-  Mazzon Riccardo  -  21/01/2016

MORTE E IDONEITA' SPORTIVA: RESPONSABILITA' DELLA FIGC PER FATTO ILLECITO DEL MEDICO ESTERNO? - Riccardo MAZZON

Cassazione penale, sezione IV, n. 38154 del 5 giugno 2009: responsabilità della F.I.G.C. per il fatto illecito colposamente provocato dalla condotta negligente del medico esterno?

 critiche alla sentenza di merito da parte dei ricorrenti

opinione della Suprema Corte circa la responsabilità del Centro di medicina sportiva e la responsabilità della F.I.G.C.

L'interessante pronuncia in epigrafe identificata emerge da fattispecie processuale nella quale, con sentenza emessa in data 10/10/2005, il Tribunale - in composizione monocratica - di Vigevano condannava, alla pena ritenuta di giustizia, un medico, ritenuto colpevole del reato di omicidio colposo per avere omesso - nella qualità di medico specialista dell'apparato cardiovascolare, legato da rapporto di collaborazione con un Centro di medicina sportiva - di compiere, per mezzo di più approfonditi accertamenti strumentali, quale l'ecocardiogramma, la diagnosi della "cardio - miopatia ipertrofica", di cui era affetto l'atleta, quattordicenne, poi deceduto nel corso di una partita di calcio - cfr., amplius, il volume "Responsabilita' oggettiva e semioggettiva", Riccardo Mazzon, Utet, Torino 2012 -:

"il ragazzo, a partire dal (OMISSIS), si era sottoposto a visite medico - sportive presso il nominato Centro di medicina dello sport, l'ultima delle quali era avvenuta il (OMISSIS). All'esito dell'inadeguata lettura e valutazione da parte del Dott. R. dei tracciati degli elettrocardiogrammi eseguiti in tale occasione dal Ri. a riposo e sotto sforzo, a quest'ultimo era stato rilasciato dal responsabile di quel Centro, Dott. B. F., un certificato di idoneità a praticare attività sportiva, cui era seguito il tesseramento, su richiesta del giovane calciatore, presso la "Federazione Italiana Giuoco Calcio" (F.I.G.C.). La morte del giovane era intervenuta improvvisamente nel corso della predetta partita di calcio e la causa di essa era stata dai periti - settori individuata nella cardio - miopatia ipertrofica, ritenuta una delle ragioni più ineludibili dell'inidoneità all'attività sportiva, la puntuale diagnosi della quale affezione sarebbe stato possibile, secondo i periti, raggiungere da parte del cardiologo Dott. R. con l'uso, doverosamente esigibile, della media diligenza e perizia medica, conseguendone in tal caso l'impedimento, o quanto meno il ritardo, della morte improvvisa del calciatore" Cassazione penale, sez. IV, 05/06/2009, n. 38154 – Rigetta App. Milano, 13 febbraio 2007 CED Cass. pen. 2009, rv 245783.

La condotta del medico, quindi, era ritenuta dal Tribunale tanto connotata da profili di colpa, quanto legata eziologicamente all'evento mortale, sicché di questo evento l'imputato era dal primo giudice dichiarato responsabile penalmente (con condanna alla pena condizionalmente sospesa di mesi 4 di reclusione), nonché, in solido con i responsabili civili "Centro di medicina dello Sport" e "F.I.G.C.", tenuto al risarcimento dei danni e al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva in favore delle parti civili costituite.

Quanto alla responsabilità del Centro di medicina dello sport, la responsabilità di quest'ultimo derivava dal fatto che il medico de quo fosse stato incaricato proprio da tale Centro di valutare, sotto l'aspetto cardiologico, l'idoneità all'attività sportiva del giovane calciatore; pertanto, del fatto illecito, dannoso per i terzi, doveva rispondere indirettamente anche il soggetto che aveva conferito l'incarico all'autore diretto del fatto, potendosi ravvisare a carico della società preponente una "culpa in vigilando":

"da tali premesse conseguiva, per il giudice di primo grado, la responsabilità indiretta della predetta società sotto il profilo extracontrattuale ex art. 2049 c.c. per il fatto del preposto, ed, in aggiunta, quella sotto il profilo contrattuale ex art. 1228 c.c., in forza dell'obbligo del debitore che si avvalga, nell'adempimento dell'obbligazione, dell'opera di terzi ausiliari, di rispondere anche dei fatti colposi di costoro" Cassazione penale, sez. IV, 05/06/2009, n. 38154 – Rigetta App. Milano, 13 febbraio 2007 CED Cass. pen. 2009, rv 245783.

In riferimento, poi, alla posizione della F.I.G.C., la responsabilità indiretta di essa, per il fatto illecito dell'autore diretto di esso era affermata perchè, avendo deciso di avvalersi - ai fini della tutela medico-sportiva degli atleti dilettanti che intendessero accedere al tesseramento - delle prestazioni rese da medici esterni alla sua struttura societaria e, quindi, di accettare, facendola propria, la certificazione di idoneità all'attività sportiva rilasciata da essi, tale Federazione non poteva ritenersi esonerata dall'obbligo della tutela medico-sportiva, facente parte integrante del precipuo scopo del suo Statuto, ma, al contrario, doveva rispondere ex art. 2049 c.c. del fatto illecito colposo addebitabile al preposto a quella prestazione, così come ne doveva rispondere ex art. 1228 c.c., costituendo il fatto illecito dell'ausiliario, dannoso per i terzi, una fattispecie di inadempimento contrattuale, ad essa imputabile, rispetto all'obbligazione di tutela medicosportiva assunta nei confronti dell'atleta dilettante da tesserare.

Dopo che, decidendo sull'appello proposto dall'imputato e dai responsabili civili, anche la Corte di Appello di Milano riteneva (con sentenza resa in data 13/2/2007), di confermare integralmente il giudizio espresso dal giudice di prime cure, i responsabili civili proponevano ricorso per Cassazione, sostenendo, in particolare, per quanto qui d'interesse:

  • l'illegittimità della condanna, quale responsabile civile del Centro di medicina sportiva, in quanto la società, avvalendosi dell'opera del medico imputato - scelto per la sua indubbia affidabilità di cardiologo -, non avrebbe dovuto essere chiamata a rispondere civilmente del suo eventuale errore diagnostico, non avendo poteri di vigilanza sull'operato di un professionista che, come collaboratore della società predetta, prestava, in piena autonomia, la sua opera intellettuale su problemi tecnici di natura medico – specialistica;
  • il difetto logico della motivazione, in quanto la Federcalcio, non potendo svolgere poteri di direzione e di controllo sull'operato del personale medico che compia valutazioni tecnico-sanitarie nell'ambito di rapporti di collaborazione con i presidi sanitari, ai quali la legge demanda il compito di rilasciare certificati di idoneità sanitaria all'esercizio di attività sportiva, non avrebbe potuto essere chiamata a rispondere civilmente dei danni riferibili all'operato di terzi professionisti, che quelle valutazioni compiono in piena autonomia decisionale.
  • il difetto logico di motivazione, in quanto non vi sarebbe stata prova che la Federcalcio avesse rilasciato una delega, ai fini del rilascio dei certificati di idoneità sanitaria, al Centro di medicina sportiva, all'interno del quale prestava la sua opera professionale il medico de quo;
  • il vizio della motivazione in relazione alla affermata responsabilità civile ex art. 2049 c.c., da ritenersi incongruamente richiamata dai giudici di merito, in quanto essa, in ipotesi, concerne la responsabilità dei padroni e dei committenti per i fatti illeciti compiuti dai loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze cui essi sono adibiti, ma, nella fattispecie, sarebbe assente il potere di direzione e vigilanza che spetterebbe al padrone delegante, ovverosia alla Federcalcio;
  • il vizio della motivazione in relazione ritenuta responsabilità contrattuale ex art. 1228 c.c., in quanto, se è corretto dire che alla Federcalcio spetta il potere di ammissione al tesseramento dei calciatori, ai quali per norma statutaria deve assicurare la tutela medicosportiva, non è, invece, razionale sostenere che l'accertamento dell'idoneità fisica di un aspirante al tesseramento competa alla Federcalcio, quando per legge tale accertamento sanitario è assegnato ad altri presidi sanitari e al personale medico - sportivo ivi operante, non legati, come il cardiologo di fiducia del Centro medico, da alcun vincolo contrattuale alla Federcalcio.

Tuttavia, secondo la Suprema Corte, la natura prettamente professionale della prestazione esplicata dal medico, all'interno e con l'ausilio delle strutture tecnico-organizzative del Centro di medicina sportiva, non poteva certo comportare l'esclusione della responsabilità indiretta (ex art. 2049 c.c.) della società che lo aveva preposto all'incarico di valutare, quanto agli aspetti cardiologici, l'idoneità psico-fisica degli aspiranti atleti, in riferimento allo sport prescelto, in quanto asseritamente sprovvista di poteri di direzione e di controllo, sull'opera svolta dal preposto in piena autonomia; trattasi infatti, a detta del Supremo Consesso, di tesi che trova smentita nella posizione tradizionalmente assunta, sul tema, dalla Corte di legittimità, secondo la quale la responsabilità del preponente, anche ai sensi dell'art. 1228 c.c., degli eventuali danni subiti dal paziente che si rivolga ad una struttura sanitaria, sorge per il solo fatto dell'inserimento del medico in detta struttura, senza che assumano rilievo né la continuità dell'incarico affidatogli, né l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, bastando che il comportamento illecito del preposto sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze a lui demandate dall'azienda committente e che il preposto abbia svolto la sua attività sotto il controllo della prima:

"a tale giurisprudenza si è correttamente conformata in sentenza la Corte territoriale, laddove ha spiegato che, sia che si voglia considerare il rapporto del Dott. R. come collaborazione d'opera intellettuale o come rapporto collaborativo di occasionalità necessaria, resta fermo il fatto che il medesimo, per incarico ricevutone, svolgeva la sua attività presso il Centro "Nuova Decathlon s.r.l.", leggendo e valutando i tracciati degli elettrocardiogrammi eseguiti con gli strumenti messi a disposizione dalla struttura sanitaria: la legittimazione della citazione, come responsabile civile della stessa società, trovava piena cittadinanza, pertanto, nel rapporto di committenza con il preposto, sussistente anche solo se quest'ultimo sia inserito, pur se temporaneamente od occasionalmente, nell'organizzazione aziendale della società committente ed abbia commesso il fatto, in quel contesto, per conto e sotto la vigilanza del committente. A tal proposito è corretta l'argomentazione, fatta propria dai giudici di merito, che a quel rapporto di committenza non potesse che conseguire il dovere di vigilanza sul risultato, conforme a coscienza e scienza, della attività del preposto, l'omissione di quel dovere comportando "culpa in vigilando", ascrivibile, come è stato ascritto, ai legali rappresentanti del Centro di medicina sportiva" Cassazione penale, sez. IV, 05/06/2009, n. 38154 – Rigetta App. Milano, 13 febbraio 2007 CED Cass. pen. 2009, rv 245783.

Quanto alle obiezioni contenute nei motivi di ricorso della F.I.G.C. (mirati alla esclusione della ascrivibilità a se medesima di qualsiasi ipotesi di responsabilità civile), anch'esse vengono, dalla Suprema Corte, disattese.

Il Supremo Consesso, innanzitutto, precisa come i giudici di merito abbiano, nella fattispecie, individuato la fonte della legittimazione passiva della F.I.G.C., quale responsabile civile, sotto il duplice profilo della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, con entrambi i profili ricondotti alla circostanza di che il minore fosse tesserato alla Federcalcio ed, al momento del decesso, stesse disputando una partita ufficiale nell'ambito del campionato "giovanissimi", registrato dalla F.I.G.C..

Partendo dalla premessa che la F.I.G.C. è qualificata dal suo Statuto, all'articolo 1, come "associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato, avente lo scopo di promuovere e disciplinare l'attività del giuoco del calcio e gli aspetti ad essa connessi", la Suprema Corte precisa come sia stato correttamente considerato che, mediante il tesseramento, l'atleta diventa parte di un vincolo contrattuale, sicché egli e la F.I.G.C., in forza del contratto di adesione, partecipano al raggiungimento di uno scopo comune, cristallizzato proprio dallo Statuto, il quale all'articolo 3, lett. e), prevede che, nell'ambito di tale scopo, vi sia anche "la tutela medico-sportiva degli atleti":

"la Federcalcio, quindi, ha l'obbligo, contrattualmente previsto, di garantire la tutela medico sportiva dei tesserati: è questo l'approdo finale di un corretto iter logico che fa concludere ai giudici di appello che la Federcalcio è responsabile civilmente per inadempimento contrattuale dell'obbligazione assunta di tutelare, sotto l'aspetto medico-sportivo, il giovane calciatore tesserato. Tale conclusione non è inficiata dalla citazione, da parte della ricorrente, delle norme che regolamentano, a seconda della categoria di atleti, le modalità di adempimento dell'obbligazione assunta con i tesserati. In altri termini, la disciplina che modula diversamente il controllo della idoneità psico - fisica dell'atleta a seconda che si tratti di calciatori professionisti o dilettanti, prevedendo per quest'ultima categoria di calciatori, alla quale apparteneva il Ri., solo una formale verifica indiretta dell'idoneità, tramite l'omologazione di certificazioni rese da strutture sanitarie esterne, non può essere invocata per affievolire o addirittura azzerare la qualità sostanziale del controllo, il quale, se anomalamente od insufficientemente condotto in via indiretta dalle strutture sanitarie esterne, può e deve essere verificato, in via diretta e successiva, dai medici interni alla Federcalcio, al fine essenziale di adempiere effettivamente e non solo formalmente allo scopo statutario della tutela medico - sportiva di tutti gli atleti tesserati, senza distinzione di categoria" Cassazione penale, sez. IV, 05/06/2009, n. 38154 – Rigetta App. Milano, 13 febbraio 2007 CED Cass. pen. 2009, rv 245783.

Contrariamente ragionando, aggiunge la Suprema Corte, si dovrebbe giungere all'aberrante risultato, agognato dalla ricorrente, che fare propria, nel rispetto solo formale della procedura interna di omologazione, anche una certificazione errata di idoneità rilasciata da soggetto estraneo alla propria struttura costituisca comunque, per la Federcalcio, sempre il puntuale adempimento dell'obbligo nascente dal contratto di adesione concluso con l'atleta tesserando o tesserato, derivandone per la stessa un automatico esonero da ogni responsabilità per i fatti colposi addebitagli penalmente ai medici esterni alla struttura della federazione.

Invero, l'obbligo di tutelare ogni atleta - e quindi anche il calciatore dilettante - anche sotto l'aspetto medico-sportivo, rendeva doveroso ed esigibile che la verifica dell'operato superficiale e pernicioso dei medici esterni, al di là della prassi sedimentatasi sull'onda dell'appiattimento alla procedura formale di omologazione dell'operato altrui, fosse attuata nel merito, sia pure in via successiva, dalla stessa Federcalcio, avvalendosi delle proprie strutture federali:

"ne consegue che l'omessa effettuazione, per culpa in vigilando, della verifica sostanziale della idoneità psicofisica di un giovane calciatore tesserato, portatore di patologia congenita che lo poneva ad alto rischio di morte improvvisa, come è avvenuto, nel corso di un cimento agonistico, rende legittimo il riconoscimento della legittimazione passiva della F.I.G.C. a rispondere civilmente dei danni provocati per colpa professionale dal medico sportivo esterno, sull'operato erroneo del quale è, però, mancata, come è certo, ogni tipo di doverosa vigilanza anche da parte della struttura sanitaria a disposizione della Federcalcio" Cassazione penale, sez. IV, 05/06/2009, n. 38154 – Rigetta App. Milano, 13 febbraio 2007 CED Cass. pen. 2009, rv 245783.

Considerazioni di analogo tenore il Supremo Consesso propone con riguardo al profilo di responsabilità della F.I.G.C. riconducibile alla disciplina dell'art. 2049 c.c..

Quest'ultima tipologia di responsabilità, riconosce la Suprema Corte, è stata correttamente affermata, nel caso in esame, dai giudici di merito, sul rilievo che, avendo la Federcalcio deciso di avvalersi - ai fini della tutela medico-sportiva degli atleti dilettanti che intendessero accedere al tesseramento - delle prestazioni rese da medici esterni alla sua struttura societaria e, quindi, di accettare, facendola propria, la certificazione di idoneità all'attività sportiva rilasciata da quest'ultimi, la stessa Federazione non poteva ritenersi esonerata dall'obbligo della tutela medico - sportiva, facente parte integrante del precipuo scopo del suo Statuto, ma, al contrario, doveva rispondere ex art. 2049 c.c. del fatto illecito colposo addebitabile al delegato a quella prestazione:

"in proposito va aggiunto che, se è vero che la Federcalcio può, in atto, iscrivere ed ammettere all'esercizio di attività sportiva soltanto atleti dilettanti muniti di certificazione di idoneità, deve ritenersi implicita, in forza della presunzione di idoneità delle strutture sanitarie esterne, la sua volontà di delegare ad esse la realizzazione in concreto della finalità associativa della tutela medico - sportiva degli atleti dilettanti, e di far propri gli accertamenti sanitari in tal modo delegati, come del resto è testimoniato dalla procedura invalsa della formale omologazione di quegli accertamenti. Ne deriva che, nel caso in cui, come quello in esame, gli accertamenti sanitari in tal modo delegati siano nefastamente errati, perchè negligentemente eseguiti, la prassi di implicitamente delegare a medici esterni la funzione statutaria della Federcalcio di tutelare gli atleti dilettanti sotto l'aspetto medico - sportivo, comporta la responsabilità della F.I.G.C. per il fatto illecito colposamente provocato dalla condotta negligente del medico esterno. La ratio di tale conclusione, adottata dai giudici di merito, trova la sua giustificazione nel principio "cuius commoda eius incommoda", cioè nell'esigenza che colui, in favore del quale viene svolta un'attività, sopporti i rischi inerenti all'esercizio di essa, e quindi risenta anche gli effetti delle eventuali conseguenze dannose" Cassazione penale, sez. IV, 05/06/2009, n. 38154 – Rigetta App. Milano, 13 febbraio 2007 CED Cass. pen. 2009, rv 245783

 




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