-  Mazzon Riccardo  -  23/03/2016

MANIFESTAZIONI DEL PRINCIPIO DI LEGALITA': IL SOTTOPRINCIPIO DELL'IRRETROATTIVITA' - Riccardo MAZZON

Fondamento del principio di legalità è considerato il sottoprincipio dell"irretroattività, con fonti, garanti della libertà personale, risalenti non solo alla Costituzione; la successione delle leggi penali, l'irretroattività e la retroattività della norma più favorevole hanno la loro ratio nei principi di legalità e di uguaglianza: si pensi anche al problema dei decreti legge non convertiti (in generale e in relazione ai fatti pregressi, ai fatti concomitanti e alla conversione con emendamenti) e a quello delle leggi penali dichiarate incostituzionali.

Il principio di irretroattività, corollario del principio di legalità, è recepito anche, all"art. 7, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell"uomo e delle libertà fondamentali del 4.11.1950, secondo cui "nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che al momento in cui fu commessa non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale" – per rilevanza e confronto in ambito civile, cfr., in particolare, capitolo II del volume: "Responsabilità e risarcimento del danno da circolazione stradale" - Riccardo Mazzon, Rimini 2014 -.

Non può, del pari,

"essere inflitta alcuna pena superiore a quella che era applicabile al momento in cui il reato era stato commesso..." (Art. 7, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell"uomo).

Tale principio fa divieto di applicare la legge penale a fatti commessi prima della sua entrata in vigore; è stabilito, come criterio generale, dall"art. 11 disp. prel. c.c., ma è sancito a livello costituzionale, solamente per le leggi penali, dall"art. 25, 2° co. il quale stabilisce che "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso".

Al di fuori della materia penale, il rispetto del principio di irretroattività, enunciato dall"art. 11 disp. prel. c.c., viene lasciato alla prudente valutazione del legislatore; nondimeno la Corte costituzionale, sul punto, avverte che il principio di irretroattività costituisce un principio generale del nostro ordinamento e, se pur non elevato, fuori della materia penale, a dignità costituzionale, rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema a cui, salvo un"effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio

"cardine della civile convivenza e della tranquillità dei cittadini" (Corte cost., 4 aprile 1990, n. 155, RGEnel, 1991, 446).

Evidentemente, tale presa di posizione del legislatore costituente rappresenta la migliore riprova della matrice liberal-garantistica del principio di irretroattività, quale principio ispirato alla garanzia della libertà personale del cittadino nei confronti dei detentori del potere legislativo.

L"irretroattività, proprio per la sua funzione garantistica, si riferisce esclusivamente alle norme incriminatici o comunque sfavorevoli.

L"art. 25, 2° co., Cost., infatti, nel prescrivere che nessuno può essere punito in virtù di una legge non ancora entrata in vigore al momento del fatto, non esclude che, retroattivamente, possa essere applicato al reo un regime penale di maggior favore o che in forza di una legge successiva possa essere disposta la sua non punibilità:

"deve affermarsi la natura innovativa e retroattiva della l.r.. n.12/97, Calabria, che ha modificato il meccanismo di calcolo dei contributi concessi alle aziende esercenti i servizi di trasporto pubblico locale; in particolare, in forza di tale legge, i finanziamenti regionali sono parametrati ai costi e ricavi effettivi, come dichiarati negli stessi bilanci delle imprese concessionarie del trasporto pubblico locale, anziché ai costi medi sopportati dalle stesse imprese. Tale retroattività è conforme a Costituzione nella quale il principio di irretroattività della legge è stato costituzionalizzato solo con riferimento alla materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Pertanto sia il legislatore statale che quello regionale possono emanare fuori della materia penale norme legislative alle quali può essere attribuita efficacia retroattiva" (Consiglio di Stato, sez. V, 09/04/2013, n. 1932, Soc. Aut. La Valle S.r.l. c. Reg. Calabria, dejure.it 2013; cfr. anche Cass. civ., sez. I, 28 settembre 2005, n. 18955, MGC, 2005, 6).

La disciplina della successione delle leggi penali presenta dei connotati del tutto particolari, che la differenziano da quella vigente negli altri rami dell"ordinamento: solo per le leggi penali, infatti, il principio di irretroattività, che fa divieto di applicare la legge penale a fatti commessi prima della sua entrata in vigore, è sancito a livello costituzionale dall"art. 25, 2° co. il quale stabilisce "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso".

Il principio in esame, completato dal principio di non ultrattività, per il quale la legge non si applica ai fatti commessi dopo la sua estinzione, delimita la validità temporale della legge penale e permette di risalire al generale principio di attualità della legge penale (tempus regit actum), per cui la validità di una legge penale è circoscritta al tempo in cui questa è in vigore.

A livello di legislazione ordinaria in materia penale, il principio di irretroattività trova riconoscimento e articolata disciplina nell"art. 2 c.p., il quale sancisce l"irretroattività relativa della legge penale: mentre il 1° co. ribadisce l"irretroattività della norma penale incriminatrice, il 2° co. e l"ex 3° (oggi 4°) appaiono ispirati al diverso principio della retroattività di una eventuale norma più favorevole, successivamente emanata.

Il contrasto fra il principio di irretroattività di carattere (apparentemente) assoluto sancito dalla Costituzione ed il principio della retroattività della legge più favorevole al reo previsto dal codice penale è solamente apparente e sussiste soltanto sul piano formale.

La ratio sottesa al disposto codicistico è infatti identica a quella che giustifica il riconoscimento costituzionale del principio di irretroattività: nell"un caso e nell"altro l"ordinamento mira a garantire al singolo la libertà, o comunque maggiori spazi di libertà.

Il principio di irretroattività, infatti, non si fonda esclusivamente sull"esigenza di certezza giuridica e predeterminazione del diritto, ma sul principio garantista del favor libertatis, secondo il quale il cittadino non potrà essere sottoposto ad un trattamento più severo di quello previsto al momento del fatto costituente reato: la retroattività della legge più favorevole, dunque, non contrasta con il principio di irretroattività, ma assieme a questo è espressione del superiore principio di libertà.

In ogni caso, il principio di retroattività della legge più favorevole al reo assume rilevanza costituzionale in relazione al principio di eguaglianza, sancito dall"art. 3 Cost., sotto il profilo di una parità sostanziale di trattamento di fronte alla commissione di un fatto che l"ordinamento sanziona in modo più mite o addirittura considera penalmente lecito: non sarebbe infatti ragionevole continuare a punire (o punire più gravemente) un soggetto per un fatto che chiunque può impunemente commettere (o commettere subendo una pena meno grave) nel momento stesso in cui il primo subisce la condanna o i suoi effetti.

Alla luce di quanto sopra esposto, dunque, si può affermare che, attraverso l"art. 25, 2° co., Cost., risulta costituzionalizzato non solo il principio di irretroattività, sancito dal 1° co. dell"art. 2 c.p., ma anche quello della retroattività della norma penale più favorevole, stabilito nel 3° co. dell"art. 2 c.p., laddove si esclude che possa applicarsi al reo la legge successiva meno favorevole rispetto a quella in vigore al momento della commissione del fatto.

Alcune perplessità suscita invece la previsione dell"ex 3° (oggi, a seguito dell"introduzione di un nuovo 3° co., 4°) co. dell"art. 2 c.p. che, nel disciplinare la modificazione di incriminazioni, applica la legge più favorevole al reo, ancora in nome di una parità sostanziale di trattamento, ma con il limite del giudicato, nel senso che si applica retroattivamente la lex mitior, sempre che non sia intervenuta una sentenza irrevocabile, nel qual caso la condanna resta ferma.

Al fine di evitare che una qualsiasi modificazione più favorevole della norma comporti il laborioso riesame ed adeguamento di tutte le precedenti condanne, l"estensione del principio dell"intangibilità del giudicato alla successione di leggi penali modificative deroga però al principio di uguaglianza sancito dall"art. 3 Cost.

Altra deroga all"art. 3 Cost. e al principio di retroattività della norma più favorevole è sancita dall"ex 4° (oggi 5°) co. dell"art. 2 c.p. per le leggi temporanee ed eccezionali.

In entrambi i casi è identica la ratio sottesa all"inoperatività dei principi sancito dai precedenti commi dell"art. 2 c.p.: da un lato, è connaturata alle stesse caratteristiche di tali leggi l"applicabilità di un regime diverso da quello reintrodotto nel momento di ritorno alla "normalità"; dall"altro, il riconoscimento del principio del favor rei offrirebbe una comoda scappatoia per commettere violazioni, con la certezza della futura impunità.

L"ult. co. dell"art. 2 c.p. stabiliva che la disciplina della successione di leggi penali si applicasse altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti (Art. 2, ult. co., c.p.).

Nel ricondurre l"ipotesi del decreto-legge non convertito alla comune disciplina della successione delle leggi penali, il Codice Rocco si adeguava all"ordinamento costituzionale allora vigente, secondo il quale gli effetti del decreto non convertito cessavano con efficacia ex nunc, facendo così salvi gli effetti prodotti durante la sua vigenza (l. 100/1926, art. 3).

La suddetta previsione normativa è stata innovata dal legislatore costituente: l"art. 77 Cost. infatti sancisce che i decreti perdono efficacia sin dall"inizio, quindi ex tunc, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione.

Ne consegue che, nell"ipotesi di decreti non convertiti che eventualmente introducano, modifichino o abroghino fattispecie penali preesistenti, viene meno la possibilità stessa di configurare una successione di leggi penali nel tempo e quindi di applicare la disciplina dettata dall"art. 2 c.p.

Peraltro, considerare il decreto non convertito come tamquam non esset e riconfermare il pieno vigore della disciplina legislativa precedentemente vigente colliderebbe con il principio di irretroattività costituzionalmente sancito.

Nel caso di un decreto che abbia abolito un incriminazione, ad esempio, il soggetto che, durante la vigenza del decreto, abbia tenuto un comportamento prima vietato ed attualmente permesso, verrebbe punito in forza di una legge, ristabilita ex tunc nella sua efficacia a seguito della mancata conversione del decreto, che non era in realtà vigente al momento della commissione del fatto.

Una simile soluzione appare inaccettabile di fronte al dettato dell"art. 25, 2° co., Cost. e al principio di irretroattività della legge penale incriminatrice o più sfavorevole.

Per questo motivo, la dottrina dominante è concorde nel rilevare la necessità che, nel rispetto delle esigenze garantistiche del favor libertatis, debba essere applicato il decreto decaduto se, nel raffronto con una precedente disposizione, risulta più favorevole al reo.

"è illegittimo per violazione dell"art. 77, 3° co., Cost., l"art. 2, 5° co., c.p. nella parte in cui rende applicabili le disposizioni di cui al 2° e 3° co. dello stesso articolo ai casi sia di mancata conversione, sia di conversione con emendamenti che implichino mancata conversione in parte qua, del decreto legge recante abolitio criminis ovvero norma penale più favorevole (Corte cost., 22 febbraio 1985, n. 51, FI, 1985, I, 963; CP, 1985, 816; RCP, 1985, 354; CS, 1985, II, 207; GP, 1985, I, 132; RP, 1985, 509; GiC, 1985, I, 238).

Ne consegue che i fatti pregressi restano soggetti alla disciplina vigente al momento della loro commissione, ancorché il decreto ne abbia abolito o modificato la rilevanza, evitando che il reo possa beneficiare del trattamento di maggior favore previsto dal decreto, la cui efficacia non si è mai giuridicamente consolidata.

Ad ogni modo, può accadere che il decreto legge non ancora convertito venga applicato nel corso di un giudizio, cristallizzando la propria disciplina in un giudicato, che può essere travolto solo nel caso in cui si tratti di norme incriminatici (art. 2, 2° co., c.p.), ma che risulterà intangibile nel caso di disposizioni solo modificative (art. 2, 4° co., c.p.).

Per i fatti concomitanti, cioè commessi durante l"apparente vigenza del decreto, non si pone alcun problema nell"ipotesi di un decreto contenente norme incriminatrici o comunque sfavorevoli, dal momento che la mancata conversione ne comporterà la caducazione ex tunc; ad esempio, è stato detto che, una volta decaduto il decreto-legge contemplante un"ipotesi di reato, la condotta illecita posta in essere nel periodo della sua vigenza non può essere più perseguita e sanzionata, a nulla rilevando che la norma che ne prevedeva l"illiceità, sanzionandola penalmente, sia stata reiterata in successivo decreto-legge o che una legge successiva abbia regolamentato i rapporti sorti sulla base di decreti-legge non convertiti,

"stante il divieto di retroattività della legge incriminatrice stabilito dall"art. 25, 2° co., Cost. (Cass. pen., sez. I, 16 dicembre 1997, n. 7058, GP, 1998, II, 510).

Nel diverso caso in cui il decreto abroghi incriminazioni preesistenti o introduca norme più favorevoli, si ritiene, sulla scorta dell"interpretazione dei motivi della sentenza sopraccitata, che debbano essere applicate le norme più favorevoli previste dal decreto, in ossequio al principio di irretroattività della legge penale che risulterebbe altrimenti violato laddove si punisse un fatto che non era reato quando fu commesso (al tempo della vigenza del decreto), o fosse sanzionato in maniera più grave di quanto previsto al tempo della sua commissione.

Nel diverso caso in cui venga convertito un decreto con emendamenti, occorre tener conto del reale contenuto degli stessi e dell"effettiva portata dei mutamenti al testo del decreto: se gli emendamenti consistono nella mancata conversione di una o più norme, valgono le considerazioni sopra svolte; se, viceversa, essi denotano soltanto una modifica del testo originario, peraltro convertito, si verifica un normale caso di successione tra leggi per il quale si applicano le norme generali sancite dall"art. 2 c.p..

La dichiarazione di incostituzionalità di una legge trova la sua disciplina, innanzitutto, nell"art. 136, 1° co., Cost., il quale stabilisce che, quando la Corte dichiara l"illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, le norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione (Art. 136, 1° co., Cost.).

All"indomani dell"entrata in vigore della Costituzione, sembrò prevalere l"interpretazione della suddetta disposizione nel senso che la dichiarazione di incostituzionalità di una norma ne producesse l"inefficacia ex nunc, così rendendo ipotizzabile una successione fra una legge anteriore e una posteriore (abolitrice o modificatrice della prima) successivamente dichiarata incostituzionale.

Tuttavia, una siffatta interpretazione, in un ordinamento dove l"eccezione di incostituzionalità presuppone una concreta rilevanza in un giudizio pendente, avrebbe comportato il venir meno dell"interesse stesso ad adire la Corte costituzionale, qualora l"invalidazione di una legge dichiarata incostituzionale non ne avesse fatto cessare gli effetti anche rispetto ai rapporti maturati antecedentemente alla sentenza di accoglimento.

La l. 11.3.1983, n. 87 ha condotto ad un riesame della questione, disponendo, all"art. 30, 4° co. che quando, in applicazione della norma dichiarata incostituzionale, è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali (Art. 30, 4° co., l. 11.3.1983, n. 87).

In forza di tale disposizione, si ritiene oggi che la dichiarazione di incostituzionalità abbia effetto ex tunc, ragion per cui la legge dichiarata incostituzionale non può trovare applicazione neppure per i fatti compiuti durante la sua vigenza anche in questo caso, analogamente a quanto rilevato per i decreti legge non convertiti, non è possibile ravvisare un fenomeno di successione tra una legge preesistente ed una successiva, poi dichiarata incostituzionale.

Allo stesso modo, quindi, le ragioni che inducono a ritenere prevalente il principio di irretroattività della norma penale più sfavorevole nel caso di decreto legge non convertito, impongono un"identica soluzione nell"ipotesi di una legge dichiarata incostituzionale che, per i fatti commessi durante le sua vigenza, troverà comunque applicazione ove risulti più favorevole al reo rispetto ad una precedente disposizione incriminatrice.




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