-  Fabbricatore Alfonso  -  11/07/2015

NESSO EZIOLOGICO E RISARCIMENTO DEL DANNO: ALCUNE PERPLESSITÀ - Cass. 12923/15 - A. FABBRICATORE

Cass., sez. III Civile, 21 aprile – 23 giugno 2015, n. 12923, Pres. Segreto, Rel. Lanzillo

Il nesso eziologico, in materia di risarcimento del danno non patrimoniale, è elemento essenziale e condizionante l"intero processo valutativo: la sentenza in commento offre l"occasione per una profonda riflessione su alcuni degli aspetti più problematici circa l"imputabilità di un fatto alla condotta di un soggetto.

Tizio, rimasto coinvolto in un sinistro stradale, perde la vita per le lesioni riportate. La moglie, ricoverata in ospedale e già in fin di vita, decide di lasciare la struttura ospedaliera per rimanere accanto al coniuge un"ultima volta. La donna, fatto ritorno a casa, muore per arresto cardiocircolatorio il giorno stesso.

I figli della vittima dell"incidente agiscono per il risarcimento dei danni non patrimoniali patiti a seguito della perdita traumatica di entrambi i genitori; chiedono, contestualmente, che venga risarcito il danno non patrimoniale sofferto dalla madre per la morte del marito, che a quest"ultimi spetterebbe iure successionis e, similmente, propongono domanda di risarcimento dei danni derivanti dalla morte della madre come conseguenza diretta della perdita repentina e brutale del coniuge.

Il giudice di prime cure, liquidati i danni per la morte del padre a favore dei figli e dei fratelli di quest"ultimo, nega il risarcimento sia del danno patito dalla moglie, gravemente malata, per la perdita del marito, sia il danno sofferto dai figli della donna per la morte proprio della madre.

In appello la sentenza di primo grado viene parzialmente ritoccata: la Corte, infatti, riconosce ai congiunti il risarcimento del danno "morale" sofferto dalla donna per la perdita del coniuge, che spetta agli attori iure hereditatis, ma ritiene priva di fondamento la richiesta di risarcimento dei danni sofferti iure proprio per la perdita della madre.

La questione sottoposta ai giudici di legittimità appare, senza ombra di dubbio, complessa e dalle innumerevoli sfaccettature.

Dopo aver ritenuto corretto il ragionamento che ha portato la Corte alla liquidazione di un dato ammontare per il danno dovuto alla perdita del padre vittima diretta del sinistro a favore degli attori, la Cassazione conferma che nulla sia dovuto a quest"ultimi a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale per la morte della madre.

"La giurisprudenza di questa Corte ha più volte avvertito che, in tema di responsabilità civile extracontrattuale, il nesso causale tra la condotta illecita ed il danno è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., in base al quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla scorta del quale, all'interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili. Ne consegue che, ai fini della riconducibilità dell'evento dannoso ad un determinato fatto o comportamento, non è sufficiente che tra l'antecedente ed il dato consequenziale sussista un rapporto di sequenza temporale, essendo invece necessario che tale rapporto integri gli estremi di una sequenza possibile, alla stregua di un calcolo di regolarità statistica, per cui l'evento appaia come una conseguenza non imprevedibile dell'antecedente (Cass. civ. Sez. 3, 31 maggio 2005 n. 11609; Cass. civ. Sez. Lav., 14 aprile 2010 n. 8885; Cass. civ. Sez. 1, 23 dicembre 2010 n. 26042; Cass. civ. Sez. 3, 21 luglio 2011 n. 15991). 
Né vale osservare, come fanno i ricorrenti, che in tema di illecito civile il danneggiante risponde anche dei danni imprevedibili
".

Seguendo questa logica "sono risarcibili in tema di responsabilità aquiliana i danni che siano un effetto normale dell'illecito, in base al suddetto criterio della causalità adeguata (Cass. civ. n. 11609/2005, cit.). Salvo che sia fornita la prova specifica del contrario".

Il problema sorge proprio quando più complessa sia la struttura consequenziale dell"illecito e maggiormente difficile individuare, nella concatenazione causale, il necessario rapporto di causa-effetto tra evento e talune conseguenze dannose. Nel caso in esame, in assenza di un altro fattore causale determinante (la patologia allo stadio terminale), più agevole, ma comunque non scontata, sarebbe stata l"individuazione del nesso eziologico tra la morte dell"uomo dovuta all"altrui illecito e la successiva morte della moglie. I giudici assumono che la malattia pregressa della donna costituisca di per sé un elemento ineludibile nella sequenza logica dei fatti, dovendosi giustificare la susseguente morte non come conseguenza dello shock per la perdita del marito, bensì come effetto della decisione di privarsi delle cure apprestate dalla struttura di ricovero, seppur per una ragione, sul piano etico e morale, valida e, per altro verso, finanche prevedibile.

Gli stessi giudici affermano che la valutazione e l"analisi degli antecedenti vada effettuata ex ante: in questo senso si potrebbe parimenti osservare che non vi sarebbero altri motivi nella scelta di abbandonare l"ospedale, se non quelli dovuti al grave lutto. La perdita traumatica di un congiunto, in proporzione alla solidità del vincolo affettivo, può sicuramente comportare un processo decisionale anomalo quanto, talvolta, prevedibile in seno al congiunto: è il classico esempio della madre che si precipiti a soccorrere la figlioletta caduta per disgrazia in un burrone, nonostante questa sia probabilmente già deceduta a seguito della caduta; è, ancora, il caso del padre che, incurante del pericolo, tenti di recuperare il figlioletto inerme nella culla mentre un incendio divora l"abitazione. Se ora si supponesse che la caduta della bambina nel burrone o che l"incendio divampato nell"abitazione fossero conseguenze di un illecito, i danni patiti dai familiari possono essere intesi come danni diretti o mediati? E fino a che punto, seguendo questa logica, quella della prevedibilità, possono essere ascritti alla condotta di altro soggetto?

La morte per arresto cardiocircolatorio della donna, per quanto possa presumersi, in ragione delle già gravemente compromesse funzioni vitali, derivante dall"interruzione delle terapie, al tempo stesso potrebbe essere dipesa esclusivamente dall"angoscia per la perdita dell"amato marito. Queste considerazioni vanno, tuttavia, sempre provate, almeno in via presuntiva. Come sia possibile, però, dimostrare che il decesso sia dovuto a cause ulteriori e diverse dalle precarie condizioni di salute del soggetto, è opera particolarmente complessa. Non soccorre la scienza medica e, pertanto, la soluzione può essere trovata, laddove sia possibile, solo in ambito prettamente giuridico.

Con ogni probabilità andrebbero rivisitate le leggi alla base della causalità, se non altro perché i tempi sono maturi per abbandonare figure ormai giunte al capolinea: mi riferisco ai danni indiretti, ai danni di rimbalzo, ai dubbi concetti di "vittime secondarie e/o di riflesso".

Quando un fatto, per restare nell"ambito della responsabilità aquiliana, comporti la modificazione negativa di una preesistente condizione di vantaggio, l"effetto sarà quello di una nuova condizione, diversa dalla precedente, tuttavia qualitativamente e quantitativamente inferiore.

Dalla stessa causa, poi, possono discendere svariati effetti, tutti dalla prima dipendenti. Se Tizio muore per la condotta negligente di Caio, molto probabilmente, oltre allo svantaggio per la vittima a causa della perdita della propria vita, diversi altri soggetti risentiranno della modificazione in peius di una preesistente condizione, sia in termini economici che (soprattutto) areddituali. Ma la perdita per questi soggetti trova spiegazione solo se collegata al fatto del terzo, non già alla morte ex se della persona cara, essendo questa una conseguenza di un antecedente logico valido di per sé a giustificare una determinata eziopatogenesi.

Del resto, la morte che non derivi da un fatto umano non è un dato giuridico, almeno non nell"ambito della responsabilità extracontrattuale: tale dato può essere giuridificato solo in presenza di taluni elementi indispensabili: nel caso di specie, in capo agli attori gravava l"onere di provare o quantomeno argomentare che causa principale della morte della madre fosse stata la perdita traumatica del marito: "pur se non si può in astratto escludere che l'improvvisa morte del marito possa avere provocato alla moglie un trauma psico-emotivo tale da concorrere a provocarne la morte, la circostanza non è stata positivamente accertata; né gli attori in giudizio hanno dedotto e dimostrato specifiche circostanze idonee a fornire guanto meno un principio di prova in tal senso, nei limiti di quanto avrebbe potuto giustificare l'ammissione di apposita CTU per il relativo accertamento, od offrire sufficiente argomento per ricorrere alla prova presuntiva".

Una sorta di prova diabolica, o perlomeno particolarmente ardua da fornire, quand"anche si faccia ricorso alle presunzioni.

 

 

 

 




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