-  Mottola Maria Rita  -  23/02/2013

MARTA E MAURO: LA COMPLICITA E L'OSTILITA – Maria Rita MOTTOLA

Venerdì 1° febbraio ho rivisto Marta, entrambe invitate a Reggio Emilia per due giornate di lavoro sui soggetti fragili. Io dovevo coordinare una sessione che si sarebbe tenuta sabato 2 febbraio, lei raccontare la sua storia, la loro storia. Seduta accanto a me mi allunga due pagine scritte a computer e mi chiede se ho voglia di leggere quello che avrebbe detto il giorni dopo. Leggo e cerco di comprendere. La storia è bellissima, una storia di amicizia, un lui e una lei che si incontrano per caso e per caso scoprono affinità elettive, voglia di vivere insieme. Un'amicizia simile ai miti greci, ma Patroclo e Achille erano uomini. Loro invece sono un uomo e una donna, entrambi con grandi debolezze, per il loro passato familiare e per la grave malattia che a poco a poco avrebbe tolto ogni possibilità di movimento e la vista a Mauro. Decidono di vivere insieme una vita in amicizia.

La mattina del sabato dopo la sessione che mi vedeva impegnata, durante la parte finale dei lavori il dott. Arcangelo Dell'Anna ha dato la parola a Marta che, come avevamo pensato insieme, non ha letto ma raccontato. Un fiume calmo e lento di parole per descrivere la sua scelta, la loro scelta, la sua vita, la loro vita. Un fiume che straripava, difficile da fermare. Una parola ho colto e mi è sembrata esemplare: complicità. Subito dopo un attore ha letto le parole di Mauro che la malattia ha tenuto lontano, ma egli era presente con noi (non nella sua fotografia raddoppiata nei grandissimi schermi, no era proprio li con noi evocato da Marta). Belle le parole di Mauro e anche tra le sue ne scelgo una: ostilità.

Io non credo al caso, e per me non è il caso se dal pubblico una acuta spettatrice sollecita la nostra attenzione sull'esistenza anche di un altro soggetto nei rapporti sbagliati e violenti, esiste anche il violento. Attenzione che ci induce a riflettere sulla necessità di capire oltre che punire. Capire prima per evitare, capire, dopo, per educare. Capire che dentro ognuno di noi ci sono fragilità che a volte nascondiamo, vorrei dire coviamo come brace che un giorni si accenderà provocando un incendio. Pericoloso.

E non è il caso se la sera in albergo prima di addormentarmi leggo il libro appena acquistato (non per caso ovviamente) "Se così si può dire", frase che si avvicina all' espressione ebraica kivjaqol che indica il paradosso per cui alla Torah è richiesto di esprimere qualcosa su Dio con il linguaggio umano che è inevitabilmente inadeguato.

Le poche pagine che leggo richiamano i nomi dimenticati di Dio, nomi al femminile.

Questi sono i tre elementi del mio meditare e questa è la mia lettura dei fatti.

 

Non sta a me raccontare la storia di Marta e di Mauro. Ma vorrei appuntare l'attenzione sulle due parole che all'apparenza sono fuori luogo nel loro dire: complicità e ostilità.

Marta, nel dire che tra loro vi è complicità, richiama quella sensazione intensa che avvolge due persone che si intendo, che entrano nelle pieghe dell'anima vicendevolmente, cercando di non ferirsi, che hanno bisogno di poche parole, bastano gesti, inflessioni della voce, silenzi. Complicità vuol dire anche alleanza, bastare l'uno all'altra, condividere . Complicità significa anche aiuto in costruzioni scherzose e perfetta intesa, favore, protezione. In una parola Marta ha espresso la relazione che la lega a Mauro anche perché complicità è reciprocità.

Nelle parole di Mauro appare forte il senso di stupore, mi pare di leggerlo così, nel constatare che gli altri sono ostili alla loro amicizia,al loro desiderio di condivisione, al fastidio che suscita il fatto che loro, uomo e donna, non sono sposati e neppure amanti, sono solo (solo?) amici. Ma perché si è ostili? L'ostilità nasce dalla mancanza di comprensione e di conoscenza, di immedesimazione e amore. Avvicinarsi a Mauro e Marta spaventa perché sembrano così diversi dalla normalità, perché loro sono semplicemente normali. Loro hanno scelto di vivere la loro amicizia, hanno scelto la verità del loro affetto, la difficoltà delle loro fragilità, loro normalmente scelgono tutti i giorni di vivere insieme, anzi di vivere. Esattamente l'opposto della canzone dei Queen I Can't Live With You, esattamente l'opposto di amori amari, di coppie sull'orlo di una crisi di nervi, di indecisioni e di dolore. Marta e Mauro semplicemente vivono giorno per giorno la loro scelta, che in quanto libera si rinnova e quindi li rende forti nella prova, solidali della difficoltà, responsabili l'uno per l'altra.

Una bella storia, una bella amicizia. Potrei fermarmi qui. Ma non voglio.

Il richiamo a chi è fragile e a chi è forte della spettatrice che citavo è importante. In un rapporto, in una relazione, dovremmo riuscire a non escludere le nostre fragilità, a non mascherarle, a non rivestirle di una corazza. Così la fragilità diverrebbe motivo di conforto e di solidarietà, accrescerebbe l'amore e, per così dire, aumenterebbe gli anticorpi necessari ad affrontare la quotidianità.

Marta e Mauro ci ricordano allora che un rapporto di amore come il loro affronta la fragilità, la trasforma in un punto di forza, in energia, in coraggio.

Avevo però detto che il caso (o Altro) mi avevano portato a intravedere una lettura ulteriore della loro storia. Non so se Marta e Mauro siano credenti (certo credono nella loro amicizia e questo basta) e forse quello che andrò a dire recupera incisività proprio se credenti non sono.

Dalle poche pagine che lessi quel venerdì sera vorrei riassumere alcuni passi.

Nelle scritture vi sono molte immagini della capacità di Dio di avvicinarsi all'uomo, di proteggerlo e accoglierlo. Tutte caratteristiche peculiarmente femminili. Dio appare come "uccello che cova", "uccello che stende le ali", "l'uccello che cura i suoi piccoli". La stessa immagine viene riproposta nel Nuovo Testamento "Gerusalemme, Gerusalemme ... quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina raccogli ei pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! (Mt. 23,37 – Lc 13,34). E il salmista recita "io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre. Come un bambino svezzato è l'anima mia" (Sal 131, 2).

Dio ha iniziato a essere Dio nel tempo e non solo nello spazio quando pronunciò la parola Io e divenne anche Tu. Dio è relazione, è il Dio che si relazione all'uomo e chiede all'uomo di relazionarsi a Lui.

Dio creò l'uomo a sua immagine e uomo-donna li creò. "Non si tratta di antropomorfismo, ma di teomorfismo: l'uomo è "immaginato" come Dio" (De Benedetti, 20). E Dio creandoli a sua immagine e somiglianza li creò uomo e donna: ciò non può che significare che Dio è uomo-donna. Egli conserva dentro di sé una identità femminile e maschile.

E allora Marta e Mauro inquietano chi non sa amare o chi ha paura di quell'immagine che è dentro di sé. E allora Marta e Mauro sono il nostro esempio, l'esempio della complementarietà del femminile e del maschile che è tale, "se così di può dire", perché così è in Colui che ci ha creato. Marta e Mauro sono se volete più semplicemente e prosaicamente l'esempio di come costruire una nuova stagione di rapporti uomo-donna, quella complicità che è includente e non esclude, che accudisce ma non spersonalizza, che esalta le differenze per abbeverarsi alla fonte della fantasia e del rinnovamento.

Ho chiesto a una carissima amica Chiara Bertoglio, eccellente pianista e musicologa, di scegliere per noi un brano che potesse interpretare la storia di Marta e di Mauro. Chiara lo ha scelto perché ha la tenerezza di una ninna nanna, di una carezza, insieme alla nostalgia struggente di un grembo di pace e accoglienza. Se lo desiderate potrete ascoltare Impromptu in A♭ major di Schubert, Franz, cliccando questo indirizzo http://imslp.org/wiki/Special:ImagefromIndex/262604  (evidenziare e con il tasto destro cliccare apri link)


Paolo De Benedetti "Se così si può dire" ed. EDB 2013. Il testo tratta questioni cardine dell'ebraismo con la saggezza, la semplicità e l'immensa conoscenza delle scritture del prof. De Benedetti. Da leggere per tutti. Da leggere per capire l'importanza della religione dei nostri fratelli maggiori. Da leggere per ammirare la loro capacità di fare festa e di studiare la Parola. Da leggere per poter rispondere alla domanda "ma tu sei ebreo?", come l'autore fece a una signora che chiedeva se egli era cristiano: "un pochino signora, un pochino".




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