Pubblica amministrazione  -  Redazione P&D  -  31/12/2019

Non ammissione alla classe successiva: profili ed ambiti di intervento del giudice amministrativo - Mariagrazia Caruso

Nell’ambito dei giudizi scolastici la giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che il sindacato del giudice di legittimità debba fermarsi alla verifica delle regole procedimentali, in quanto oltre tale limite si apre un’area di apprezzamenti di valore non sindacabile poiché spetta esclusivamente al Consiglio di classe giudicare se le lacune di un alunno siano tali da dover essere ritenute molto gravi, al punto da costituire un serio impedimento per la prosecuzione degli studi.

La valutazione espressa dall’Organo scolastico dunque, non è sindacabile se non sotto il profilo di macroscopici errori e vizi estrinseci (T.A.R. Molise, 19 luglio 2006, n. 610) o in presenza di evidenti illogicità (T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. III, 18 gennaio 2006, n. 102) o contraddittorietà (Consiglio di Stato, Sez. VI, 14.1.2004, n. 68)  rispetto ai quali, appunto, non è consentito al Giudice amministrativo di sostituirsi all’organo amministrativo valutatore (T.A.R. Toscana, Sez. I, 16 novembre 2005, n. 6223; in terminis, T.A.R. Toscana, I, 24.5.2007, n. 797, Cons. St., sez. VI, 12 gennaio 2000, n. 213; TAR Sicilia, Palermo, 25 ottobre 1997, n. 1658 e TAR Liguria 14 febbraio 1997, n. 34)

Il sindacato di legittimità potrà, pertanto, limitarsi ai soli profili di violazione di legge, manifesta illogicità o travisamento dei fatti, carenza o totale inadeguatezza dell’istruttoria.

Strumentale a tale verifica sarà per i genitori del minore l’accesso agli atti amministrativi formulato ai sensi della l. 241/1990 che ha riconosciuto un generale diritto di accesso ai documenti amministrativi, ad eccezione di quelli coperti da segreto di stato, di quelli la cui divulgazione è vietata dall’ordinamento (cioè di norme specifiche diverse dalla legge n. 241 del 1990), di quelli esclusi da appositi regolamenti governativi e ministeriali (per motivi di sicurezza e difesa nazionale, di politica monetaria e valutaria, di ordine pubblico e prevenzione dei reati, di tutela della riservatezza di terzi – art. 22 co. 1, 2 e 4 della legge n. 241 del 1990), di quelli preparatori di atti normativi generali, di pianificazione e di programmazione, di quelli afferenti a procedimenti tributari (art. 24 co. 6 lett. d) della legge n. 241 del 1990).

Anche nell’amministrazione scolastica, la norma sopra richiamata persegue un’evidente finalità di tutela del diritto alla difesa, in quanto attraverso una più puntuale conoscenza dei documenti, soprattutto interni, dell’amministrazione (registri, verbali, compiti in classe, piani dell’offerta formativa) è possibile comprendere l’iter motivazionale seguito al fine di predisporre la più adeguata difesa in giudizio, individuando, appunto, eventuali vizi (o omissioni), che hanno condotto all’adozione del provvedimento impugnato.

Pervenuta l’istanza di accesso, il dirigente scolastico (titolare dell’ufficio che ha adottato l’atto o lo detiene stabilmente ex art. 4 co. 7 del dPR n. 352 del 1992) potrà, entro il termine di 30 giorni dalla ricezione dell’istanza:

a) accogliere l’istanza

b) rigettare espressamente l’istanza per vari motivi;

c) rimanere silente

d) differire l’accesso obbligatoriamente o facoltativamente, qualora l’accesso possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa.

Ancora oggi controversa risulta la possibilità di accedere agli atti relativi alle valutazioni scolastiche degli studenti della medesima classe dove vedono alternarsi sostanzialmente due posizioni giurisprudenziali.

Per un verso il diritto di accesso viene riconosciuto (cfr. in termini TAR Lazio, sentenza n. 33005/2010) sul rilievo che la documentazione richiesta sia utile ai fini della difesa dell’interesse giuridicamente rilevante di cui sono indubbiamente portatori i genitori, poiché l’approccio comparativo, rappresenta un fattore che può disvelare pregnanti indizi di illegittimità dell’azione amministrativa e della valutazione scolastica in particolare (v. anche Consiglio di Stato, sez. VI, 15 giugno 2006, n. 3536).

La cennata strumentalità, in uno con la perimetrazione della richiesta, comunque limitata agli studenti che hanno una relazione diretta e rilevante con il figlio dei genitori istanti, in quanto compagni di classe, costituiscono al contempo il presupposto dell’interesse ostensivo tutelato ed il limite oltre il quale l’interesse trasmoda in un inammissibile controllo generalizzato della PA.

La riservatezza dei terzi (che in quest’ottica non attiene alle mere votazioni riportate, ma ad eventuali giudizi o valutazioni idonee a rivelare lo stato di salute o altri dati personali sensibili), ben può ritenersi salvaguardata mediante la schermatura dei nomi degli alunni interessati o dei riferimenti strettamente riconducibili agli stessi.

Viceversa, il Consiglio di Stato con la sentenza n. 7650 del 2010 ha chiarito che “la richiesta di accesso agli elaborati di tutti i compagni di classe appare proprio un inammissibile controllo generalizzato, solo che si consideri che la funzione docente non è diretta alla scelta dei più meritevoli secondo una graduatoria di valore, bensì alla formazione dei ragazzi e alla verifica dei risultati da ognuno di essi conseguiti. Non si tratta pertanto di una procedura comparativa, nella quale potrebbe ipotizzarsi una disparità di trattamento”.

All’esito dell’accesso agli atti della p.a. potrà, per es., rilevarsi quale vizio di legittimità (in quanto tale censurabile in sede amministrativa) la violazione dell’art. 2 del dpr 122/90 in ordine alla formazione del consiglio di classe (cfr. fra le tante in termini TAR Lazio n. 3838/2014).

Così è stata ritenuta illegittima la non promozione di uno studente se nella riunione del consiglio di classe per lo scrutinio finale era assente un professore, perché la valutazione periodica e finale degli alunni è di competenza del consiglio di classe nella sua interezza (Tar per il Lazio, Sezione Terza Bis, nella sentenza 25 agosto 2010, n. 31634). 

Come è noto, infatti, il consiglio di classe è costituito da tutti i docenti della classe, e presieduto dal dirigente scolastico. Nell'attività valutativa deve deliberare con la partecipazione di tutti i suoi componenti, essendo richiesto il quorum integrale nei collegi con funzioni giudicatrici. In caso di disaccordo le decisioni devono essere adottate a maggioranza mediante votazione su proposte, senza che sia ammessa l'astensione; pertanto tutti i docenti devono votare e il totale dei voti deve coincidere con il totale dei componenti il consiglio. La natura del collegio in oggetto ha riflessi sull'eventuale sciopero degli scrutini: l'assenza di un solo componente rende impossibile lo svolgimento dello scrutinio. Anche il dirigente scolastico che presiede, essendo a tutti gli effetti un membro del Consiglio, è tenuto a votare. In caso di parità egli non vota due volte, ma prevale la proposta a cui ha dato il suo voto. I docenti di sostegno sono membri del consiglio di classe e nello scrutinio esprimono la loro valutazione per tutti gli alunni per l'ammissione alla classe successiva o all'esame, e per il voto di comportamento di tutti. Fanno parte del consiglio di classe, con pieno titolo a partecipare allo scrutinio, tutti i docenti che operano nella classe, ivi compresi i docenti di religione. Questi ultimi non esprimono un voto, ma “una speciale nota” riguardante l’interesse e il profitto relativo a detto insegnamento, e nelle deliberazioni a maggioranza, il voto, se determinante, diviene un giudizio motivato da iscriversi a verbale. I docenti di sostegno si esprimono per tutti gli allievi della classe, oltre che per quelli con disabilità. Per l’allievo disabile seguito da più insegnanti di sostegno, questi esprimeranno un unico voto. La valutazione degli apprendimenti e del comportamento in sede di scrutino finale è espressa con voto numerico in decimi. I voti numerici sono riportati anche in lettere nei documenti di valutazione degli allievi. Il voto numerico del comportamento deve essere anche illustrato con specifica nota. Per l’ammissione alla classe successiva gli allievi devono conseguire la sufficienza in ciascuna disciplina e nel comportamento.

Sulla base di tali rilievi normativi il TAR Lazio, con la sentenza sopra richiamata, ha ritenuto fondato il motivo di ricorso secondo cui nella seduta del consiglio di classe in cui è stato adottato il provvedimento di non promozione non erano presenti due professori. Infatti, secondo la vigente normativa sugli organi collegiali della scuola, il docente ha la competenza per la valutazione – nel corso dell’anno - degli apprendimenti dell'alunno in riferimento alla propria materia, mentre l'organo collegiale competente per la valutazione periodica e finale dell'attività didattica e degli apprendimenti dell'alunno è il consiglio di classe con la presenza della sola componente docente nella sua interezza. Dispongono in proposito gli articoli 5, comma 7, e 193, comma 1, del D.Lgs.16.04.1994, n. 297, che (art. 5 c.7) negli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, le competenze relative alla valutazione periodica e finale degli alunni spettano al consiglio di classe con la sola presenza dei docenti, e che (art. 193 c.1) i voti di profitto e di condotta degli alunni, ai fini della promozione alle classi successive alla prima, sono deliberati dal consiglio di classe al termine delle lezioni, con la sola presenza dei docenti. Il consiglio di classe, costituito da tutti i docenti della classe, è presieduto dal dirigente scolastico. Nell'attività valutativa opera come un collegio perfetto e come tale deve operare con la partecipazione di tutti i suoi componenti, essendo richiesto il quorum integrale nei collegi con funzioni giudicatrici. Nel caso in cui un docente sia impedito a partecipare per motivi giustificati il Dirigente scolastico deve affidare l'incarico di sostituirlo ad un altro docente della stessa materia in servizio presso la stessa scuola. Il dirigente scolastico può delegare la presidenza del consiglio ad un docente che faccia parte dello stesso organo collegiale. La delega a presiedere il consiglio deve risultare da provvedimento scritto (è sufficiente l'indicazione anche nell'atto di convocazione dell'organo) e deve essere inserita a verbale.

Il giudizio valutativo espresso dal Consiglio di classe risulta, altresì, censurabile per violazione di legge e carenza di motivazione in ordine ai criteri predeterminati nel piano triennale dell’offerta formativa.

Come è noto il PTOF (piano triennale dell’offerta formativa) rappresenta il ....."documento fondamentale costitutivo dell 'identità culturale e progettuale delle istituzioni  scolastiche ", grazie al quale si realizza il confronto e la partecipazione tra  tutte le componenti scolastiche, il personale, le famiglie, gli studenti e le "diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti nel  territorio" o vengono illustrate le linee distintive dell'istituto, l'ispirazione culturale-pedagogica che lo muove, la progettazione curricolare, extracurricolare, didattica ed organizzativa delle sue attività.

Ove, per esempio, come normalmente accade, il POF impone al consiglio di classe una valutazione complessiva del grado di preparazione conseguito dallo studente e sulla capacità di recupero, sarà annullabile il giudizio di non ammissione che nulla disponga sul punto. 

Infatti:

“Detta verifica sarebbe stata necessaria, tenuto conto dei voti conseguiti dallo studente (ben oltre la sufficienza nella materia di italiano) e che le più gravi insufficienze riportate (matematica e fisica) attenevano comunque a materie scientifiche, a fronte dell’indirizzo classico seguito dallo studente.

Ciò imponeva al consiglio di classe un approfondimento della posizione del ricorrente, esaminata invece solo con una mera “presa d’atto” dei voti e dalla constatazione che lo stesso non aveva recuperato le insufficienze in matematica e storia dell’arte registrate nello scrutinio trimestrale, senza alcuna valutazione sulla capacità di recupero con percorso individuale (peraltro concretamente dimostrata dalla documentazione depositata dal difensore agli atti di causa).

In tali circostanze, il consiglio di classe non avrebbe potuto limitarsi a recepire acriticamente i voti proposti dagli insegnanti, ma avrebbe dovuto fare compiuta applicazione del principio secondo cui la valutazione ha ad oggetto il processo d’apprendimento e il rendimento scolastico complessivo dell’alunno, e non s’arresta, senza approfondita motivazione, di fronte al giudizio negativo sulla singola materia (cfr. TAR Liguri, II, n. 514/2013), sebbene, effettivamente, il comportamento dello studente nel corso dell’anno scolastico - evidentemente sintomo di un malessere che non è dato al Collegio valutare, più che di scarse capacità di apprendimento smentite e dai voti nelle altre materie e dai risultati raggiunti a seguito del corso di recupero- non si sia caratterizzato per disciplina, rispetto degli orari, presenza alle lezioni e attenzione, laddove avrebbe dovuto fornire adeguata motivazione circa la determinazione adottata rispetto a quella, più favorevole per lo studente, di sospensione del giudizio”. (TAR Lazio 3838/2014). 

E ancora:

 "In tali circostanze, il consiglio di classe non avrebbe potuto limitarsi a recepire acriticamente i voti proposti dagli insegnanti, ma avrebbe dovuto fare compiuta applicazione del principio secondo cui la valutazione ha ad oggetto il processo d'apprendimento e il rendimento scolastico complessivo dell'alunno, e non s'arresta, senza approfondita motivazione, di fronte al giudizio negativo sulla singola materia (cfr. T.A.R. Liguria, II, n. 514/2013)."

E’ stata, altresì, ritenuta illegittima la mancata ammissione alla classe successiva tutte le volte in cui “è mancata la previa comunicazione alla famiglia dell'alunna circa l'esito negativo del giudizio, e ciò nonostante l'obbligo di sottoporre tali misure periodicamente a verifica per valutarne i risultati  (da ult. C.d.S. Sentenza n. 6848/2018).

Merita sul punto rilievo la recente Ordinanza del Consiglio di Stato del 24/10/2018, n. 5169 con la quale è stato affermato che l’ammissione alla classe successiva nella scuola secondaria di primo grado in base agli artt. 1 e 6 del D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 62, ed alla circolare n. 1865 del 10.10.2017 deve fondarsi su un giudizio che faccia riferimento unitario e complessivo a periodi più ampi rispetto al singolo anno scolastico, e ciò anche nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline. Pertanto l’alunno viene ammesso alla classe successiva anche se in sede di scrutinio finale viene attribuita una valutazione con voto inferiore a 6/10 in una o più discipline da riportare sul documento di valutazione. (Riforma T.A.R. Emilia Romagna Parma, Sez. I, ord. n. 115/2018)

Non senza dimenticare che, come ancora rilevato dal Consiglio di Stato, a fronte di rilevati problemi di salute dello studente, pur in presenza di risultati di apprendimento disastrosi se valutati con riferimento all’intero anno scolastico, il Collegio dei docenti avrebbe potuto e dovuto approfondire la possibilità di sospendere il giudizio con attribuzione di debiti, magari avuto riguardo anche al curriculum scolastico relativo agli anni precedenti, posto che la scuola deve perseguire l’obiettivo della formazione (e non già la punizione), con la debita considerazione di temporanee situazioni contingenti che possano aver influito negativamente sul profitto.

Il ricorso al Tribunale Amministrativo territorialmente competente va proposto nel termine di 60 giorni dalla comunicazione (o dalla ufficiale acquisita conoscenza) del giudizio di non ammissione.

In proposito, va ricordato, come è stato ripetutamente affermato in molte pronunce dei Tar, che la promozione conseguita dall’alunno ammesso alla classe successiva con riserva da parte del giudice amministrativo (in sede cautelare) assorbe il giudizio negativo in precedenza espresso dal Consiglio di classe e determina di conseguenza l’improcedibilità del ricorso avverso l’originario diniego di ammissione, presupponendo la promozione alla classe superiore una valutazione positiva dell’allievo che si fonda su di un programma più ampio di quello svolto nella classe inferiore, onde il giudizio favorevole integra una circostanza esterna e sopravvenuta, capace di assorbire gli effetti di quella precedente (non ammissione), perché pienamente satisfattiva dell’interesse sostanziale fatto valere e insuscettibile di automatica caducazione a seguito dell’eventuale ripristino del giudizio di non ammissione oggetto di iniziale impugnativa (principio c.d. dell’assorbimento, giurisprudenza consolidata cfr. fra le tante sent. N. 266/2011 Tar Emilia Romagna; C.d.S. Sez. VI n. 2298/2014; Tar Emilia Romagna, Parma con sentenza n. 266 del 26 luglio 2011; Cons. Stato, Sez. IV, 14 febbraio 2005 n. 438; Sez. VI, 5 marzo 2002 n. 1312).

“Come è stato ripetutamente affermato in giurisprudenza, la promozione conseguita dall’alunno ammesso alla classe successiva con riserva da parte del giudice amministrativo (in sede cautelare) assorbe il giudizio negativo in precedenza espresso dal consiglio di classe e determina di conseguenza l’improcedibilità del ricorso avverso l’originario diniego di ammissione, presupponendo la promozione alla classe superiore una valutazione positiva dell’allievo che si fonda su di un programma più ampio di quello svolto nella classe inferiore, onde il giudizio favorevole integra una circostanza esterna e sopravvenuta, capace di assorbire gli effetti di quella precedente (non ammissione), perché soddisfa l’interesse sostanziale fatto valere nel giudizio (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 14 febbraio 2005 n. 438; Sez. VI, 5 marzo 2002 n. 1312).

Di qui la declaratoria di improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse.

La decisione applica il principio c.d. dell’assorbimento, elaborato dalla giurisprudenza con specifico riferimento all’esame di maturità. Secondo detto principio, il superamento degli esami di maturità che lo studente abbia sostenuto a seguito di ammissione con riserva da parte del Giudice amministrativo, assorbe il giudizio negativo di ammissione espresso dal Consiglio di classe e determina il venir meno dell’interesse del ricorrente all'ulteriore prosecuzione del giudizio relativo alla legittimità del provvedimento di non ammissione, assorbito e superato dal successivo provvedimento di superamento dell’esame. “Il giudizio positivo di maturità […] costituisce in definitiva un effetto preclusivo analogo a quello determinato da fatti sopravvenuti satisfattori o impeditivi processualmente della coltivazione dell'interesse sostanziale” (cfr. tra molti Cons. Stato, 31.3.2009 n. 1892). La stessa Corte Costituzionale ha ribadito – pur con specifico riferimento alla norma che ha recepito l’identico principio estendendolo agli esami di abilitazione professionale: “La disposizione impugnata ha lo scopo di evitare che il superamento delle prove di un esame di abilitazione venga reso inutile dalle vicende processuali successive al provvedimento, con il quale un giudice o la stessa amministrazione abbiano disposto l'ammissione alle prove di esame o la ripetizione della valutazione. Per raggiungere questo scopo, la disposizione rende irreversibili – secondo la giurisprudenza amministrativa – gli effetti del superamento delle prove scritte e orali previste dal bando. Essa, quindi, rende irreversibili anche gli effetti dei provvedimenti giurisdizionali (pure di natura cautelare) o di autotutela amministrativa che abbiano disposto l'ammissione alle prove stesse, precludendo l'ulteriore prosecuzione del processo eventualmente avviato. (…) Presupposto per l'applicazione della disposizione impugnata è che, a seguito di un provvedimento giurisdizionale o di iniziativa della stessa amministrazione, vi sia stato un nuovo accertamento dell'idoneità del candidato, con la ripetizione delle prove o con una nuova valutazione di esse. È questo accertamento amministrativo, e non il provvedimento del giudice, a produrre l'effetto di conseguimento dell'abilitazione, che la disposizione rende irreversibile. Il legislatore ha ritenuto che, una volta operato il nuovo accertamento, la prosecuzione del processo, avviato per contestare l'esito del precedente accertamento, fosse superflua e potesse andare a detrimento dell'affidamento del privato e della certezza dei rapporti giuridici. Ciò spiega perché la disposizione possa trovare applicazione anche quando il nuovo accertamento è stato operato a seguito di un provvedimento cautelare del giudice” (Corte costituzionale, sent. n. 9.4.2009 n. 108).




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