-  Barizza Matteo  -  22/11/2012

MOBBING: SI' AL RISARCIMENTO DEL DANNO ANCHE PER SINGOLI EPISODI – Cass. 18927/2012 – Matteo BARIZZA

(1) La lavoratrice, dipendente di una farmacia, lamenta di aver subito un danno esistenziale e di essere stata costretta al pre-pensionamento a seguito della ripetuta e prolungata condotta vessatoria posta in essere dal proprio datore di lavoro.

(2) Adito il giudice competente, la domanda viene, però, rigettata sia in primo che in secondo grado.

(3) A detta della Corte di Appello, infatti, i comportamenti posti in essere dal datore di lavoro, alcuni dei quali confermati dall"istruttoria testimoniale svolta, apparirebbero inidonei ad essere unificati da una precisa strategia persecutoria posta in essere dai titolari della farmacia per indurre la lavoratrice alle dimissioni, con la conseguenza che il mobbing sarebbe del tutto insussistente, mentre lo stato di depressione ed il tentativo di suicidio posti in essere dalla lavoratrice sarebbero da collegare (al più) alla particolare risposta soggettiva della stessa all'organizzazione del lavoro all'interno della farmacia, ma non all'intento persecutorio (inesistente) del datore di lavoro.

(4) Adita la Suprema Corte, il ragionamento logico-giuridico del giudice di secondo grado non viene, però, confermato.

(5) Secondo i giudici di legittimità, infatti, nella disciplina del rapporto di lavoro il datore di lavoro non solo è contrattualmente obbligato a prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l"integrità fisica e psichica del lavoratore dipendente (ai sensi dell"art. 2087 c.c.), ma deve, altresì, rispettare il generale obbligo di neminem laedere e non deve tenere comportamenti che possano cagionare danni di natura non patrimoniale, configurabili ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i suddetti diritti.

(6) La sezione lavoro afferma, inoltre, che, fra le situazioni potenzialmente dannose e non normativamente tipizzate, rientra anche il mobbing, alla base della cui responsabilità si pone l'art. 2087 c.c., che obbliga il datore di lavoro ad adottare le misure necessarie a tutelare l"integrità psico-fisica e la personalità morale del lavoratore.

(7) Secondo la costante elaborazione giurisprudenziale, ripresa dalla sentenza in commento, per la configurabilità del mobbing devono concorrere i seguenti elementi:

- una serie di comportamenti di carattere persecutorio (illeciti o anche leciti se considerati singolarmente) che, con intento vessatorio, siano stati posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;

- l"evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;

- il nesso eziologico tra la descritte condotte ed il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;

- l"intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi (cfr. Cass. 21 maggio 2011, n. 12048; Cass. 26 marzo 2010, n. 7382).

(8) La Suprema Corte va, però, oltre. Essa afferma, infatti, che se diverse condotte denunciate dal lavoratore non si ricompongano in un unicum e non risultino, pertanto, complessivamente e cumulativamente idonee a destabilizzare l"equilibrio psico-fisico del lavoratore, o a mortificare la sua dignità, ciò non esclude che tali condotte (o alcune di esse), ancorché finalisticamente non accumunate, possano risultare, se esaminate separatamente e distintamente, lesive dei fondamentali diritti del lavoratore, costituzionalmente tutelati, senza che a ciò sia da ostacolo neppure la eventuale originaria prospettazione della domanda giudiziale in termini di danno da mobbing, trattandosi di una operazione di esatta qualificazione giuridica dell"azione che il giudice è tenuto ad effettuare.

(9) Secondo il giudice di legittimità, quindi, la Corte di appello avrebbe errato nel momento in cui ha impostato tutta la propria decisione sulla insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dalla lavoratrice, quando, invece, avrebbe dovuto valutare se alcuni dei comportamenti denunciati – esaminati singolarmente ma sempre in relazione agli altri – pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio, potessero essere considerati vessatori e mortificanti per la ricorrente e, come tali, fossero ascrivibili alla responsabilità del datore di lavoro, il quale ne è tenuto a rispondere nei limiti dei danni a lui imputabili.

* * *

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 ottobre – 5 novembre 2012, n. 18927
Presidente Lamorgese – Relatore Tria

Svolgimento del processo




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film