-  Redazione P&D  -  20/10/2012

NASCITA CON SINDROME DI DOWN: QUANDO IL DIRITTO SI DISALLINEA DALLESSERE - Alberto GAMBINO

Direttore del dipartimento di Scienze Umane dell"Università Europea di Roma – Professore ordinario di Diritto privato

 

La lettera di Paolo Rosso, padre di un bambino con sindrome di down (http://www.personaedanno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=40507&catid=81&Itemid=328&contentid=0&mese=10&anno=2012), ci interpella e merita una riflessione.

La vicenda, come noto, riguarda un medico che non ha adeguatamente informato una coppia sulle possibili patologie cui il feto poteva essere affetto. La bambina è poi nata con sindrome di down e i genitori hanno chiesto il risarcimento del danno al medico. In questo caso si è stabilito che anche la bambina ha diritto ad un autonomo risarcimento di danno.

Il ragionamento è il seguente: poiché la madre, facendo valere una lesione alla sua salute psico-fisica, ha il potere, in base alla legge 194, di chiedere l"interruzione di una gravidanza relativa ad un feto con sindrome di down, ove questo potere non sia effettivamente esercitato a causa della mancata informazione medica, non solo la madre ma anche il bambino, la cui esistenza è segnata, ha diritto al risarcimento del danno.

Già – ci fa riflettere Paolo Rosso - ma di quale danno stiamo parlando?

Il bambino, a ben leggere la sequenza degli eventi, non è stato danneggiato, essendo già in utero portatore dalla sindrome di down e, dunque, non si può avanzare la pretesa di una violazione al suo diritto alla salute, configurata nella sua patologia sin dal concepimento e non certo provocata dalla mancata informazione del medico.

In realtà con la sottile definizione utilizzata dalla Cassazione per affermare l"insorgenza del danno, individuato nella "nascita malformata, intesa come condizione dinamica dell"esistenza riferita ad un soggetto di diritto attualmente esistente" (sono le parole che utilizza l"estensore della sentenza), si finisce coll"inquadrare l"inizio dell"evento dannoso nel fatto stesso della nascita così cadendo nella dinamica di una sorta di "diritto a non nascere se non sani", che - almeno a parole - la Cassazione nelle sue 76 pagine avrebbe voluto sgomberare dal campo.

Persona e salute sembrano cioè viaggiare su binari distinti. Emerge una condizione di discontinuità soggettiva nella titolarità di un diritto alla salute tra la fase prenatale e la nascita, dove l"evento nascita fungerebbe, allo stesso tempo, da fatto attributivo di un diritto (alla salute) ed evento causale del danno (la "nascita malformata"), quando è invece pacifico che il diritto alla salute, nelle condizioni date dalla natura, riguardi anche la vita fetale.

La decisione centra in pieno l"esito che decenni di giurisprudenza italiana sul tema erano riusciti ad evitare, facendo riemergere un ragionamento finora scongiurato: sono nato con alcune disabilità e se lo avessi saputo avrei preferito non nascere; poiché tu medico non hai allertato i miei genitori - i quali, sapendo della mia sindrome, non mi avrebbero fatto nascere - ora ti chiedo il risarcimento del danno.

Il danno è quello di una vita insopportabile anziché la sua soppressione. E, tra l"altro, giudizialmente parlando, lo reclamano, non il bambino, ma, a suo nome, i genitori.

Così però, da un lato, si mina la lettura della legge 194 sull"interruzione della gravidanza che attribuisce il potere del bilanciamento tra vita del feto e lesione psico-fisica della salute della donna proprio e solo a quest"ultima. Con la conseguenza che eventuali danni (la nascita indesiderata) non possono che discendere esclusivamente dalla violazione di questo potere di bilanciamento proprio della scelta della donna, e non piuttosto – come la lettura della Cassazione finirebbe coll"avallare – anche da una asserita lesione al diritto alla salute di una persona nata con sindrome di down.

D"altro lato, se la linea della Cassazione trovasse terreno fertile nelle decisioni successive, l"inevitabile conseguenza logica sarà che d"ora in avanti qualsiasi persona con disabilità andrebbe valutata, in punto di tutela risarcitoria, in modo diverso a seconda che la sua nascita sia o meno frutto di una libera scelta dei genitori: nel primo caso, essa mai potrebbe reclamare un risarcimento; mentre ove, per un errore di informazione medica, la nascita sia da considerare indesiderata, la persona disabile andrebbe risarcita "affinché quella condizione umana ne risulti alleviata, assicurando al minore una vita meno disagevole" (di nuovo parole dell"estensore della sentenza). Dunque, seguendo il ragionamento della Cassazione, davanti ad uno stesso evento "dannoso" e ad uno stesso diritto soggettivo avremmo due trattamenti diversi delle persone nate con sindrome di down. Può questa disparità giustificarsi a causa della violazione di un diritto altrui (il mancato libero esercizio del potere di interrompere la gravidanza da parte della madre)?

In realtà, con la configurazione di un bene-salute del feto poi bambino, menomato naturaliter per un fattore risalente al concepimento, ma risarcibile solo in ragione dell"evento della nascita non desiderata dalla madre, si finisce per scivolare dentro una vicenda che degrada, almeno in termini giuridici, il significato dell"esistenza umana sradicandola dal suo essere "valore giuridico in sé" (come la stessa giurisprudenza di legittimità ha più volte ricordato). In altri termini, il ruolo della tutela risarcitoria da strumento di protezione delle persone e del loro patrimonio sconfina verso compiti impropri che rischiano di comprimere la lettura sociale della vita delle persone con disabilità entro limiti angusti, in totale distonia con la ricchezza umana, sociale e solidale che entro tali relazioni interpersonali quotidianamente si rappresenta. Deriva finora scongiurata dalla civilistica italiana, nelle sue componenti dottrinali e giurisprudenziali.




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