del principio di "legalità delle pene", sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost., atteso che tale norma costituzionale ha dato forma ad un sistema in cui l'attuazione di una riparatrice giustizia distributiva esige la differenziazione più che l'uniformità (Corte Costituzionale n.50/1980 Num. mass.: 0009478; Sent. n.299/1992).

 In tale ottica, il ruolo di mediatore culturale che la dottrina attribuisce al giudice penale, non può mai attuarsi -come richiesto nel ricorso- al di fuori o contro le regole che, nel nostro sistema, fissano i limiti della condotta consentita ed i profili soggettivi che presiedono ai comportamenti, che integrano ipotesi di reato, nella cornice della irrilevanza della "ignoranza juris", pur letta nell'alveo interpretativo della Corte delle leggi.

 L'assunto difensivo, secondo cui (ferma la consapevolezza della illiceità della condotta, secondo le regole dello Stato di residenza) l'elemento soggettivo del delitto de quo sarebbe escluso dal concetto che l'imputato, quale cittadino di religione musulmana, ha della convivenza familiare e delle potestà anche maritali, a lui spettanti quale capo-famiglia (concetto abbondantemente differente dal modello e dalla concezione corrente nello Stato italiano), non è in alcun modo accoglibile, in quanto si pone in assoluto contrasto con le norme cardine che informano e stanno a base dell'ordinamento giuridico italiano e della regolamentazione concreta dei rapporti interpersonali.

 Vanno in proposito adesivamente richiamati i principi costituzionali dettati: dall'art. 2, attinenti alla garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo (ai quali appartiene indubbiamente quello relativo all'integrità fisica e la libertà sessuale), sia come singolo sia nelle formazioni sociali (e fra esse è da ascrivere con certezza la famiglia); dall'art. 3, relativi alla pari dignità sociale, alla eguaglianza senza distinzione di sesso e al compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (cfr. in termini: Cass. Sez. VI, 20 ottobre 1999, Bajrami). Tali principi costituiscono infatti uno sbarramento invalicabile contro l'introduzione, di diritto e di fatto, nella società civile di consuetudini, prassi, costumi che si propongono come "antistorici" a fronte dei risultati ottenuti, nel corso dei secoli, per realizzare l'affermazione dei diritti inviolabili della persona, cittadino o straniero.

  

Per approfondimenti

BARDI M., Le difese culturali ed i maltrattamenti in famiglia: stato della giurisprudenza e prospettive, in www.psicologiagiuridica.com

DE MAGLIE C., Multiculturalismo e diritto penale. Il caso americano, in M. BERTOLINO, G. FORTI (a cura di), Scritti per Federico Stella, Napoli, 2007.

DE MAGLIE C., Premesse ad uno studio su società multiculturali e diritto penale, in W. HASSEMER, E. KEMPF, S. MOCCIA (A CURA DI), In dubio pro libertate. Festschrift für Klaus Volk zum 65. Geburtstag, München, 2009, 129-147.

DE MAGLIE C., Società multiculturali e diritto penale: la cultural defense, in Scritti in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E. DOLCINI, C. E. PALIERO, Milano, 2006, vol. I, 216.

 




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