-  Gasparre Annalisa  -  02/09/2016

Misure cautelari e accudimento del figlio minore – Cass. pen. 14538/16 – Annalisa Gasparre

Un uomo accusato di essere parte di un"associazione mafiosa è il destinatario della misura cautelare della custodia in carcere.

Davanti alla Corte di cassazione ha lamentato che il provvedimento cui è sottoposto non consente di prestare assistenza al figlio di sei anni, non potendo la moglie (e madre del minore) accudirlo per problemi connessi all"attività imprenditoriale da questa esercitata. Ha perciò richiesto la sostituzione della misura con quella, meno grave, degli arresti domiciliari.

Per i giudici, però, l"attività lavorativa svolta dalla moglie dell"indagato non può essere considerata un ostacolo insormontabile, tale da motivare, in modo determinante, la necessità che il padre del minore rimanga presente a casa. In altri termini non sussiste un"assoluta impossibilità per la madre di dedicarsi alla cura del figlio, potendo ricorrere a strutture di assistenza o a familiari.

 

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 23 marzo – 11 aprile 2016, n. 14538 - Presidente Fiandanese – Relatore Pardo

Ritenuto in fatto

1.1 Con ordinanza in data 3 agosto 2015 il Tribunale per il riesame di Palermo rigettava l'appello proposto da T.F. avverso il provvedimento dei G.I.P. dello stesso capoluogo del 16.7.2015 che aveva respinto l'istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere applicata al predetto, indagato dei delitto di cui all'art. 416 bis cod. pen..

1.2 Riteneva il Tribunale della libertà che l'istanza, fondata sull'impossibilità della moglie dell'imputato a dare assistenza al figlio minore di anni sei, non fosse fondata poiché l'attività, lavorativa della donna non equivaleva ad uno stato di impossibilità assoluta, prospettando invece situazioni riconducibili a semplici difficoltà oggettive inidonee ad integrare la condizione di operatività dei divieto di custodia cautelare in carcere.

1.3 Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione il T. deducendo, come motivo unico e cumulativo, la violazione dell'art. 606 lett. b), c) ed e) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 275 e 292 cod. proc. pen., per avere il giudice dei riesame attribuito rilievo alla mera possibilità di avvalersi di strutture esterne o di altri familiari per la cura del minore, senza dare adeguato rilievo alla impossibilità del coniuge di accudire il figlio perché gestore di un'attività di impresa alla stessa riferibile. Doveva pertanto ritenersi che il giudice del riesame aveva motivato in maniera dei tutto assertiva escludendo lo stato di impossibilità assoluta che doveva affermarsi in ragione delle condizioni particolari di detta attività e dell'assenza di rimedi alternativi. Lamentava poi la ritenuta sussistenza di eccezionali esigenze cautelari ai sensi dei comma quarto dell'art. 275 cod. proc. pen. in difetto di specifica motivazione riguardante la posizione dell'istante oltre che l'omessa valutazione del contenuto delle memorie depositate dai propri difensori.

All'udienza del 23 marzo 2016 le parti concludevano come in epigrafe.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.

2.1 Correttamente l'ordinanza impugnata ha richiamato la non applicabilità al caso in esame della particolare disciplina dettata dall'art. 275 quarto comma cod. proc. pen. che riguarda esclusivamente l'assoluta impossibilità per la madre di dedicarsi alla cura dei figlio, tale non essendo lo svolgimento di attività lavorativa sicchè deve escludersi la possibilità di ritenere la sussistenza di circostanze tali da legittimare l'adozione di un differente regime cautelare in ragione della gravità delle accuse elevate a carico del T. (partecipazione ad associazione mafiosa).

2.2 E difatti lo svolgimento di attività lavorativa non può essere fatto rientrare nel parametro normativo richiamato dal ricorrente poiché l'assoluta impossibilità non può rinvenirsi nello svolgimento di detta attività che costituisce sempre una scelta liberamente riconducibile alla volontà personale nel caso di specie operata dalla madre del minore. Peraltro appare corretto il riferimento operato dal giudice del riesame alla possibilità di ricorrere nel caso di specie a strutture di assistenza od a familiari della donna che per converso il ricorrente contesta sulla base di affermazioni meramente assertive e senza allegare elementi specifici sulla base dei quali ritenerne l'impossibilità e ciò avuto anche riguardo all'età del minore che ha quasi compiuto sei anni ed ha anche un fratello adolescente.

Al proposito è stato anche affermato che in tema di misure cautelari personali - ai fini dell'operatività dei divieto di custodia cautelare in carcere nei confronti dell'imputato padre di prole infratreenne - non è censurabile, in sede di legittimità, la decisione con cui il giudice di appello escluda, con motivazione idonea e pertinente, la gravità dell'impedimento richiesto dall'art. 275, comma quarto, cod. proc. pen., considerato che l'attività di lavoro svolta dalla madre non costituisce di per sé ostacolo tale da impedirle di attendere alla cura del minore, anche con l'eventuale aiuto di familiari disponibili o con il ricorso a strutture pubbliche abilitate (Sez. 5, Sentenza n. 27000 del 28/05/2009, Rv. 244485).

2.3 Anche le ulteriori doglianze appaiono infondate poiché avuto riguardo al delitto per cui si procede sussiste la presunzione di adeguatezza della sola custodia carceraria senza che alcun elemento sia stato addotto per giustificarne il superamento; inoltre alcun riferimento specifico viene compiuto circa il contenuto decisivo delle memorie il cui contenuto sarebbe stato omesso dal giudice dei riesame nella sua motivazione sicchè tale profilo di doglianza appare anche privo di specificità.

In conclusione, l'impugnazione deve essere rigettata ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell'art. 94 disp.att. c.p.p..




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