L’ufficio dell’amministratore di sostegno si caratterizza per la obbligatorietà e la gratuità. Assumere le funzioni di amministratore è doveroso, qualora si venga nominati dal giudice tutelare64: questo assunto si ricava dalle norme su dispensa ed esonero dall’ufficio (artt. 351, 352 e 383 c.c.), applicabili all’amministrazione di sostegno65. La gratuità66, invece, è esplicitata dall’art. 379 c.c., applicabile anch’esso all’istituto in esame, tramite il rimando dell’art. 411 c.c. Essa è tradizionalmente spiegata adducendo lo spirito di solidarietà che guida chi assiste i soggetti incapaci67; inoltre, considerato che in molti casi ad assistere il beneficiario sarà un suo famigliare, è chiaro che il legame fra di essi porta ad escludere il desiderio di essere retribuiti (in senso lato) per l’attività svolta. Tuttavia, il principio della gratuità è stemperato dalla stessa norma che lo afferma: l’art. 379 c.c., infatti, permette al giudice di riconoscere un’equa indennità al tutore/amministratore, a ragione dell’importanza del patrimonio del beneficiario e della difficoltà della gestione68. La natura di tale corresponsione di denaro non è in alcun modo remuneratoria: lo ha chiarito anche la Corte costituzionale69, la quale ha affermato chiaramente che l’indennità70 mira a compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili71. La possibilità di riconoscere tale somma ha anche il merito, non secondario, di evitare che vi sia carenza di amministratori: nel caso in cui non vi sia un famigliare disposto o in grado di provvedere all’incapace, ci si dovrà rivolgere ad un professionista, il quale, però, non accetterà di assistere uno sconosciuto senza avere nemmeno una minima indennità. Prassi, questa, molto diffusa, ma anche criticata, in quanto non si ha un amministratore del tutto disinteressato e spinto da sole ragioni di solidarietà72. La dottrina sottolinea anche il rischio che l’ufficio di amministratore divenga, di fatto, un lavoro per gli avvocati, retribuiti attraverso l’indennità a loro riconosciuta; in certi casi, sono proprio le decisioni dei giudici a configurare tale somma come la retribuzione spettante al professionista73. A mio avviso, tuttavia, tale pratica non va condannata in ogni caso:intanto, perché se non si trova un parente disposto a svolgere le funzioni di amministratore, si ha un grave vuoto di tutela; in aggiunta, se il patrimonio da gestire è ingente, o comunque richiede competenze tecniche che non tutti possiedono, è utile ricorrere ad un esperto della materia, anche pagandogli l’indennità74. Essa, tra l’altro, come già accennato, è in ogni caso parametrata alla consistenza del patrimonio del beneficiario: non vi è dunque il rischio di depauperamento del soggetto debole, né la possibilità che l’amministratore si arricchisca oltremodo alle spese del suo assistito.
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