-  Redazione P&D  -  25/07/2016

Non la picchiare così, sola contro la mafia. - commento di Michela Labriola

Non la picchiare così, sola contro la mafia. di Francesco Minervini

Commento avv. Michela Labriola

Questa non è la storia di una collaboratrice di giustizia, di una donna pentita, ma di una testimone di giustizia. La distinzione è importante. Il suo incontro con la Legge ha condizionato ontologicamente la sua vita traghettandola verso una definitiva mutazione identitaria. È difficile trovare le parole che spieghino cosa abbia subito questa bambina, donna, madre, nello svolgersi veloce e senza remissione di una esistenza priva di luce che percorre il solco segnato da un destino senza scampo. Questa intervista è la memoria di tante altre donne che hanno subito vicende più o meno drammatiche, ma sono comunque inesorabilmente prive di libero arbitrio. Non ci sarà mai happy end in queste esistenze prive di senso e quindi di parola. Trascinati dal ritmo sostenuto del libro e nel tentativo, non sempre possibile, di seguire un pensiero svincolato dalla emozione, l"attenzione si sofferma su alcune parole chiave il cui significato disvela, in realtà, una trama di irreversibile violenza, cui è, in certi contesti, impossibile sottrarsi. Meridione, malavita, tradimento, vendetta.

Il contesto territoriale è il sud e quello ambientale è la «mafia». Questo vocabolo, che ha origini arabe, indica il luogo della riunione e dell"adunanza. Il rimando è al vincolo tra uomini che vivono otto l"égida di «una grande famiglia», gerarchicamente organizzata con un «capo», in cui le donne ed i bambini – gli adolescenti sono già adultizzati – stazionano sempre inamovibili nell"ultimo gradino di una scala che irrigidisce i ruoli. Tuttavia per la mafia, sotto il profilo simbolico, la donna-madre svolge un compito che ha un tema atavico e patriarcale: la generatività. La madre è la trasmissione della cultura mafiosa, è la prosecuzione, la generatrice di vita, l"eredità generazionale. Infatti il capo mafia è sedicente «mammasantissima», poiché lo stereotipo della «madre» è altro da quello della donna compagna-donna moglie.

A Maria, la protagonista del libro, non è permesso (a suon di botte) di diventare madre perché deve permanere nella subalternità. Non è rispettata, non ha individualità, non ha un"anima è in ombra, ha luce solo quando è un utile strumento per il suo prevaricatore. Questa donna senza parola è senza rispetto in quanto il suo aguzzino (Vito il malavitoso) non è in grado di empatizzare con lei e le infligge solo sofferenza. È paradigmatica l"esortazione del «compare di malaffare» di Vito - il mafioso senza scrupoli compagno di Maria - che, assistendo alla efferata violenza esercitata su di lei, pronuncia le seguenti parole: "o la ammazzi o la lasci stare, ma non la picchiare così". Il racconto sottolinea l"emblema della inutilità di una vita. Maria non riesce a sfuggire al proprio destino, che è il susseguirsi degli eventi considerati come già stabiliti e determinati da una forza superiore alla volontà e al potere umani. Il «destino» diventa, in questa storia, sinonimo di fatalità ed inevitabilità. Quella di Maria e di tante altre donne è una vita dimentica di se stessa. Ella viene trasportata dalla sponda dello stupro, potremmo dire, quasi inevitabile (se sei donna, se sei meridionale, se sei povera e se vivi in un ambiente in odore di malavita) alla sponda della violenza fisica e psicologica durante una convivenza fatta di segmenti dolorosi in assenza di amore e in assenza di desideri. Questa è una esistenza fatta di mancanze ed è condizionata dall"incontro distruttivo con la criminalità. Torna alla mente un difficile caso affrontato nel corso della professione. Una ragazzina, poco più che adolescente, si era innamora del balordo malavitoso del suo paese, da questa relazione era nata una bambina. La «love story» era stata, ovviamente, osteggiata dai genitori preoccupati per le sorti della figlia e della nipote. Dopo numerose denuncie, senza esito – anche il padre della ragazza era stato violentemente percosso dal ragazzo – il nucleo familiare aveva spostato il domicilio segretamente in un altro quartiere. Il giovane papà, che non aveva accettato tale «ingiusto» affronto, aveva pedinato la madre della ex compagna all"uscita dall"abitazione presso cui la stessa prestava attività di domestica, scaricandole contro un intero caricatore della pistola. La signora (poco più che quarantenne all"epoca), era stata sottoposta a numerosi e dolorosissimi interventi chirurgici che le avevano salvato la vita ma non le ferite dell"anima. Tuttavia la profonda incapacità della bambina/madre – segnata da una prospettiva futura di assoluta inconsapevolezza di sé - a discernere il bene dal male ed il giusto dall"ingiusto era apparsa evidente quando, ai poliziotti che inizialmente avevano deciso di metterla sotto protezione, aveva chiesto di essere accompagnata a casa per recuperare i vestiti nuovi ed un nuovo e costoso telefono cellulare. Sua madre era tra la vita e la morte. Il desiderio della «materia» aveva sopraffatto il dolore e la pietas filiale. La stessa inconsapevolezza porta la protagonista del libro a credere di aver trovato il «principe azzurro» per salvarsi da un vissuto già provato dall"angoscia.

Le crude parole di Maria, racchiudono quasi totalmente l"infinita gamma delle possibili violenze sulle donne, nel suo caso è la vita di una donna sola che le contiene tutte. Lo stupro, l"umiliazione, lo sfruttamento sul lavoro, l"indifferenza per la sofferenza, la trappola del finto amore iniziale, le botte massacranti, la dipendenza economica, la segregazione, l"induzione all"aborto, la negazione della maternità, la dignità negata, la paura. Come evitare che queste strade perdute siano di non ritorno? Quale è la via di fuga possibile? Quale è l"eredità di valori trasmissibile ai figli? Vi sono nelle cronache numerose testimonianze di donne che hanno rotto il cordone ombelicale con la famiglia mafiosa ed hanno iniziato a parlare, ma spesso ad un prezzo altissimo. Infatti le donne «appartengono» al regime mafioso, non ne fanno parte. Qualcosa, tuttavia, è cambiato, infatti recentemente si sostiene la centralità della figura femminile nella struttura mafiosa. Vi sono le donne che si sostituiscono ai boss (questo fenomeno è esploso con le carcerazioni in massa di capi clan), che non possono essere formalmente affiliate e non partecipano ai riti di iniziazione. Tale criminalità al femminile è emerso in concomitanza col fenomeno del pentitismo maschile.

Ma Maria, che riesce a scappare in modo a dir poco rocambolesco – degno di un film di azione, ma questa è realtà - , incontra ancora una violenza, più sottile, da cui è più difficile difendersi, che è la diffidenza della diversità (quando si è sotto il programma di protezione non ci si può esporre e bisogna mentire su se stessi, ingenerando dubbi di «doppiogiochismo») ed è la vita scippata della propria identità. Ella si guarda allo specchio e non trova il riflesso della propria immagine, ma una assenza definitiva, questa nuova condizione le ha precluso la normalità di una nuova relazione sentimentale. In conclusione l"assenza di sguardo prospettico è l"essenza della fine della nostra vita. Questi esempi eroici di esistenze, posso essere la nascita di un mondo nuovo.




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