-  Anceschi Alessio  -  24/11/2016

Non parlatemi più di violenza sulle donne - Alessio Anceschi

Quando sento parlare di violenza sulle donne mi si irrita un pò la pelle.

Non perchè non sia un problema serio della società, ma per come viene trattato.

Ho dedicato alla violenza familiare tre mie monografie ("Reati in famiglia e risarcimento del danno", Giuffrè 2005, "La violenza familiare", Giappichelli 2009 ed "Illeciti penali nei rapporti di famiglia e responsabilità civili", Maggioli 2012) che in realtà è una questione diversa dalla violenza di genere, ancorchè ampiamente riconnessa ad essa.

Il fatto è che sentire continuamente parlare di "violenza di genere" e di "violenza sulle donne", spesso peraltro da chi non sà neppure che cosa sia, mi pare che sminuisca la donna facendola apparire come una "specie protetta", un povero soggetto che necessiti di protezione speciale e quindi, in fin dei conti, un soggetto "inferiore" all'uomo in quanto a tutela dei diritti.

Ritengo che la violenza vada punita nel suo complesso, senza continuare a fare distinzioni.

La violenza di genere và capita e compresa come fenomeno affinchè la donna possa essere tutelata nelle sue peculiarità. Peraltro in molti casi si parla di violenza sulle donne esclusivamente come una violenza compiuta dall'uomo, incrementando insensate stigmatizzazioni e preconcetti che sono propri essi stessi della "discriminazione".

Parlare di "violenza sulle donne" è di per sè fuorviante e sminuisce la donna come essere umano meritevole di uguale tutela rispetto all'uomo, incrementando talvolta falsi preconcetti.

Mi compiaccio del fatto che molte donne la pensino come me. Mi compiaccio che l'abbia pensata come me anche Margharet Tatcher, ancorchè da taluni indebitamente accusata di essere "contro le donne".

Il discorso su cosa sia effettivamente la discriminazione e l'abuso meriterebbe indubbiamente di essere ampliato ed approfondito.

In occasione della vigilia sulla violenza sulle donne voglio allora raccontare di un fatto VERO che ho appena trattato.

La mia assistita, donna incinta al sesto mese di gravidanza, viene aggredita in casa sua non dal marito, ma da una conoscente (quindi una donna) che per futili motivi, fors'anche inesistenti, le tira i capelli, la butta a terra, le dà pugni in faccia e calci sull'addome.

La violenza finisce con l'intervento del marito, appena sopraggiunto a casa che ferma la donna a difesa della moglie.

Il fatto avviene più di un anno fà. La cliente sporge subito denuncia e si reca subito presso il mio ufficio, col marito.

Inviata una lettera di contestazione, le consiglio di pazientare per portare a termine la gravidanza il più serentamente possibile.

Fortunatamente non vi sono problemi collegati alla gravidanza ed il figlio nasce bello e sano.

Nel mentre la donna cerca anche di curare la psiche perché in questa vicenda, i danni psicologici sono certamente più ingenti di quelli fisici. la donna inizia infatti a soffrire di più che prevedibili attacchi d'ansia e disturbi vari.

Nel rattempo l'agressitrice viene a conoscenza della denuncia nei suoi confronti e pensa bene di sporgere una controdenuncia per essere stata lei aggredita da una donna incinta in casa di quest'ultima.

Fatto certamente verosimile se la Procura decide di trattare i due casi assieme e procedere verso entrambele donne, reciprocamente nello stesso processo. Bene. Si pensa bene inoltre di archiviare la nostra denuncia per calunnia. sempre meglio.

 Nel mentre, con il patrocinio del sottoscritto, la mia assistita introduce una causa civile per ottenere il risarcimento del danno.

La causa viene assegnata ad un Giudice donna e la controparte (l'agressitrice) viene difesa da una donna. In questo processo sono quindi l'unico uomo.

Il Giudice pensa bene di convocare le parti per un tentativo di conciliazione ex art. 185 bis c.p.c.

Per tutto il tempo dell'attesa dell'udienza devo tranquillizzare la mia assistita che trema letteralmente al pensiero di essere nello stesso androne con colei che alcuni mesi prima l'ha aggredita, rivivendo nella sua testa i momenti dell'aggressione.

All'udienza la controparte mantiene un atteggiamento fortemente aggressivo, forte del fatto che la sua denuncia conta tanto quanto la nostra e che la nostra denuncia per calunnia sia già stata archiviata. 

Il Giudice propone di chiudere a saldo e stralcio con il pagamento di 4.000/= euro, spese legali comprese che dovrebbero coprire non soltanto la causa civile già introdotta (dopo tentativi bonari, mediazione infruttuosa etcc .....) ma anche quella penale, in cui anche la mia assistita è indagata. Devo dire che il tentativo di conciliazione è anche abbastanza insistente, il tutto connotato da un atteggiamento sempre molto aggressivo (ancorchè solo verbalmente) della controparte, sempre accerchiata da svariati familiari.

Contro il mio consiglio (perché è ampiamente prevedibile come vadano poi a finire queste forzature !!), la mia assistita accetta.

Donna aggredita da una donna. Causa rimessa ad una donna e definita in questo modo. Senza alcuna Giustizia, senza alcun pentimento.

Con tanta persistente arroganza e prepotenza.

La strada dei diritti delle donne è ancora molto lunga ... tanto come quella della Giustizia.

Ma la colpa non è sempre dell'uomo.




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