-  Gasparre Annalisa  -  25/10/2015

MATRIMONIO DI COMODO. IL RISVOLTO PENALE - Cass. pen. 41303/15 - Annalisa GASPARRE

- cittadinanza e matrimonio

- immigrazione clandestina

- accettare un matrimonio di comodo con un extracomunitario è favoreggiamento dell'immigrazione clandestina

Di matrimoni "di comodo" abbiamo parlato di recente a proposito del matrimonio simulato di cui è stato chiesto l'annullamento.

Nel caso di specie una cittadina italiana si è sposata con un cittadino extracomunitario: niente di illecito in sé se non fosse che aveva incassato denaro per prestare consenso all'atto. Volontà viziata? No, business. Tramite il matrimonio, l'illegale presenza dello straniero in Italia avrebbe beneficiato della liceità.

Da parte sua, alla donna è stato addebitato il delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, a prescindere dall'entità della somma oggetto del mercimonio.

Senonché la donna non si era affatto arricchita dall'unione e infatti i giudici di merito teorizzano che fosse una vittima del patto illecito. Dopo il matrimonio le condizioni della donna erano precarie e disagiate, viveva all'interno di un monolocale col frigorifero completamente vuoto, tanto che a provvedere al suo sostentamento era una vicina di casa.

Per i giudici di legittimità, invece, pur umanamente condivisibili le conclusioni dei giudici di merito, dal punto di vista giuridico ritengono integrato il reato: la donna ha ricevuto un corrispettivo - seppure modesto - per la celebrazione del matrimonio fittizio, matrimonio finalizzato esclusivamente a consentire all'uomo di ottenere la cittadinanza italiana.

Sul matrimonio simulato, su questa Rivista, 18.9.2015, "MATRIMONIO SIMULATO: IL VINCOLO C'E' LO STESSO SE...(UN CASO REALE)" - Cass. 16221/15

 

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 giugno – 14 ottobre 2015, n. 41303 Presidente Cortese – Relatore Casa

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 3.6.2014, la Corte di Appello di Catania confermava la decisione emessa in data 28.5.2012, con la quale il Tribunale monocratico della sede aveva assolto D.P.C. B.A. dal reato di cui all'art. 12, comma 5, D.L.vo n. 286/98, consistito nell'aver contratto un matrimonio di comodo con il cittadino extracomunitario C.H., favorendone in tal modo la permanenza nel territorio dello Stato, al fine di trarre ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero.

Pur ravvisando la chiara sussistenza dell'elemento oggettivo del reato alla luce del matrimonio fittizio effettivamente contratto dalla D.P. con il cittadino marocchino il 17.4.2008, la Corte territoriale, in piena sintonia con il primo Giudice, sottolineava come l'imputata avesse tratto modestissimi benefici economici dall'accordo concluso con il C. e O.M., il quale appariva il vero artefice dell'illecito (la sua posizione era stata stralciata). La donna, infatti, versava in evidente stato di indigenza e tale situazione non era mutata affatto neppure dopo il matrimonio, avendo gli operanti di P.G. riferito di aver trovato la predetta in condizioni precarie e disagiate, all'interno di un monolocale dove il frigorifero era completamente vuoto, tanto che a provvedere al suo sostentamento era una vicina di casa che saltuariamente le offriva da mangiare.

A fronte di tale situazione, secondo i Giudici di merito non poteva ravvisarsi l'elemento soggettivo del reato in capo all'imputata, dovendosi ritenere che, al contrario di quanto previsto dalla norma - e cioè che l'apparente matrimonio venisse celebrato al fine di trarre ingiusto profitto dalla condizione di illegalità del coniuge - nel caso in questione fosse appunto l'imputata a essere stata indotta all'accordo dall'O. e dal C., i quali, approfittando delle condizioni di estrema indigenza della donna, non le avevano fornito che sporadici ed irrisori contributi economici, tanto da farla apparire come la vera vittima dell'illecito patto.

Mancava, in definitiva, la prova del dolo specifico dei reato, ovvero della consapevolezza e volontà da parte della D.P. di approfittare della condizione d'illegalità del C. per trarne vantaggi economici.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Catania, deducendo inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 12, comma 5, D.L.vo n. 286/98.

Secondo il Procuratore ricorrente, le ragioni umanitarie, che avevano all'evidenza ispirato le due pronunce assolutorie, non potevano prevalere sulla corretta applicazione della legge penale, sussistendo, nel caso di specie, inequivocamente il richiesto quid pluris rispetto al mero favoreggiamento, ovvero il compenso in denaro per la illecita celebrazione di un matrimonio fittizio.

Considerato in diritto

1. II ricorso è fondato.

2. Questa Corte ha già avuto modo di affermare che integra il delitto di favoreggiamento dell'immigrazione illegale degli stranieri nel territorio dello Stato anche il fatto di contrarre, verso corrispettivo in danaro, matrimonio con cittadino extracomunitario presente irregolarmente nel territorio dello Stato, al fine di fargli conseguire la cittadinanza italiana e così di consentirgli di restare in Italia (Sez. 1, n. 34993 del 22/9/2010, P.M. in proc. Ascione, Rv. 248277).

A fronte della incontestata circostanza della ricezione, da parte della ricorrente, di denaro quale corrispettivo legato alla celebrazione del matrimonio fittizio con il C.H., esclusivamente finalizzato a permettere al cittadino extracomunitario illegalmente dimorante nello Stato di ottenere la cittadinanza italiana, deve ritenersi incongrua, ad avviso del Collegio, la motivazione della Corte territoriale laddove ha escluso la sussistenza dell'elemento psicologico del reato per la "modestia" del compensi, essendo innegabile che il pagamento, seppure "modesto", nella specie intervenne solo per la condizione di necessità dello straniero.

3. Dal che discende l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di Catania, che provvederà a eliminare l'incongruenza motivazionale rilevata.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di Catania.




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