-  Anceschi Alessio  -  11/02/2015

MATRIMONIO OMOSESSUALE: LA FAMIGLIA NON ESISTE PER TRADIZIONE, MA PER NATURA - ANCESCHI Alessio

Dal punto di vista filosofico e romantico non mi è difficile pensare che non vi sia legge più potente dell"amore e che senz"altro nessuna legge possa impedire di amare qualcuno.

Tuttavia, da giurista posso affermare con altrettanta sicurezza che il matrimonio non costituisca un mero riconoscimento dell"amore tra due individui, ancorchè tale sentimento sia normalmente (ma non sempre) alla base della scelta di due individui di convogliare a nozze.

Né il codice civile, né alcuna altra legge di rango superiore presuppone , neppure implicitamente, che alla base del matrimonio vi sia l"amore. Peraltro, è senz"altro un bene che la considerazione di tale sentimento, per varie ragioni, rimanga fuori dai codici delle leggi e non venga  insudiciato da dissertazioni giuridiche.

Contrariamente a quanto taluni potrebbero ritenere, il matrimonio non è quindi un mero riconoscimento giuridico di un sentimento affettivo, di un amore appunto, tra due persone.

Se fosse così, dovremmo considerare matrimonio anche quello tra due giovani fidanzati ed indubbiamente non potremmo negare ad una coppia omosessuale di convogliare a nozze. Per la stessa ragione, non potremmo impedire a chiunque si ami, di richiedere al comune un attestato del loro amore.

Ma come si è detto, il matrimonio non è una "patente d"amore".

E" ben saggio ed opportuno per tutti, che lo Stato, la società, la comunità non si interessi al nostro amore, così come ai nostri sentimenti e delle nostre relazioni sentimentali.

La necessità di attribuire rilievo giuridico al matrimonio nasce quindi da un"esigenza sociale poiché solo in virtù di essa, un fatto od un rapporto tra individui assume valenza giuridica. Oltreché in relazione al rapporto al vincolo di coniugio lo stesso dicasi in relazione ai rapporti di parentela od affinità. Il diritto ha interesse a determinarli unicamente per finalità sociali, genericamente riconducibili ad obblighi di solidarietà familiare.

Per tale ragione, solo il rilievo sociale attribuito al matrimonio acquista, storicamente e funzionalmente senso logico agli effetti giuridici. Qual è quindi l"ontologica funzione sociale attribuibile al matrimonio che possa assumere rilievo per la società, se non la procreazione ? D'altronde la stessa etimologia del termine richiama alla "mater" = madre, in quanto progenitrice. La tutela della famiglia unita in matrimonio (ma anche, per estensione, della famiglia "di fatto") è quindi quella della tutela del nucleo originario della società, la famiglia appunto, fondata sulla capacità, reale, presunta od astratta, di procreare figli e quindi tutelarli.

E" vero che, contrariamente al passato, il matrimonio non è più specificamente finalizzato alla procreazione. Di tale finalità ne rimane traccia esclusivamente nel matrimonio religioso, anche se si tratta pur sempre di una traccia che trova il proprio fondamento storico e giuridico fin dagli esordi dell"istituto del matrimonio, risalente ancor prima dell"avvento della Chiesa.

A ben vedere, l'istituto del matrimonio risale agli esordi della società poiché finalizzato a tutelare la famiglia, la quale, a sia volta, integra un concetto previgente addirittura alla costituzione di una società organizzata e quindi precedente addirittura alla legge.

Il concetto di matrimonio, come quello di famiglia è quindi per sua natura eterosessuale.

D'altronde, quale utilità sociale potrebbe avere il riconoscimento di una relazione o di una convivenza omosessuale ? Tale riconoscimento gioverebbe solamente agli interessati, ma non alla collettività od allo Stato, che è ben opportuno (per tutti) che rimanga fuori dalle camere da letto o dalla sfera privata degli individui, se non nei limiti in cui sia necessario tutelare interessi collettivi particolarmente rilevanti come l'incolumità personale, i minori etcc…

Il concetto stesso di "famiglia" e quindi il "matrimonio", quale istituto giuridico posto a garanzia della stessa, non può perciò che essere ricollegato solo ed unicamente alla capacità di procreare e quindi, in sostanza, considerato tale unicamente in rapporto alle unioni eterosessuali.

Per tale ragione, il concetto di famiglia e quindi, conseguentemente quello di matrimonio, non può prescindere dall'unione eterosessuale tra due individui. Ciò per un evidente principio logico e scientifico ancor prima che giuridico, rispondente ai fondamenti della natura.

Il matrimonio costituisce l"istituto giuridico posto a salvaguardia della famiglia naturalmente intesa.

Non si tratta quindi di un concetto "tradizionale" come se si trattasse di una "prassi", di una "moda" o di un "costume", di un qualcosa che è così ma che potrebbe essere anche diversamente, ma di un'equazione tanto semplice quanto tassativa, che non ammette eccezioni perché è così di sua natura.

D'altronde la famiglia non esiste certo per "tradizione" ma per natura. Essa è certamente prodromica al concetto stesso di società, che la legge stessa tende a regolare, se si considera che le prime società si sono formate come aggregazione di clan familiari e che la stessa società non esisterebbe ove non si procreasse.

Potrebbe a questo punto eccepirsi, non senza senso logico, che la procreazione può avvenire anche al di fuori della famiglia unita in matrimonio o comunque convivente e che il matrimonio può sussistere anche tra individui eterosessuali che non abbiano, non possano o non vogliano avere figli.

A questa obiezione è facile rispondere da un lato che il matrimonio tende a tutelare proprio la famiglia unita in matrimonio o comunque convivente e che la tutela della prole ed il concetto stesso di famiglia prescinde dalla convivenza dei genitori e dall"altro, che il matrimonio può comunque sussistere anche laddove vi sia una mera potenzialità, sia astratta o concreta, a procreare.

La possibilità di procreare anche al di là od al di fuori del matrimonio non esclude la natura di tale istituto ed anzi lo giustifica. Il matrimonio nasce infatti come istituto finalizzato a tutelare la relazione eterosessuale in vista della procreazione.

Non a caso, le coppie con prole non unite in matrimonio sono definite "di fatto", siano esse conviventi o meno. Ai genitori naturali sono infatti estesi tutti gli obblighi previsti ai genitori coniugati con la sola esclusione degli obblighi tra i partner. Il matrimonio presuppone infatti pur sempre una scelta consensuale poiché differentemente sarebbe imposto.

Per altri versi, posto che il matrimonio è finalizzato a tutelare l'ambiente familiare idoneo alla procreazione esso può anche anticipare l'evento procreativo.  Si tratta in questo senso di considerare la mera potenzialità alla procreazione.

Alla luce di tali considerazioni, né la considerazione delle coppie con prole non unite in matrimonio (comunque considerabili "famiglie) né la considerazione delle coppie unite in matrimonio senza prole, esclude logicità al discorso che si è fatto o per converso, consente di estendere i concetti di famiglia o di matrimonio a rapporti (anche affettivi) che, per loro natura, non sono idonei alla procreazione.

Và da sé, pertanto che, per sua stessa natura, non può esservi famiglia se non eterosessuale e non può esservi matrimonio se non eterosessuale. Non a caso, vengono definite famiglie "di fatto" quelle che, pur non essendo fondate sul matrimonio, presuppongano la presenza di figli, poiché nessuna utilità sociale viene riconosciuta alla mera convivenza more uxorio in mancanza di figli, neppure laddove fondate su un rapporto affettivo.

Ciò ovviamente non necessariamente impedisce, in astratto, di definire qualcosa di diverso, come "famiglia" o "matrimonio" esattamente come non può essere impedito di definire mela una pera o definire "bianco" il colore che scaturisce dalla totale assenza di luce.Non stupisce né stupirà pertanto, se qualche legislatore abbia definito od intenda definire matrimonio una relazione affettiva tra due persone dello stesso sesso.

La legge, quale espressione del potere, non conosce certo limiti terminologici, così come la capacità di pensiero non conosce limiti alla stoltezza ed il potere limiti all'arroganza.

Né ciò può ritenersi discriminatorio verso qualcuno, quantomeno senza definire discriminatoria la natura.

Ed è pure indubbio che ciò non equivalga ad escludere il rispetto dovuto a qualsiasi persona, a prescindere dal suo orientamento sessuale od il rispetto per i suoi sentimenti, verso chiunque siano rivolti.

Anche in questo caso, infatti, non và confuso il concetto (giuridico) di matrimonio, rilevante in sé esclusivamente poiché avente rilievo sociale, con il mero rapporto affettivo esistente tra due persone, né il concetto (anch"esso giuridico) di famiglia con il mero riconoscimento di un rapporto di convivenza o di un rapporto affettivo.

Né può dirsi che il riconoscimento di un rapporto affettivo tra due persone eterosessuali sia per ciò solo discriminatorio per i rapporti affettivi tra due persone omosessuali e ciò sempre perché il matrimonio non è un mero riconoscimento giuridico di un rapporto affettivo.

Altrettanto non può affermarsi che, quantomeno il nostro ordinamento giuridico, discrimini un rapporto omosessuale posto che, contrariamente al passato, l"atto sessuale di carattere omosessuale, purché consenziente, è ritenuto del tutto lecito (al pari di un analogo atto eterosessuale) e nessuna legge impedisce o limita la convivenza tra omosessuali.

Tornando quindi ai meri rapporti affettivi non vi è quindi nessuna discriminazione tra rapporti eterosessuali ed omosessuali, quantomeno nel nostro ordinamento giuridico.

Nel complesso, il mancato riconoscimento come "matrimonio" di una convivenza o di una relazione omosessuale non è discriminatorio. Risulterebbe piuttosto discriminatorio il contrario, considerando in modo uguale ciò che non è, poiché ciò sarebbe altrettanto ingiusto quanto considerare in modo diverso ciò che è uguale.

Sotto un profilo prettamente politico (e questa è una mia opinione), peraltro, se il fine ultimo del riconoscimento delle unioni omosessuali è semplicemente quello di evitarne la discriminazione, tale fine sarebbe facilmente raggiungibile semplicemente rispettando le persone in quanto tali a prescindere dal loro orientamento sessuale piuttosto che sovvertire il concetto stesso degli istituti familiari, cosa che, peraltro, non può che incentivare atteggiamenti effettivamente discriminatori.

La tesi che sostiene il riconoscimento delle unioni omosessuali è stato spesso ricondotta alla sussistenza di una discriminazione di diritti, in rapporto ai diritti dei coniugi, come tali eterosessuali. Si tratta di una di ricostruzione errata e fuorviante, non soltanto per le ragioni sopra evidenziate bensì anche sotto un profilo strettamente logico giuridico.

Il matrimonio, infatti (ed il punto non è irrilevante) non comporta il riconoscimento di diritti ma a ben vedere esclusivamente l"imposizione di oneri. Gli unici diritti conseguenti al matrimonio sono per loro natura funzionali all"esistenza di obblighi reciproci.

Non si esclude che molte coppie eterosessuali convoglino a nozze senza essere perfettamente consapevoli del fatto che il matrimonio comporti degli obblighi, di quali siano e della loro rilevanza. Ciò tuttavia non esclude l'insorgenza degli obblighi matrimoniali oppure, in senso lato, gli obblighi genitoriali.

Allo stesso modo è fuori discussione che l"istituto matrimoniale abbia perduto, col tempo, molte di quelle prerogative obbligatorie che lo contraddistinguevano in passato, primo fra tutti l"indissolubilità.

Ciò è indubbiamente conseguente a fattori storici, sociali e culturali che hanno comportato una maggiore affermazione dei diritti dell'individuo anche nell'ambito familiare. Affermazione di diritti da valutarsi senza dubbio positivamente, soprattutto per quanto concerne la tutela dei diritti della donna, ma che a lungo andare ha via via abbattuto i fondamenti dell'istituto matrimoniale fino a farne perdere (agli occhi di taluni) i contorni o la funzione istituzionale.

L"approccio al diritto tipico del nostro tempo è d"altronde banalmente improntato alla considerazione dei soli diritti, dimenticando tutto il resto, come se l"uomo fosse oramai un fanciullo goloso che tira la gonna alla mamma davanti alla vetrina dei dolciumi.

Ma la leggerezza dell"animo umano e gli affinamenti dei doveri matrimoniali non escludono il fatto che l"istituto matrimoniale presupponga l"instaurazione di oneri più che il mero riconoscimento di diritti.

Ciò peraltro non stupisce, proprio alla luce del fatto che tale istituto giuridico è teleologicamente orientato proprio a favorire la procreazione e quindi a tutelare la prole.

Risulta facilmente riscontrabile dalla lettura del codice civile che dal matrimonio conseguono esclusivamente obblighi (art. 143 c.c.) e non diritti e che questi ultimi scaturiscono normalmente dallo scioglimento del matrimonio o dalla separazione dei partners, proprio in conseguenza degli obblighi matrimoniali preesistenti e della necessità di tutelare la prole.

L'insorgenza e la natura di tali doveri (fedeltà, assistenza, convivenza) non può che essere spiegata, da un punto di vista storico e concettuale, alle finalità procreativa ed alla tutela della prole, anche laddove quest'ultima non vi sia, ovvero anche quando le esigenze che li determinano siano meramente astratte od indirette.

Fermo restando che la maggior parte dei diritti derivanti dal matrimonio sono ricollegati alla presenza di prole e sono perciò incompatibili con l"unione omosessuale (ad es: assegnazione della casa familiare), gli altri presuppongono comunque la preesistenza di obblighi matrimoniali. A titolo puramente esemplificativo,  il diritto al mantenimento, così come i diritti successori del coniuge, scaturiscono dall"obbligo di collaborazione familiare.

La pretesa di diritti equiparabili a quelli dei coniugi in relazione a rapporti extramatrimoniali  (siano essi eterosessuali od omosessuali) non può quindi ritenersi giustificabile, poiché gli stessi discendono da obblighi che derivano unicamente dal vincolo matrimoniale.

Anche sotto questo profilo, pertanto, non si spiega la critica alla mancata estensione del matrimonio alle unioni omosessuali in termini di violazione di un diritto.

D"altronde, è facilmente intuibile che non vi siano diritti derivanti dal matrimonio che non siano facilmente ottenibili per altra via.

L"assenza di diritti successori in capo al convivente (sia esso eterosessuale od omosessuale) non esclude ed anzi favorisce la possibilità per i conviventi di ricorrere alla successione intestata.

Nessuna norma impedisce ai conviventi di stipulare congiuntamente un contratto di locazione o di acquistare la comproprietà di un bene mobile od immobile, meglio ancora di quanto non sia consentito ai coniugi.

Quasi nessun atto può essere impedito dal rilascio di una procura speciale.

Quanto poi ai diritti verso lo Stato, essi non troverebbero giustificazione se non alla luce del rilievo pubblicistico (collettivo) attribuito alla famiglia, ma in ogni caso, nulla esclude che un legislatore poco saggio possa comunque disporre diversamente.

A questo proposito, occorre osservare che il matrimonio non costituisce un diritto personale, in quanto presuppone, per sua natura, una rapporto tra due individui (rapporto bilaterale) ed ha una specifica finalità e causa giuridica.

Il diritto personale a contrarre matrimonio, riconosciuto come diritto fondamentale dell'individuo (art. 23 par. 2°, conv. New York 19.12.1966, rat. l. 25.10.1977 n. 881; art. 12 conv. Roma 4.11.1950, rat. l. 4.8.1955 n. 848) non può infatti prescindere dalla causa e dalle finalità dell'istituto matrimoniale. Allo stesso modo, in termini spicci, potrebbe affermarsi che la libertà di ciascuno a contrarre trova un preciso limite nella causa e nell'oggetto del contratto, senza la quale non avrebbe alcun senso od alcuna utilità stilupare un contratto.

Il diritto fondamentale a contrarre matrimonio, riconosciuto genericamente a ciascun individuo, trova quindi un preciso limite nelle finalità dell'istituto stesso che è appunto quello di tutelare la famiglia naturale e quindi nel tipo di relazione che vi stà alla base, il quale deve essere per sua natura eterosessuale.

Ancora si richiama la "natura" quale elemento fondante del discorso. In effetti, non può non riconoscersi che il concetto di naturalità avvolge l'intera materia del diritto di famiglia. Così come si parla di naturalità con riferimento al matrimonio, altrettanto essa determina il rapporto di filiazione.

Anche l'adozione, che integra prima di tutto un istituto di tutela dei minori, è incentrato sul fondamento del principio dell'adoptio natura imitatur sia con riferimento al tipo di legame tra gli adottanti che alla differenza d'età tra gli adottanti e gli adottati. Si badi bene che le uniche eccezioni in tal senso, trovano un proprio fondamento logico proprio nella finalità dell'istituto, che è quella della tutela dei minori o più precisamente del diritto del minore ad avere una famiglia. Ove l'eccezione non sia contestualizzata con riferimento alla finalità dell'istituto ed ai suoi limiti sarebbe infatti facilmente possibile elevare un'eccezione a regola, così come d'altronde mettere il carro davanti ai buoi.

Ebbene, appare a tutti inconcepibile che un ventenne possa adottare un diciassettenne, così come che una persona di età inferiore possa adottare una persona più anziana poiché ciò stravolgerebbe del tutto la finalità e la natura (il concetto stesso) dell'adozione. Tali possibilità, peraltro, non sono neppure ammissibili con riferimento all'adozione non legittimante.

Non che non se ne possa ravvisare l'utilità. In una società in cui gli anziani sono spesso abbandonati a sé stessi, potrebbe essere utile prevederne forme di tutela simili (ma non uguali) a quella dei minori. Adottiamo un anziano potrebbe essere un nuovo slogan per una nuova battaglia civile !!!

si tratterebbe tuttavia, al di là della terminologia, di una cosa diversa dall'adozione vera e propria, che, come tale, non può che riguardare i minori o comunque persone di età inferiore. Dovrebbe quindi integrare un altro tipo di istituto giuridico.

Lo stesso dicasi con riferimento al riconoscimento delle unioni omosessuali. Laddove dovesse riconoscersi qualche utilità sociale ricollegata al loro riconoscimento giuridico, dovrebbe essere qualcosa di ontologicamente diverso dal matrimonio.

Fermo restando la possibilità, per il legislatore, di istituire un apposito istituto giuridico, simile ma non coincidente col matrimonio, attraverso il quale poter riconoscersi un qualche effetto giuridico anche alle coppie omosessuali, come a quelle eterosessuali che non vogliano contrarre matrimonio (cosa quest'ultima che a dire il vero avrebbe ancor meno senso logico), del tenore simile ai patti civili di solidarietà previsti dall'ordinamento francese od alle unioni civili registrate, di ispirazione tedesca, il riconoscimento di un vero e proprio matrimonio omosessuale sarebbe del tutto incompatibile con l'istituto del matrimonio.

Tanto varrebbe a questo punto, abolirlo del tutto.

Ma anche laddove si volesse introdurre il matrimonio omosessuale (concetto che appare, per quanto si è detto, una contraddizione in termini) occorrerebbe prima di tutto ricorrere ad una revisione costituzionale.

Il matrimonio omosessuale trova infatti, a parere dello scrivente, un preciso limite costituzionale nell'art. 29 cost. il quale prevede l'ordinamento della famiglia "come società naturale fondata sul matrimonio".

Il requisito della naturalità del matrimonio costituisce quindi anche un preciso limite di carattere costituzionale, senza la cui abolizione non sarebbe possibile istituire il matrimonio omosessuale o comunque rendere costituzionale tale eventuale istituzione.

Anche in tal caso, poi, pur conforme al diritto costituzionale, il matrimonio omosessuale rimarrebbe ugualmente una contraddizione in termini, un'illogicità innaturale ad uso e consumo dell'uomo a cui piaccia giocare col diritto come si trattasse di un balocco per bambini.




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